Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16028 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 09/06/2021), n.16028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13352-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO

197, presso lo studio dell’avvocato MAURO MEZZETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO ACCORDI;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 5382/2017 della COMM. TRIB. REG.

LOMBARDIA SEZ.DIST. di BRESCIA, depositata il 15/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/02/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L.R. istituiva con testamento olografo, come unica erede, la moglie M.F., L.F., figlio del de cuius, promuoveva un’azione di accertamento della lesione della quota spettante a titolo di legittima citando in giudizio la madre M.F. e le sorelle che, a loro volta, costituendosi in giudizio, chiedevano, premessa la validità del testamento olografo, che nulla venisse assegnato al figlio/fratello in quanto le donazioni in vita del padre al figlio F., da computare ai fini della riunione fittizia e della collazione, eccedevano ampiamente la quota di legge. Il Tribunale di Mantova, con sentenza non definitiva n. 1338/2010, riconosceva valido il testamento olografo di L.R., ravvisando però una lesione della quota di legittima spettante ai figli, quindi, con successiva sentenza non definitiva n. 690/2012, preso atto che nessuna delle parti aveva richiesto di procedere alla vendita del compendio ereditario, indicava alcuni criteri da adottare al fine della soluzione della controversia.

Le parti decidevano di chiudere la lite e, con atto pubblico n. (OMISSIS), M.F., nella sua veste di unica erede testamentaria, cedeva delle quote dell’eredità ai figli del de cuius.

L’Agenzia delle Entrate riqualificava, con avviso di liquidazione, il suddetto atto pubblico, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, da negozio atipico, denominato “attribuzioni successorie a seguito del riconoscimento dei diritti di legittima”, in transazione, tassabile ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 29 e del D.P.R. n. 131 del 1987, allegata Tariffa, Parte I, art. 1, liquidando le maggiori imposte dovute.

L.F. impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, denunciandone l’illeggittimità. L’adita Commissione, con sentenza n. 100/2/17, respingeva il ricorso del contribuente, ritenendo corretta la qualificazione dell’atto come transazione, con ogni conseguente effetto sul regime di tassazione applicato. Il contribuente presentava appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, con sentenza n. 5382/25/2017, accoglieva il gravame. I giudici di appello ritenevano che la comunione ereditaria tra tutti i coeredi era stata costituita con efficacia ex tunc a partire dalla data di apertura della successione per effetto delle pronunce del Tribunale di Mantova; pertanto il contenuto dell’accordo stipulato dopo l’intervento del giudicato non rivestiva lo schema e la causa tipica della transazione, bensì lo schema di “un negozio atipico con prevalente contenuto remissorio”.

L’Agenzia delle Entrare propone ricorso per la cassazione della sentenza svolgendo un solo motivo. L.F. si è costituito con controricorso ed ha presentato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20 e 29, del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata Tariffa, parte prima, art. 1, nonchè dell’art. 1322 c.c., comma 2, degli artt. 1362,1363 e 1965 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo l’Agenzia delle Entrate le parti non si sarebbero accordate per la divisione dell’asse ereditario in conformità ai principi dettati dalla sentenza non definitiva n. 690 del 2012 con cui il Tribunale di Mantova, preso atto che nessuna delle parti aveva richiesto di procedere alla vendita del compendio ereditario, considerate non percorribili alcune ipotesi di specifiche attribuzioni, determinava alcuni criteri di massima per l’assegnazione dei beni.

L’Ufficio contesta che l’atto di transazione, stipulato il (OMISSIS), costituisca “un negozio atipico con prevalente contenuto remissorio”, sostenendo che i giudici di appello avrebbero escluso la qualificazione dell’atto come transazione, sull’erroneo rilievo della mancanza di una res dubia, a causa della sussistenza di un giudicato parziale su alcune questioni controverse. Al contrario, che si tratti di una transazione emergerebbe da una serie di argomenti non valorizzati dai giudici di appello, ossia: a)la volontà manifestata dalle parti di “transigere mediante un serie di reciproche concessioni di transigere l’indicata intricatissima controversia”; b)la sussistenza di una res dubia desumibile da un contenzioso pendente davanti al Tribunale di Mantova per le medesime questioni, definito solo parzialmente e con una sentenza che indicava criteri di massima; c)la volontà palesata dalle parti di abbandonare il contenzioso pendente con spese compensate e di “incondizionatamente rinunciare, come di fatto e di diritto rinunciano, ad ogni ulteriore eccezione o riserva nonchè ad ogni e qualsiasi azione di riduzione, o di richiesta di integrazione o di rivendica dei diritti loro comunque riservati sull’eredità abbandonata morendo dal rispettivamente loro marito e padre signor L.R. (…). Le pattuizioni del presente atto costituiscono la definitiva composizione di ogni reciproca pretesa e contestazione con particolare riferimento ad ogni contenuto e richiesta oggetto della causa pendente avanti il Tribunale di Mantova ed ogni suo successivo sviluppo avanti a qualsiasi altro Tribunale e/o Corte che pertanto dovrà essere abbandonata da tutte le parti a spese compensate”; d) gli “effetti giuridici” programmati dalle parti non remissori, ma definitori della controversia, ossia con lo scopo di “porre fine a una lite già incominciata”, assegnando i cespiti costituenti parte dell’asse ereditario, sulla base anche delle indicazioni contenute nelle sentenze, quali criteri di massima. L’Ufficio rileva che i giudici di appello avrebbero dovuto valorizzare la “comune intenzione delle parti” (art. 1362 c.c.), interpretando le clausole le une per mezzo delle altre (art. 1363 c.c.) e, ritenere il contratto, sulla base della causa concreta, un contratto tipico di transazione.

