Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16029 del 26/06/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 16029 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

durata del
processo ai
sensi della
legge n. 89 del
2001

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 15584/12) proposto da:

FEBBRONI ROMANO MARCO (C.F.FBB RNM 53A29 G388N) e FEBBRONI GIANNI (C.F.
FBB GNN 46R08 G388F) rappresentati e difesi, in forza di procura a margine del ricorso,
dagli avv.ti Maurizio Cochi e Ugo Leonetti ed elettivamente domiciliati presso lo studio del
primo, in Roma, Via Ribera, n. 23;

– ricorrenti –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (C.F. 80184430587), in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato ed domiciliato ope legis presso
i suoi uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

a

Avverso il decreto della Corte d’Appello di Brescia n. 267/11, depositato il 27 dicembre
2011 e non notificato.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 24 maggio 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’avv. Maurizio Cochi per i ricorrenti;
1

SoM

Data pubblicazione: 26/06/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio
Capasso, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, con il
conseguente assorbimento degli altri.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 23 settembre 2011, gli esecutati sigg.ri Febbroni arch.

Ausano) adivano la Corte d’Appello di Brescia, sollevando, in via principale, un’eccezione
di incostituzionalità e chiedendo, nel merito, il riconoscimento di un indennizzo a titolo di
equa riparazione per tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti a causa della durata
irragionevole del processo, nella misura di almeno euro 18.000,00 per danni morali e non
patrimoniali, nonché per l’ammontare di euro 400.000,00 per danni patrimoniali, o
comunque, in altre misure ritenute di giustizia.
Essi, in particolare, con detto ricorso, lamentavano l’irragionevole durata di una procedura
esecutiva immobiliare, iniziata nei loro confronti con pignoramento del 6 giugno 1997 ad
istanza della CARIPLO s.p.a., creditrice di £ 1.348.321.000, verso il loro defunto padre, di
cui avevano accettato l’eredità con beneficio di inventario, e protrattasi per quindici anni.
La Corte adita, con decreto depositato il 27 dicembre 2011 e non notificato, rigettava il
ricorso (sul presupposto che gli istanti — quanto al reclamato danno non patrimoniale – non
avevano ricevuto alcun pregiudizio dalla protrazione del procedimento esecutivo
presupposto e — quanto al danno patrimoniale — per mancanza di idonea prova),
condannando gli stessi ricorrenti al pagamento delle spese processuali a favore del
Ministero della giustizia, liquidate in complessivi euro 2.800,00.
Avverso tale decreto hanno proposto ricorso per cassazione i sigg.ri Febbroni arch.
Romano Marco e Febbroni geom. Gianni, articolato in sei motivi.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
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Romano Marco e Febbroni geom. Gianni (quali eredi del defunto genitore Febbroni

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n.
3 c.p.c., nonché l’omessa motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c., per non aver la Corte
territoriale preso in esame l’eccezione di incostituzionalità dedotta in via preliminare
attinente alla individuazione del legittimo criterio per la quantificazione dell’indennizzo

2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione della
L. n. 89/2001, art. 2, punto 1, e degli artt. 6, 13 e 41 della Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la
Corte di merito escluso l’applicabilità di detta normativa al procedimento esecutivo ed, in
particolare, alla posizione soggettiva dei debitori esecutati, nonché l’illogicità, insufficienza
e contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., in rapporto alla
consolidata giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo sul concetto di processo,
nel quale si sarebbe dovuto ricomprendere anche il procedimento di esecuzione, ed alla
quale i giudici italiani sono tenuti a conformarsi.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno prospettato la violazione o falsa applicazione della
L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, ed art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti
Dell’Uomo, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per omesso computo — nella sentenza
impugnata – del periodo eccedente il termine ragionevole del processo nonché l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la Corte d’Appello escluso del tutto ogni
pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale in conseguenza della durata del procedimento,
omettendo ogni determinazione concreta sulla durata complessiva della procedura
esecutiva, sulla durata ragionevole del processo, sulla complessità del caso, sullo
specifico e concreto comportamento delle parti, sull’operato del giudice del procedimento

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invocato.

e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua
definizione.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione o falsa applicazione
della L. n. 89 del 2001, art. 2, punto 1, e dell’art. 1 prot. n. 1 della Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ove prevede che “ogni persona fisica o

l’illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. art. 360 n. 5 c.p.c..
5. Con il quinto motivo i ricorrenti hanno lamentato l’insufficienza e contraddittorietà della
motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U., con
contestuale violazione dell’art. 112 e 115 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1,2
e 3, il tutto in relazione al disposto di cui all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per avere la Corte
bresciana, senza preventiva determinazione sulla durata complessiva della procedura
esecutiva, sulla durata ragionevole del processo, sulla complessità del caso, sullo
specifico e concreto comportamento delle parti, sull’operato del giudice del procedimento
e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua
definizione, in violazione della regola sul chiesto e pronunciato, escluso ogni danno non
patrimoniale in conseguenza del fatto che il prolungamento dei tempi di definizione della
procedura, lungi dal rappresentare un danno, aveva arrecato un vantaggio ai ricorrenti.
Con la stessa doglianza i ricorrenti stessi hanno inteso far valere l’insufficienza e la
contraddittorietà della motivazione congiuntamente alla violazione e falsa applicazione
,

della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2, e dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U., in rapporto
agli artt. 2727, 2056, 2057 e 2059 c.c., per avere il giudice del merito negato il danno non
patrimoniale, disattendendo i principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,
che riconosce il danno non patrimoniale come effetto che di regola consegue alla
ingiustificata durata del processo in via presuntiva e con inversione conseguente
dell’onere della prova.
4

giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni”, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché

6. Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno dedotto l’insufficienza e contraddittorietà
della motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U.,
con contestuale violazione dell’art. 112 e 115 c.p.c. e della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi
1, 2 e 3, il tutto in relazione al disposto di cui all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per avere rigettato
la richiesta di danno patrimoniale per mancanza di prova ed in ragione di una asserita

ragione dell’ottenuta momentanea sospensione della vendita degli ultimi lotti, oltre che in
virtù del fatto che essi ricorrenti in conseguenza della lungaggine processuale avrebbero
conseguito un vantaggio; hanno dedotto, altresì, l’insufficienza e contraddittorietà della
motivazione, oltreché la violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art.
2, comma 2, e dell’art. 6, par. 1, C.E.D.U., in rapporto agli artt. 2727, 2056, 2057 c.c., in
relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., per avere il giudice negato il danno patrimoniale.
7. Rileva il collegio che il secondo e terzo motivo — aventi carattere preliminare ed
esaminabili congiuntamente siccome strettamente connessi — sono fondati e devono
essere accolti per le ragioni che seguono.
La Corte territoriale, con il decreto impugnato, oltre ad aver avanzato dei dubbi circa
l’applicabilità della disciplina di cui alla legge n. 89 del 2001 alla durata irragionevole
riconducibile ai procedimenti esecutivi (in quanto non aventi natura propriamente
contenziosa), ha ritenuto che, in ogni caso, si sarebbe dovuto escludere che, nella
fattispecie, i ricorrenti avessero subito un pregiudizio — indennizzabile a titolo di danno non
patrimoniale — per effetto della protrazione della procedura esecutiva immobiliare nei loro
confronti e che, inoltre, gli stessi non avevano offerto alcuna prova in ordine al
riconoscimento del prospettato danno patrimoniale.
Opinando in tal senso ed avuto riguardo al profilo del riconoscimento o meno
dell’indennizzo per il danno non patrimoniale (costituente oggetto delle due censure in
esame), la Corte territoriale ha disatteso l’univoco e condivisibile orientamento della
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rivalutazione degli immobili pignorati nelle more della procedura esecutiva, nonché in

giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ad avviso del quale il diritto all’equa
riparazione, riconosciuto dall’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 per il mancato
rispetto del termine ragionevole del processo, è configurabile anche in relazione ai
procedimenti di esecuzione forzata (cfr., tra le tante, Cass. n. 15611 del 2002; Cass. n.
5265 del 2003 e, da ultimo, Cass. n. 6459 del 2012). A tal proposito si è, infatti,

(come delineato dalla nuova formulazione dell’art.111 Cost.) deve essere soddisfatto
attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba
decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo
conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad
opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.; pertanto,
anche il debitore esecutato, in quanto parte, è legittimato a richiedere l’indennizzo ex art.2
legge 24 marzo 2001 n.89 per l’irragionevole protrarsi del processo esecutivo.
Oltretutto, è risaputo che, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del
processo, il diritto all’equa riparazione di cui al citato art. 2 della L. n. 89 del 2001 spetta a
tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o
soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i
riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ad
eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia
artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della
fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di
incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo,
deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal
fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente
infondata.

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puntualizzato che nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo

Del resto, anche il nuovo comma 2 bis dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 (introdotto
dall’art. 55, comma 1, lett. a) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., nella legge
7 agosto 2012, n. 134, ancorché non applicabile “ratione temporis” nella fattispecie) ha
avallato la riportata interpretazione, riconoscendo, ora, espressamente il diritto all’equo
indennizzo anche con riferimento al procedimento di esecuzione forzata allorquando la

Alla stregua di questi argomenti si profila evidente che i presupposti per richiedere l’equo
indennizzo a titolo di danno non patrimoniale sussistevano anche in capo ai due ricorrenti,
quali debitori esecutati, che, in quanto tali, avevano diritto alla definizione della procedura
esecutiva intentata nei loro confronti in una durata ragionevole, senza illegittime
protrazioni della stessa tali da determinare un patema d’animo ed un’incertezza
processuale a carico dei soggetti espropriati, idonea a comportare l’insorgenza di un
effettivo pregiudizio tutelato dalla legge n. 89 del 2001, rimanendo impregiudicata la
valutazione di tutti gli elementi contemplati nell’art. 2, comma 2, della citata legge, ai fini
dell’accertamento della violazione prevista dal comma 1 dello stesso articolo
(provvedendo — una volta determinata la durata irragionevole della procedura – alla
conseguente liquidazione dell’indennizzo riconoscibile sulla scorta degli esatti criteri di
computo individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, ovvero di euro 750,00 per ogni
anno di ritardo in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole e di euro
1.000,00 per gli anni successivi).
8. Pertanto, alla luce delle complessive argomentazioni svolte, devono essere ritenute
fondate la seconda e terza censura del ricorso (con correlato assorbimento delle altre
censure, riguardanti questioni dipendenti ed il profilo della ulteriore ed eventuale
risarcibilità del supposto danno patrimoniale), cui consegue la cassazione del decreto
impugnato ed il rinvio della causa alla stessa Corte di appello di Brescia, in diversa
composizione, che si conformerà ai principi precedentemente enunciati e si ripronuncerà
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sua durata superi il termine ragionevole di tre anni.

sulla domanda di equa riparazione, rivalutando – quanto al riconoscimento del danno non
patrimoniale – la documentazione acquisita ai fini della determinazione del periodo effettivo
della durata irragionevole del procedimento esecutivo in danno dei ricorrenti, tenendo
conto anche di tutti gli elementi previsti dall’art. 2, comma 2, della legge n. 89 del 2001, in
modo tale da provvedere alla liquidazione dell’indennizzo agli stessi spettante alla stregua

Al giudice di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese della presente fase di
legittimità del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa il
decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente
giudizio, alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 24 maggio 2013.

dei parametri poc’anzi ricordati.

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