Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16032 del 11/07/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 16032 Anno 2014
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: RAGONESI VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 9950-2013 proposto da:
ACERBO LUIGI CRBLUG56H05G902T, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIALE DEL VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato
STIEFEL MICHAEL LOUIS, rappresentato e difeso dall’avvocato
FERRARO GIUSEPPE, giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente contro
FALLIMENTO SRL LA SICUREZZA in persona del Curatore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO
QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato

.14

Data pubblicazione: 11/07/2014

PETRACCA NICOLA, rappresentato e difeso dall’avvocato PIACCI
BRUNO, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente avverso il decreto n. 500/2013 del TRIBUNALE di NAPOLI del

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott.

vrrromo RAGONESI;

udito per il ricorrente l’Avvocato Silvia Tortorella (per delega avv.
Giuseppe Ferraro) che si riporta ai motivi del ricorso e chiede
l’accoglimento dello stesso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Antonella Pelosi (per delega
avv. Bruno Piacci) che si riporta agli scritti.

Ric. 2013 n. 09950 sez. M1 – ud. 06-05-2014
-2-

26.2.2013, depositato 1’8/03/2013;

Svolgimento del processo
Con sentenza n. 225 del 07.10.2010 veniva dichiarato dal Tribunale di
Napoli il fallimento della società La Sicurezza s.r.1..
Proponeva ricorso ex art. 93 1.fall. Acerbo Luigi che, deducendo di avere

privilegiata del relativo credito di lavoro.
Con decreto di esecutività del 21.06.2012 il Giudice Delegato rigettava la
domanda del ricorrente.
Con ricorso ex art. 98 1.fall., depositato in data 10.08.2010, Acerbo Luigi
proponeva opposizione allo stato passivo insistendo per l’ammissione delle
somme richieste con l’originaria domanda. Instauratosi correttamente il
contraddittorio, in data 11.02.1013 si costituiva il curatore del fallimento con
richiesta di rigetto della domanda.
A scioglimento della riserva assunta dal giudice relatore all’udienza del
21.02.2013, il tribunale di Napoli, con decreto n.500/2013 depositato il
08.03.2013, rigettava l’opposizione della ricorrente disconoscendo
l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società
fallita e poneva a suo carico le spese di lite.
Contro tale decreto Acerbo Luigi proponeva ricorso per cassazione
deducendo sei motivi illustrati con memoria.
Il fallimento ha svolto attività difensiva con controricorso.

lavorato alle dipendenze della società fallita, chiedeva l’ammissione in via

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta sotto il profilo della violazione e
falsa applicazione delle norme relative alla procedura di accertamento dello
stato nonché della falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 24. commi

e poi il tribunale fallimentare, entrambi limitandosi a riportare per
relationem le conclusioni del curatore fallimentare (secondo il quale non era

in alcun modo, o almeno non sufficientemente sulla base delle
documentazioni prodotte, provata l’esistenza di un rapporto di lavoro di
natura subordinata), abbiano omesso di motivare adeguatamente la
decisione del rigetto delle opposizioni del ricorrente.
Il motivo è manifestamente infondato e per certi versi inammissibile.
Questa Corte deve rilevare preliminarmente che sono inammissibili e non
possono essere oggetto di ricorso per cassazione le censure proposte avverso
il decreto del giudice delegato, le quali devono essere rilevate nel ricorso in
opposizione allo stato passivo e restano assorbite nel provvedimento del
tribunale.
Per quanto concerne poi le doglianze nei confronti del decreto del tribunale,
va rammentato che la giurisprudenza si è ripetutamente pronunciata
ammettendo che la succinta motivazione sia ammissibile per relationem alle
conclusioni del curatore (Cass. 18935/2003).

1 e 2 Cost. e del vizio di omessa motivazione che prima il Giudice Delegato

Nel caso di specie il tribunale ha sostenuto la motivazione del decreto di
rigetto in questa sede impugnato avvalendosi di precedenti giurisprudenziali
ormai consolidati (Cass. Sez. L, Sent. n. 4171 del 24/02/2006; ex multis
Cass. Sez. L, Sent. n. 17455 del 27/07/2009) in materia di differenza tra

presenza di indici presuntivi che possano fondare l’accertamento della natura
del rapporto ( Cass. Sez. U, Sent. n. 379 del 30/06/1999).
In particolare, le argomentazioni del tribunale volte a sostenere l’inesistenza
delle caratteristiche della subordinazione (tra queste, ad esempio,
l’assoggettamento ad un potere direttivo e gerarchico) appaiono funzionali
alla motivazione e non sembra, dunque, esservi alcuna violazione dell’art.
112 c.p.c., in quanto il tribunale ha comunque deciso sui motivi.
Le censure dedotte nei motivi secondo, terzo, quinto e sesto del ricorso
denunciano la violazione delle medesime norme di legge (artt. 113, 114,
115, 116 c.p.c., artt. 2697, 2727, 2729 c.c.; artt. 24 e 3 Cost.), nonché
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360
n.5 c.p.c.. Stante la loro connessione appare opportuna la loro trattazione
congiunta.
Tali motivi attengono sostanzialmente alla disciplina della ripartizione
dell’onere della prova circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Sostiene la parte ricorrente che era onere della curatela, ex art. 2697 comma7/
I

rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, valutando la

2 c.c., allegare e provare le circostanze idonee a suffragare la propria
eccezione.
I motivi sono infondati e, come tali, vanno rigettati.
Il tribunale, affermando che: “In applicazione del generale principio di cui

