Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16028 del 02/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 02/08/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 02/08/2016), n.16028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12140-2013 proposto da:

G.B.V. STUDIO SRL, (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore unico pro tempore V.G.B.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo

studio dell’avvocato LUCIO VALERIO MOSCARINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE BENEDETTI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MAGLIFICIO GIBI SPA, in persona dell’unico amministratore e

rappresentante legale, sig.ra B.L., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FERDINANDO DI SAVOIA 3, presso lo studio

dell’avvocato AMEDEO GAGLIARDI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato AMEDEO MARIA GAGLIARDI giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4620/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito l’Avvocato BRUNO TAVERNITI per delega;

udito l’Avvocato AMEDEO MARIA GAGLIARDI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del 2 e 3

motivo, assorbito il 1, in subordine degli altri motivi del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La G.B.V. Studio S.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma la Maglificio GI.BI. S.p.a. per sentirla condannare al pagamento della somma di 240.000.000, stante l’immotivato recesso, da parte della società convenuta, dal contratto tra le parti avente ad oggetto i disegni e la realizzazione di collezioni di abiti.

La Maglificio GI.BI. S.p.a. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e proponendo altresì domanda riconvenzionale volta ad ottenere il risarcimento dei danni ad essa causati dal grave inadempimento dell’attrice.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11038/2003, condannava la convenuta al pagamento, in favore della G.B.V. Studio S.r.l., della somma di Euro 123.949,00, a titolo di risarcimento del danno, nonchè alle spese del giudizio, e rigettava la domanda riconvenzionale proposta.

Avverso tale decisione la Maglificio GI.BI. S.p.a. proponeva impugnazione, cui resisteva la G.B.V. Studio S.r.1., la quale proponeva, a sua volta, appello incidentale.

La Corte di appello di Roma, con sentenza depositata in data 25 settembre 2012, parzialmente riformando la sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello principale, rigettava la domanda proposta in primo grado dalla G.B.V. Studio Srl. rigettava, l’appello incidentale, compensava integralmente le spese del giudizio di primo grado e condannava la G.B.V. Studio S.r.l. alle spese del giudizio di secondo grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito la G.B.V. Studio S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quindici motivi.

Ha resistito con controricorso la Maglificio GI.BI. S.p.a..

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e di ogni altra norma e principio in materia di doverosa specificità dei motivi di appello (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto che essa, “invece di sottoporre a specifica critica il percorso logico seguito dal Tribunale”, si sarebbe limitata a riportarsi in foto alla comparsa conclusionale depositata in primo grado, il che è contestato dalla G.B.V. Studio S.r.l..

1.1. Il motivo è inammissibile.

La doglianza, infatti, non coglie nel segno, e comunque, in relazione alla stessa, difetta l’interesse della ricorrente, atteso che la parte censurata della sentenza impugnata, riportata testualmente in ricorso, è riferita (v. detta sentenza, p. 5) dalla Corte di merito all’appellante principale – che è la Maglificio GI.BI. S.p.a. – nell’esaminare il secondo motivo di gravame da quest’ultima proposto, e non già all’appellante incidentale, attuale ricorrente, il cui unico motivo di impugnazione è stato ritenuto dalla Corte territoriale infondato e non inammissibile per genericità.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del combinato disposto degli artt. 2227 e 2237 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”, la società ricorrente censura il capo della pronuncia con cui è stato accolto l’appello della Maglificio GI.BI. S.p.a., sostenendo l’intrinseca erroneità della scelta ermeneutica operata dalla Corte territoriale, che ha ritenuto applicabile al contratto di prestazione d’opera del disegnatore di moda la disciplina speciale dettata dal codice stipulato per l’esercizio di professioni intellettuali (art. 2229 c.c. e in particolare l’art. 2237 c.c.) piuttosto che la disciplina dettata dalle disposizioni generali del lavoro autonomo e in particolare dall’art. 2227 c.c..

