Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16033 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 28/07/2020), n.16033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31523-2018 proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO GARAU, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

D.N., in proprio e nella qualità di genitore esercente

la responsabilità genitoriale su CHAAOUB HIBA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA AURELIANA 2, presso lo studio dell’avvocato

MARIO DE MICHELE, rappresentata e difesa dall’avvocato GADDO

CECOVINI;

– controricorrente –

contro

E.H.M., C.A., CH.AB., CHAAOUB FATIMA,

CH.AH., CH.HA., C.M., CANGURO SCARL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2016/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

UnipolSai Assicurazioni S.p.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 2016/2018 della Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 29 marzo 2018, articolando due motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso D.N..

La società ricorrente espone in fatto di essere stata citata in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, da D.N., in proprio e quale titolare della responsabilità genitoriale nei confronti di C.H., da E.H.M., da C.A., da Ch.Ab., da C.F., da Ch.Ah., da Ch.Ha. e da C.M., perchè fosse condannata, in solido con la Canguro Soc. Cooperativa arl, a risarcire loro tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, iure proprio e iure hereditatis, derivanti dalla morte di C.B. per causa del sinistro stradale verificatosi per responsabilità esclusiva o – in denegato subordine – concorrente di I.O., conducente del veicolo Volvo Truck, di proprietà della società Canguro, all’epoca assicurato per la responsabilità civile automobilista dall’odierna ricorrente.

Costituitasi in giudizio la società UnipolSai, in via pregiudiziale, chiedeva la sospensione del giudizio, in ragione della pendenza di un procedimento penale che vedeva come imputati del delitto di cui agli artt. 113 e 589 c.p., in cooperazione tra loro, I.B. e N.C., quale conducente dell’autoarticolato Iveco, per stretta dipendenza e conseguenzialità tra le decisioni da emanare in sede penale e civile, ponendosi la questione penale quale antecedente logico-giuridico del procedimento civile, ai sensi dell’art. 654 c.p.p.; insisteva per l’acquisizione della ricostruzione cinematica disposta dal PM in sede penale; chiedeva il rigetto della domanda risarcitoria.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 2069/2014, rigettava la domanda attorea e compensava tra le parti le spese di lite.

I soccombenti impugnavano la decisione di prime cure dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, lamentando l’erronea ed incompleta ricostruzione della dinamica del sinistro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727,2054,1227 c.c., e dell’art. 149C.d.S., nonchè la violazione dell’art. 40 c.p., e dell’art. 2043 c.c.,

L’odierna ricorrente contestava l’ammissibilità dell’appello e chiedeva la conferma integrale della sentenza di prime cure.

La Corte d’Appello, con la sentenza qui impugnata, invocando il superamento della presunzione di pari colpa di entrambi i conducenti di cui all’art. 2054 c.c., dato che il tamponante non aveva osservato la distanza di sicurezza e non aveva fornito la prova liberatoria che il tamponamento fosse derivato da causa in tutto o in parte a lui non imputabile, riteneva che il sinistro fosse da ricondurre alla responsabilità concorrente della vittima e del conducente dell’autoarticolato di proprietà della società Canguro.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione ed errata applicazione dell’art. 149 C.d.S., e dell’art. 2054 c.c., e il conseguente errato esame dei fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Al giudice a quo viene rimproverato: a) di avere erroneamente ritenuto ricorrente un classico tamponamento; b) di avere omesso l’esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti rappresentato dall’intera vicenda che aveva portato all’impatto tra il mezzo condotto dalla vittima e quello assicurato; c) di non aver preso in considerazione il comportamento di N.C., conducente dell’auto urtata posteriormente dal mezzo condotto da I.B..

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per violazione ed errata applicazione delle prove poste a fondamento della decisione in relazione all’art. 360 c.c., n. 5, (artt. 2697 c.d., e artt. 115 e 116 c.p.c.), – omissione travisamento di fatti in relazione a punti decisivi della controversia.

La tesi rappresentata è che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto soddisfatto l’onere della prova da parte dei parenti della vittima in relazione alla irriconducibilità del sinistro all’esclusiva responsabilità del congiunto; non abbia spiegato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere ricorrente un pari concorso di responsabilità tra la vittima e I.B., non avendo svolto attività istruttoria ed avendo posto a fondamento della propria decisione, come già il Giudice di prime cure, solo il verbale delle Autorità intervenute e la documentazione relativa al procedimento penale n. 5673/2011; abbia erroneamente ritenuto non contestata la dinamica del sinistro, pur essendo sempre stato richiesto l’accertamento dell’efficienza causale della condotta di guida di N. ed avendo fornito una diversa interpretazione delle risultanze delle prove testimoniali; sia incorsa in contraddizione ritenendo, per un verso, che l’autoarticolato di I.B., data la sua lunghezza, dovesse considerarsi un ostacolo imprevedibile ed anomalo per la vittima, ma non senza considerare altrettanto imprevedibile ed anomala la presenza dell’autoarticolato condotto da N.; abbia ricostruito una dinamica del sinistro non afferente agli elementi oggettivi a sua disposizione; abbia errato nel non acquisire gli atti del procedimento penale che si era concluso con l’assoluzione di I.B. e con la condanna di N..

3. Il ricorso si reputa inammissibile.

Dallo scrutinio dei singoli motivi di ricorso si evince che essi si risolvono nella esplicita richiesta di riesaminare i fatti di causa, contrastante con i caratteri morfologici e funzionali del giudizio di legittimità: a p. 6, nell’illustrare il primo motivo, i ricorrenti, infatti, lamentano quali fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti “l’intera vicenda che ha portato all’impatto tra il mezzo condotto dal C. e quello guidato dal I.B.”.

Con il secondo (p. 8) i ricorrenti lamentano che sia in primo che in secondo grado non sia stata svolta in alcun modo l’istruttoria, denunciano la mancata considerazione delle deposizioni dei testi P. e D’., propongono una ricostruzione della dinamica del sinistro diversa da quella su cui si è basata la decisione della Corte territoriale, invocano, ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro, quella emersa dalla sentenza penale n. 4315/15 che aveva escluso ogni responsabilità di I.B., condannando solo Costantin N..

Il motivo è inammissibile perchè l’ubi consistam delle censure formulate è anche in questo caso riconducibile alla ridiscussione degli accertamenti di fatto su cui si è basata la decisione impugnata, proponendone una alternativa, più confacente ai propri desiderata. I ricorrenti, però, omettono di soddisfare gli oneri di allegazione posti a carico di chi invoca l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio; non dimostrano in che modo la sentenza avrebbe violato gli artt. 115 e 116 c.p.c., e la regola civilistica sulla dimostrazione dell’onere della prova.

Il vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., per essere accolto richiede che venga denunciato che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. 10/06/2016, n. 11892).

La violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c., il quale prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi) (per tutte cfr. Cass. 10/06/2016, n. 11892).

Per finire, un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c., non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (se si considera l’art. 2697 c.c., norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (se si considera l’art. 2697 c.c., norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360, n. 5, oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (giusta Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054).

Per concludere, i ricorrenti non tengono conto che il giudice civile applica i criteri di accertamento della responsabilità civile, i quali non sono sovrapponibili ai più rigorosi canoni di valutazione penalistici, funzionali all’esercizio della potestà punitiva statale (Cass. 15/10/2019, n. 25917).

3. Non essendo emersi dalla memoria depositata in vista dell’odierna camera di consiglio elementi atti a mettere in dubbio i superiori rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione a favore del difensore anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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