contestato ( come nella specie: cfr. le conclusioni del curatore in sede di
progetto di stato passivo e la memoria difensiva depositata nel presente
procedimento) rapporto di lavoro subordinato fornire la prova della
sussistenza, posto che qualsiasi prestazione, economicamente rilevante, può
essere resa sia sotto forma di lavoro autonomo che di lavoro subordinato”,

ha correttamente motivato ritenendo, sulla base di una consolidata
giurisprudenza, che fosse possibile applicare il regime generale dell’art. 2697
c.c., dal momento che il curatore, in sede di verifica dello stato passivo,
agisce in qualità di terzo con la conseguenza che non gli sono opponibili i
crediti non aventi data certa (2704 c.c. ), nè le previsioni di cui agli artt.
2709 e 2710 c.c. in tema di efficacia probatoria delle scritture contabili
contro l’imprenditore e tra imprenditori. ( Cass. 5582/2005; Cass. sez. VI,
ord. 9764/2013).
I motivi di ricorso, inoltre, non sono sufficientemente specifici perché non
deducono la ragione per la quale i documenti citati (CUD- busta paga..)
avrebbero la data certa.

all’art. 2697 c.c. grava su colui che agisce fare valere i diritti nascenti da un

A tal riguardo vi è giurisprudenza consolidata secondo la quale, in tema di
data della scrittura privata, qualora manchino le situazioni tipiche di certezza
contemplate dall’art. 2704, primo comma, cod. civ., ai fini dell’opponibilità
della data ai terzi è necessario che sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a

documento. Ne consegue che tale dimostrazione può anche avvalersi di
prove per testimoni o presunzioni, ma solo a condizione che esse evidenzino
un fatto munito della specificata attitudine, non anche quando tali prove
siano rivolte, in via indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera
verosimiglianza della data apposta sul documento. ( Cass. 13943/2012)
Tale dimostrazione non è avvenuta nel caso di specie.
Da ciò ne consegue che legittimamente il tribunale ha ritenuto di non
attribuire alcuna valenza probatoria ai documenti depositati dal ricorrente,
affermando che incombeva su di esso l’onere di provare, con idonei mezzi, i
fatti costitutivi della subordinazione.
Inoltre, è bene rimarcare, in riferimento alla contestazione contenuta nel
terzo motivo, che la mancanza di data certa nelle scritture prodotte dal
creditore, che proponga istanza di ammissione al passivo fallimentare, si
configura come fatto impeditivo all’accoglimento della domanda ed oggetto
di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche di ufficio dal
giudice. (Cass. Sez. Un. 4231/2013)

stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del

Volgendo l’attenzione con particolare riferimento al quarto e al quinto
motivo di ricorso in cui si contesta specificamente l’applicazione delle
norme relative alla prova testimoniale, il ricorrente contesta con il primo la
mancata ammissione della prova testimoniale da lei richiesta in giudizio; e

dichiarazioni degli altri dipendenti concorrenti nel fallimento, e nel caso
specifico, dalle dichiarazioni degli stessi rese al Curatore, che è stata
utilizzata dal giudice come elemento per la sua decisione.
E’ da rilevare che, in relazione alla prima contestazione, ossia della mancata
ammissione della prova testimoniale richiesta dalla parte, in ogni caso essa
si rivela inammissibile poiché non sono stati riportati in nessuna parte del
ricorso i relativi capitoli di prova, sul punto questa Corte ha ripetutamente
affermato che è privo di autosufficienza il ricorso fondato su motivo con il
quale viene denunziato vizio di motivazione in ordine all’assunta prova
testimoniale, omettendo di indicare nel ricorso i capitoli di prova non
ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a
soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza. (Cass.
6440/07; Cass. 17915/10; Cass. 13677/12; Cass. 21632/13).
Per ciò che concerne la seconda contestazione, in nessuna parte del decreto
impugnato si riscontra alcun riferimento a queste deposizioni rese al curatore
da altri dipendenti, e di esse non sono, neanche in questo caso, riportati i

con il secondo l’inammissibilità della testimonianza proveniente dalle

relativi capitoli di prova. Anche volendo prescindere da tali rilievi, bisogna
osservare che l’orientamento prevalente di questa Corte afferma che le
dichiarazioni rese al curatore da terzi sono liberamente valutabili dal giudice
( Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8704 del 02/09/1998), e in questo caso il

dunque del tutto insufficienti.
I motivi, dunque, sono inammissibili e comunque infondati e vanno rigettati.
Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente censura la violazione e falsa
applicazione dell’art. 210 c.p.c. nella parte di motivazione del decreto con
cui il tribunale rigetta l’istanza di esibizione di documenti motivando che la
detta istanza non può supplire l’onere probatorio della ricorrente.
Il motivo è da ritenersi infondato in quanto il tribunale, conformandosi alla
giurisprudenza di questa Corte, ha correttamente esercitato ai sensi degli
artt. 210 e 421 cod. proc. civ., il suo potere officioso relativo all’esibizione di
documenti, che ha carattere discrezionale, non ammettendo l’istanza di
esibizione sul motivo che sarebbe stato onere della parte esibire tale
documentazione. ( Cass. Sez. 1, Sent. n. 26264 del 02/12/2005).
Il ricorso va pertanto respinto.
Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese
processuali liquidate come da dispositivo
PQM

tribunale, sulla base del suo libero apprezzamento, le ha ritenute generiche e

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio liquidate in euro 4000,00 oltre euro 100,00 più spese forfettarie
al 15%. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R.
115/2002 per il versamento del doppio contributo.

Roma, 6/05/2014

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