Secondo l’Ufficio, pertanto, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato per avere ritenuto che al momento della transazione non vi era una res dubia, inquadrando il contratto concluso dal ricorrente come un “negozio atipico con prevalente contenuto remissorio”, laddove l’atto pubblico oggetto dell’avviso di accertamento, in quanto qualificabile come transazione, rientrerebbe negli atti traslativi a titolo oneroso di beni immobili di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, allegata Tariffa – Parte I, art. 1.

2. Il motivo non è fondato, per i principi di seguito enunciati.

2.1. Non è contestato che M.F., per porre fine ad un contenzioso durato circa 12 anni, in data (OMISSIS), con atto pubblico n. rep. (OMISSIS) not. B., procedeva ad attribuzioni successorie a seguito del riconoscimento dei diritti di legittima a favore dei figli. L’Agenzia delle Entrate, con gli avvisi di liquidazione oggetto di impugnazione, invocando il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, ipotizzava di fatto un trasferimento di beni immobili tra la madre M.F. e il figlio L.F., tassando ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali un valore di Euro 3.350,500, in riferimento al fondo agricolo e di Euro 697.408, 58 in riferimento ai fabbricati, sulla scorta di stima eseguita dal proprio ufficio tecnico, allegata agli avvisi di liquidazione, con imposta reclamata di Euro 566.012, oltre interessi e sanzioni.

I giudici della Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza impugnata, hanno accolto l’appello del contribuente rilevando che le statuizioni giudiziali coperte dal giudicato hanno comportato la ricostituzione dell’asse ereditario e che quanto pervenuto a L.F., per effetto della volontà negoziali consacrate da tutti i coeredi dell’atto notarile definito “attribuzioni successorie a seguito del riconoscimento dei diritti di legittima”, non era frutto di un acquisto a titolo oneroso a detrimento del patrimonio della parte indicata come cedente, ma piuttosto il congiunto e volontario riconoscimento, da parte di tutti i contraenti, che i suoi diritti ereditari potessero essere tacitati e soddisfatti con l’assegnazione dei beni immobili ivi individuati.

La Commissione Tributaria Regionale argomenta, altresì, che l’attribuzione a favore di L.F. non contempla l’erogazione di alcun corrispettivo, pertanto “riesce difficile immaginare essersi in presenza di un trasferimento di diritti immobiliari a titolo oneroso come opinato dall’Ufficio nell’avviso di liquidazione e confermato dai primi giudici”.

2.2. L’accertamento della natura transattiva, o meno, di un negozio è rimesso all’apprezzamento di fatto del giudice di merito ed è sottratto al sindacato di legittimità, salvo che la motivazione non consenta la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per giungere ad attribuire al negozio un determinato significato, oppure nel caso di violazione delle norme di ermeneutica ex art. 1362 c.c., ovvero se la relativa decisione non sia sorretta da una motivazione congrua, logica e completa (Cass. n. 17871 del 2005).

Il principio è ampiamente condiviso da questa Corte che ha affermato: “In tema di interpretazione dei contratti, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata, ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui gli artt. 1362 c.c. e ss…. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione della norma asseritamente violata ed ai principi in essa contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insti scienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. n. 19507 del 2014, Cass. n. 9054 del 2013; Cass. n. 17168 del 2012; Cass. n. 13242 del 2010).

2.3. Nella fattispecie, il convincimento espresso dal giudice di appello risulta raggiunto mediante il corretto svolgimento d’attività interpretativa delle clausole contrattuali.

Come precisato dalle pronuncia sopra citate, l’opera dell’interprete, finalizzata a determinare una realtà storica ed obiettiva, quale è la volontà delle parti rappresentata nel paradigma contrattuale, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c., oltre che per vizi di motivazione espressi nell’applicazione di essi. Ne consegue che, onde far valere una violazione sotto entrambi i profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo, fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

A tali oneri processuali non si è ottemperato, atteso che l’Agenzia delle Entrate ha omesso di specificare in ricorso con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati e se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, ma si è limitata a dedurre che i giudici di appello non avrebbero interpretato il contratto nel senso da lei auspicato.

La censura in realtà si risolve in una sostanziale contestazione della valutazione probatoria della Corte territoriale e dell’accertamento in fatto dalla stessa operato, esprimendo critiche in concreto generiche, in violazione del requisito di specificità (ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4). Invero, le ragioni articolate nel motivo non colgono la rilevanza attribuita al contratto dalle parti, denominato “attribuzioni successorie a seguito del riconoscimento dei diritti di legittima”, evidenziata invece dal giudice del merito, il quale ha precisato, con motivazione congrua e priva di vizi logici, come il trasferimento di beni non era frutto di un acquisto a titolo oneroso a detrimento del patrimonio della parte indicata come cedente, ma piuttosto il congiunto e volontario riconoscimento da parte di tutti i contraenti che i diritti ereditari di L.F. “potessero essere tacitati e soddisfatti con l’assegnazione dei beni immobili ivi individuati”. Da ultimo, va, altresì, evidenziato che tali diritti erano stati riconosciuti dal Tribunale di Mantova con sentenza non definitiva n. 1338/2010, il quale, sul presupposto della validità del testamento olografo, aveva rilevato una lesione della quota di legittima spettante ai figli, sicchè, con successiva sentenza non definitiva n. 690/2012, preso atto che nessuna delle parti aveva richiesto di procedere alla vendita del compendio ereditario, aveva indicato alcuni criteri da adottare al fine della soluzione della controversia (v. ricorso dell’Agenzia delle Entrate). Ne consegue che, nella specie, sulla base dei suddetti rilievi, nessuna res dubia poteva ritenersi sussistente.

3. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 10.000,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

 

 

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