Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16034 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. I, 21/07/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 21/07/2011), n.16034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 16431 dell’anno 2009 proposto da:

T.C. – V.G. – G.D. – L.V.

C. – V.V. – R.F. – N.

R. – G.M., elettivamente domiciliati in

Roma, Via Quintilio Varo, n. 133, nello studio dell’Avv. GIULIANI

Angelo, che li rappresenta e difende, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della Corte di Appello di Roma, n. 3876,

depositato in data 22 maggio 2008;

sentita la relazione all’udienza del 15 marzo 2011 del Consigliere

Dott. Pietro Campanile;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ignazio Patrone, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con il decreto indicato in epigrafe la Corte di appello di Roma, previa riunione dei procedimenti derivanti da distinte domande avanzate da ciascuno degli interessati, condannava la Presidenza del Consiglio al pagamento in favore dei ricorrenti sopra specificati, nonchè di altri soggetti, della somma di Euro 5.000,00 ciascuno, oltre interessi dalla data del decreto, a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo amministrativo da essi congiuntamente promosso nel giugno dell’anno 1996, per ottenere la riliquidazione dell’indennità di buonuscita, e definito con sentenza dell’aprile del 2006.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito, determinata in cinque anni la durata ingiustificata del giudizio presupposto, affermava che il danno non patrimoniale dovesse determinarsi attribuendo Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo oltre il periodo entro il quale il procedimento avrebbe dovuto ragionevolmente concludersi.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto T.C., V. G., G.D., L.V.C., V.V., R.F., N.R. e G.M. ricorrono sulla base di due motivi.

La parte intimata non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 1173 c.c., sostenendo che erroneamente gli interessi sono stati attribuiti con decorrenza dalla data del decreto, e non della domanda. Viene, quindi, formulato il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di equa riparazione per superamento della ragionevole durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, vanno riconosciuti dal momento della domanda azionata dinanzi alla Corte di appello, e non a decorrere dalla relativa pronuncia?” 2.1 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4, 5 e 6, sostenendosi che l’attribuzione di un unico onorario, sia pure con la maggiorazione del 20 per cento per ogni parte oltre la prima, poteva avvenire soltanto successivamente alla riunione dei procedimenti, dovendosi procedere, per il periodo anteriore, alla liquidazione degli onorari per ciascuna causa.

2.2 – Il primo motivo è fondato.

Questa Corte ha costantemente affermato il principio secondo cui, poichè l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura non già come obbligazione “ex delieto”, ma come obbligazione “ex lege”, riconducibile, in base all’art. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, dal carattere indennitario della stessa discende che gli interessi legali decorrono dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria (Cass. n. 14072 del 2009, Cass. n. 24756 del 2005).

2.3 – La seconda censura, dovendosi procedere a nuova liquidazione in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, deve intendersi assorbita.

2.4 – Il decreto impugnato deve essere dunque cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., può essere decisa nel merito, nel senso della condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dei ricorrenti degli interessi in misura legale dalla data dalla domanda sugli importi già riconosciuti in linea capitale.

2.5 – Le spese di entrambi i gradi del giudizio seguono la soccombenza, con distrazione a favore dell’avv. Giuliani, antistatario.

2.6 – Quanto alla liquidazione delle spese del giudizio di merito, non può essere seguito il criterio invocato dalla difesa dei ricorrenti secondo cui, essendo stati proposti distinti ricorsi, riuniti dalla Corte d’appello solo in esito alla discussione in camera di consiglio, spetterebbero gli onorari ed i diritti per ogni procedimento sino al momento della riunione.

Va rilevato a riguardo che, per quanto consta sulla base del decreto impugnato e dallo stesso ricorso, i ricorrenti sono stati parti di uno stesso procedimento avanti al Giudice amministrativo, avente ad oggetto il riconoscimento dell’indennità non pensionabile.

Ciò nondimeno, pur essendo la domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo per l’eccessiva durata di tale procedimento basata sui medesimi presupposti giuridici e fattuali, le parti hanno depositato distinti ricorsi alla Corte d’appello, con il patrocinio del medesimo difensore.

Tale condotta, come già affermato da questa Corte (Cass., 12 maggio 2011, n. 10488; Cass., 3 maggio 2010, n. 10634), deve ritenersi configurare un abuso del processo.

L’utilizzo dello strumento processuale con modalità tali da arrecare non solo un danno al debitore senza necessità o anche solo apprezzabile vantaggio per il creditore, ma anche da interferire con il funzionamento dell’apparato giudiziario è stata ritenuta lesiva sia del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in quanto contrastante sia con il dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., sia con i principi del giusto processo, in quanto l’inutile moltiplicazione dei giudizi produce un effetto inflattivo confliggente con l’obiettivo costituzionalizzato della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost. (Cfr. Cass., Sez. un., n. 23.726 del 2007). Tali principi possono trovare applicazione anche in fattispecie quale quella in esame, ove l’evento causativo del danno, e quindi giustificativo della pretesa, sia identico, come unico sia il soggetto che ne deve rispondere e plurimi siano solo i danneggiati, che, dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, così dimostrando una carenza di interesse alla diversificazione delle posizioni, ed avere assunto la stessa condotta in fase di richiesta dell’indennizzo, agendo con lo stesso difensore, hanno instaurato singolarmente procedimenti diversi, pur destinati inevitabilmente alla riunione. Una tale condotta, priva di alcuna apprezzabile motivazione ed incongrua rispetto alle rilevate modalità di gestione, sostanzialmente unitaria delle comuni pretese, contrasta con l’inderogabile dovere di solidarietà sociale, che osta all’esercizio di un diritto con modalità tali da arrecare un danno ad altri soggetti, che non sia l’inevitabile conseguenza di un interesse degno di tutela dell’agente, danno che nella fattispecie graverebbe sullo Stato debitore, a causa dell’aumento degli oneri processuali, ma contrasta altresì soprattutto con il principio costituzionalizzato del giusto processo, inteso come processo di ragionevole durata, posto che la proliferazione oggettivamente non necessaria dei procedimenti incide negativamente sull’organizzazione giudiziaria a causa dell’inflazione dell’attività, con il conseguente generale allungamento dei tempi processuali.

Dal riscontrato abuso dello strumento processuale non può tuttavia conseguire la sanzione dell’inammissibilità dei ricorsi, posto che non è l’accesso allo strumento che è illegittimo, ma le modalità con cui è avvenuto. Deve procedersi, quindi, all’eliminazione, per quanto possibile, degli effetti distorsivi dell’abuso e quindi, nella fattispecie, la valutazione dell’onere delle spese come se unico fosse stato il procedimento sin dall’origine. Ciò posto, ritenuto il valore della controversia, ai sensi dell’art. 10 c.p.c., comma 2, pari alla somma delle singole pretese riconosciute agli odierni ricorrenti, l’Amministrazione va condannata per il giudizio di merito al pagamento di Euro 3950,00, di cui Euro 2200,00 per onorari, Euro 1700,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese.

Le spese relative al presente giudizio di legittimità, si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il secondo. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dei ricorrenti degli interessi in misura legale dalla data della domanda al saldo, nonchè al pagamento delle spese processuali – da distrarsi in favore dell’avvocato Giuliani, antistatario – dell’intero giudizio, che liquida, quanto al grado di merito, in Euro 2200,00 per onorari, Euro 1700,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, e, quanto al presente giudizio di legittimità, in Euro 600,00 per onorari ed Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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