Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16023 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. VI, 21/07/2011, (ud. 27/01/2011, dep. 21/07/2011), n.16023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

A.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CERESIO 24, presso lo studio dell’avvocato ACQUAVIVA CARLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DIECI GIANCARLO, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ GHIO SPA in liquidazione (OMISSIS), in persona del suo

legale rappresentante liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI

MARCO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DEL

FRANCO GIORGIO, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2765/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato Spani Gian Marco, (delega avvocato Vincenti Marco),

difensore della controricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

nulla osserva.

Fatto

OSSERVA

Al relatore, nominato ai sensi dell’art. 376 cod. proc. civ. è apparso possibile definire il giudizio ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., comma 1, n. 1 e pertanto ha redatto la relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., del seguente tenore:

“Con sentenza del 5 novembre 2 009 la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello dell’impresa s.p.a. Ghio – che il Tribunale aveva condannato a pagare ad A.A. la metà dei danni liquidata in Euro 3.710,00 ritenendola corresponsabile, quale impresa esecutrice dei lavori (art. 2051 c.c.), della caduta verificatasi per la disconnessione del cordolo del marciapiede – non avendo l’ A. provato il nesso di causalità tra la caduta e il tratto del marciapiede, ben visibile dalle foto, non asfaltato e che si allargava verso il cordolo sporgente rispetto al piano di calpestio.

Ricorre per cassazione la soccombente per “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto” ex art. 360 c.p.c., n. 3 e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5″ per non aver considerato che il teste L.C., che aveva soccorso l’ A., aveva dichiarato che era ancora a terra nel luogo raffigurato dalle foto e che la stessa gli aveva dichiarato che era inciampata dove mancava l’asfalto, come aveva poi riferito anche al vigile B. e per aver contraddittoriamente affermato che “dal solo fatto certo della situazione di quel tratto del marciapiede e del ritrovamento della A. per terra in prossimità dello stesso, può trarsi l’unica conseguenza che quest’ultima sia caduta per aver inciampato nel cordolo”. E poi “Ed invero in difetto di altri più pregnanti elementi può ipotizzarsi anche che l’ A. sia caduta mentre camminava sul tratto asfaltato in prossimità di quello in contestazione e che la caduta sia stata determinata da altre cause come ad esempio per proprio errore nel camminare”, senza considerare che sul tratto asfaltato non vi era possibilità di inciampare, nè i fermi principi secondo cui la responsabilità presunta del custode è esclusa soltanto dal fortuito (che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato).

Il motivo è manifestamente infondato essendosi la Corte conformata al fermissimo principio secondo cui il danneggiato per ottenere il risarcimento da parte del custode, deve dimostrare l’esistenza del danno e la sua derivazione causale dalla cosa (Cass. 11227, 20427/2008) ed avendo nella fattispecie escluso, con motivazione congrua, l’idoneità degli elementi probatori addotti a tal fine.

Il ricorso perciò va respinto”.

La relazione è stata comunicata ai difensori delle parti e al Pubblico Ministero. Le parti non hanno depositato memoria. Il Pubblico Ministero non ha mosso osservazioni.

Pertanto il collegio ha condiviso la relazione.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese tra le parti costituite.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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