2.1. Il motivo è infondato.

In disparte la questione del giudicato che si sarebbe formato, in difetto di specifica impugnazione sia pure incidentale sul punto, secondo quanto dedotto, in modo non del tutto chiaro in controricorso e meglio precisato in memoria, dalla controricorrente, si osserva che, come già affermato da questa Corte – e tale principio va ribadito in questa sede – ben può sussistere un contratto di prestazione d’opera intellettuale in difetto di iscrizione del prestatore d’opera in albi o elenchi, quando l’iscrizione stessa non sia richiesta dalla legge per l’esercizio della professione: l’accertamento dei fatti suscettibili di inquadrare la prestazione di lavoro nella fattispecie del contratto d’opera (art. 2222 c.c.) o in quello d’opera intellettuale (art. 2230 c.c.), in quanto rimesso al giudice del merito, e incensurabile in sede di legittimità, ove adeguatamente e logicamente motivato ed immune da errori di diritto (Cass. 25/07/1978, n. 3726).

In ogni caso, è innegabile la natura intellettuale dell’attività del disegnatore di moda, che svolge sicuramente un’attività creativa.

A quanto precede va poi aggiunto che questa Corte ha avuto già modo di affermare il principio, che va pure confermato in questa sede, secondo cui l’art. 2230 c.c., relativo alla prestazione d’opera intellettuale, stabilisce che il relativo contratto è disciplinato dalle norme contenute nel capo secondo del titolo terzo del libro quinto del codice civile, nonchè, se compatibili, da quelle contenute nel capo precedente riguardanti il contratto d’opera in generale; pertanto, poichè la disciplina del recesso unilaterale dal contratto dettata dall’art. 2237 c.c. non è compatibile con quella dettata dall’art. 2727 c.c. per il contratto d’opera in generale (stabilendo il primo che, in caso di recesso del cliente, al prestatore d’opera spetta il rimborso delle spese sostenute ed il corrispettivo per l’opera eseguita, non anche il mancato guadagno, come previsto dal secondo), ne deriva che la norma speciale (art. 2237 c.c.) prevale sulla seconda (art. 2227 c.c.), di carattere generale, in ragione delle peculiarità che contraddistinguono la prestazione d’opera intellettuale (Cass. 4/03/2002, n. 3062).

3. Con il terzo motivo “subordinato”, lamentando “violazione e falsa applicazione degli artt. 2229 e 2230 c.c.”, la ricorrente assume che “l’ipotizzata fattispecie anche sul piano sociale resta del tutto inesistente” e che la Corte di merito, nel ritenere l’attività del disegnatore di moda quale prestazione professionale, si limiterebbe ad affermare che essa rientra nelle attività “svolte con diligenza e cura”.

4. Con il quarto motivo, rubricato “difetto assoluto di motivazione circa la qualificazione della fattispecie, al di là della riportata rubrica, si lamenta l’inadeguatezza” e l’insufficienza” della motivazione, sostenendosi che l’unica ragione addotta nella sentenza impugnata a supporto dell’affermazione che quella svolta dal disegnatore di moda è un’opera intellettuale consisterebbe nell’essere essa attività svolta “con intelligenza e cura”.

5. Con il tredicesimo motivo si deduce “violazione, sotto altro profilo, delle stesse norme e principi di cui al precedente motivo terzo, sempre in connessione con la totale carenza di motivazione su dati istruttori pacificamente acquisiti dalla Corte d’Appello e dalla stessa totalmente ignorati”.

Assume la ricorrente che pur, restando convinta della fondatezza del primo motivo di ricorso e, quindi, del suo buon diritto a percepire, un volta acclarata l’illegittimità dell’esercizio, da parte della Maglificio GI.BI. S.p.a., del potere di recesso, il risarcimento del danno per l’intero mancato guadagno (pari al compenso pattuito per l’espletamento dell’intero incarico), in via subordinata sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto confermare la condanna della committente al pagamento del giusto compenso per l’opera effettivamente prestata fino al momento del recesso della quale sarebbe stata fornita prova e lamenta che la Corte di merito avrebbe ignorato i dati istruttori acquisiti.

6. I motivi terzo, quarto e tredicesimo possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi.

6.1. Si osserva che non rileva nella specie la lamentata mancanza di organizzazione nè si comprende cosa precisamente intenda sostenere la ricorrente, ai fini che rilevano in questa sede, deducendo che “l’ipotizzata fattispecie anche sul piano sociale resta del tutto inesistente”.

6.2. Nel resto del terzo motivo si lamenta, in sostanza, al di là della rubrica, l’insufficienza della motivazione, pure dedotta con il quarto mezzo mentre nel tredicesimo motivo si lamenta, tra l’altro, la carenza di motivazione in relazione ai dati istruttori acquisiti.

6.2.1. Si evidenzia che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 25 settembre 2012, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività’, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nei motivi all’esame e relative ai vizi motivazionali, la ricorrente, lungi dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ripropone, inammissibilmente, lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis.

6.3. Nel resto il tredicesimo motivo risulta sostanzialmente generico e comunque tende ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.

7. Con il quinto motivo si deduce “violazione degli artt. 112 c.p.c. e ss. e di ogni altra norma e principio in materia di ripartizione tra compiti ed oneri della parte, che comprendono la formulazione del proprio petitum e l’allegazione e la dimostrazione dei fatti che ne costituiscono la causa petendi, e compiti ed oneri, del giudice, al quale soltanto spetta il potere-dovere di individuare e accertare il profilo di diritto che collega la seconda (causa petendi) al primo (petitum), e connesso vizio di totalmente omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, e dei dati istruttori ad essi relativi acquisiti al processo(art. 360 c.p.c., n. 3 e 5)”.

La ricorrente, premesso di essersi limitata, in appello, a chiedere puramente e semplicemente la conferma della sentenza di primo grado, riferita alla componente di danno costituita dal mancato guadagno, lamenta che la Corte di appello, pur avendo essa – a suo avviso -allegato e provato di aver materialmente eseguito in favore della committente una copiosa serie di prestazioni lavorative, non abbia riconosciuto, in suo favore, quanto meno il giusto compenso dovuto. 7.1. Il motivo va disatteso, dovendo ribadirsi quanto già osservato in relazione alle censure veicolate con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al par. 6.2.1., non sussistendo, inoltre, alla luce di quanto rappresentato dalla stessa ricorrente, la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c. e tendendo, infine, il mezzo ad una rivalutazione del merito, inammissibile in questa sede.

8. I motivi sesto, settimo, ottavo, nono, decimo, undicesimo, dodicesimo e quattordicesimo recano tutti la medesima seguente rubrica: “violazione, sotto altro profilo, delle stesse norme e principi di cui ai precedenti motivi quarto e quinto, sempre in connessione con una totale carenza di motivazione su dati istruttori pacificamente acquisiti dalla Corte d’Appello e dalla stessa totalmente ignorati (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.

8.1. I motivi da ultimo indicati, con cui si lamenta violazione di legge e difetto totale di motivazione in ordine a dati istruttori acquisiti, ben possono essere unitariamente esaminati e vanno disattesi per le medesime ragioni già espresse al par. 5.7.1..

9. Con il quindicesimo motivo si deduce “violazione degli artt. 1224 c.c. e di ogni altra norma e principio in materia di risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento delle obbligazioni”.

La ricorrente, premesso che il Tribunale aveva accolto il capo della domanda da essa proposta, avente ad oggetto il risarcimento del danno da mancato guadagno, omettendo però di accogliere la domanda ulteriore relativa alla rivalutazione ed interessi, pure avanzata, lamenta che la Corte di merito abbia “assorbito e travolto” pure quest’ultima pretesa e sostiene che anche per questo la sentenza impugnata debba essere cassata.

9.1. 11 motivo è infondato.

La Corte di merito ha, infatti, evidenziato che, stante il rigetto della domanda risarcitoria, nulla è dovuto a titolo di interessi e rivalutazione e la predetta statuizione di rigetto della domanda della società attrice, attuale ricorrente, contenuta nella sentenza impugnata non è stata, per le ragioni sopra precisate, validamente contestata in questa sede.

10. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del ciot. Art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori, come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2016

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