Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16022 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 21/07/2011), n.16022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PANNONE OTTAVIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.A., S.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che

li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1881/2 006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/08/2006 r.g.n. 1001/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PANNONE OTTAVIO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità per S. e

M..

Fatto

Con ricorso, al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, regolarmente notificato, M.A., assunto dalla società Poste Italiane s.p.a. con diversi contratti a tempo determinato, il primo dal 14.10.1997 al 31.1.1998, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, il secondo dall’8.6.1998 al 30.9.1998 per “la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre”, ed il terzo dal 4.11.1998 al 31.1.1999 (successivamente prorogato al 31.3.1999) parimenti per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, i contratti si erano convertiti in contratti a tempo indeterminato. Chiedeva pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti rapporti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con ricorso al medesimo Tribunale, regolarmente notificato, S. A., assunta dalla società Poste Italiane s.p.a. pur essa con diversi contratti a tempo determinato, il primo dal 16.2.1998 al 30.4.1998 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, il secondo dal 15.6.1998 al 30.9.1998 per la necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre”, ed il terzo dal 2.11.1998 al 31.1.1999 (successivamente prorogato al 31.4.1999) parimenti per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione, rilevava la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, i contratti chiedendo che venisse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratto a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Procedutosi alla riunione dei ricorsi il Tribunale adito, con sentenza n. 5334 del 23.1.2003 dichiarava la sussistenza, tra ciascuna parte ricorrente e la società, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla data delle proroghe, condannando la società ai pagamento delle retribuzioni dovute.

Avverso tali sentenze proponeva appello la società datoriale lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con i ricorsi introduttivi; e proponevano altresì appello incidentale gli originari ricorrenti chiedendo l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dal primo rapporto istauratosi tra le parti.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 28.2/2.8.2006, rigettava l’appello proposto dalla società e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dai lavoratori, dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato da 14.10.1997 nei confronti del M. e dal 16.2.1998 nei confronti della S..

In particolare la Corte territoriale rilevava che i contratti in questione, stipulati per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione, non contenevano alcuna indicazione in ordine alla effettiva esistenza di esigenze di carattere straordinario e temporaneo concretamente riferibili alle assunzioni predette.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a con cinque motivi di impugnazione.

Resistono con controricorso gli intimati.

Il M. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. 18 aprile 1962, n. 230; violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione alla L. L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23; violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1362 e segg. c.c..

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la causale del contratto in questione si sarebbe risolta in una proposizione del tutto generica in quanto priva di alcun riferimento alle specifiche esigenze che avevano determinato l’assunzione del lavoratore.

Col secondo motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1362 e segg. c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’efficacia dell’accordo del 25.9.1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 1994.

In particolare osserva che in maniera assolutamente arbitraria la Corte territoriale aveva ritenuto che l’ipotesi prevista dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, dovesse essere necessariamente correlata ad una precisa limitazione temporale.

Col terzo motivo di ricorso a società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 230 del 1962, alla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed agli artt. 1362 e segg.

c.c..

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che e ipotesi di contratti a termine previste dalla contrattazione collettiva ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 dovessero essere interpretate alla luce della L. n. 230 del 1962, art. 1, sicchè si sarebbe posta l’esigenza della stretta interdipendenza causale tra l’assenza del lavoratore sostituito e l’assunzione di altro lavoratore con contratto a termine, mediante la prescrizione dell’obbligo dell’indicazione dei nome del lavoratore sostituito.

Col quarto motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 230 del 1962, alla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed agli artt. 1362 e segg.

c.c..

In particolare rileva che la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimità dei contratti in questione sotto il profilo che gli stessi non contenevano alcuna concreta indicazione delle ragioni di stipulazione del termine, sottese alla previsione, astratta e programmatica, dell’accordo collettivo, in tal modo incorrendo in un evidente vizio di violazione e falsa applicazione della normativa legale (L. n. 56 del 1997, art. 23), avuto riguardo alla pienezza della delega conferita dalla L. n. 56 del 197, ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste.

Col quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c..

Rileva in particolare che erroneamente fa Corte territoriale aveva condannato la società al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data della pretesa messa in mora, e cioè dalla data di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, incorrendo in tal modo nella palese violazione dei principi e delle norme di legge sulla corrispettività delle prestazioni, avendo la giurisprudenza evidenziato che la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente; ed erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta della società di valutare l’aliunde perceptum, al fine di dedurre i ricavi conseguiti dal lavoratore e che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa, aggiungendo che la percezione da parte del lavoratore di altre somme dopo l’interruzione della funzionalità di fatto del rapporto non poteva che essere genericamente dedotta dalla società.

Posto ciò rileva il Collegio, per quel che riguarda la posizione della S., che in corso di causa è stato depositato un verbale di conciliazione in sede sindacale in data 23.10.2008 concernente la presente controversia, debitamente sottoscritto dalla lavoratrice interessata, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a.; dal suddetto verbale di conciliazione risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge.

Il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti della lavoratrice sopra indicata in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278).

In definitiva il ricorso, proposto nei confronti della S., deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse; tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse le spese dei giudizio di cassazione.

E’ parimenti inammissibile il presente ricorso in relazione alla posizione del M..

Ritiene in proposito il Collegio di dover preliminarmente rilevare la mancata ottemperanza da parte della società ricorrente all’onere di formulare il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., inserito nel codice di rito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, sanzionata espressamente con l’inammissibilità del ricorso.

In proposito rileva il Collegio che l’art. 27, il D.Lgs. in questione prevede che le disposizioni del capo 1 del suddetto decreto, ad eccezione di quelle contenute negli artt. 1 e 19, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore di tale decreto; e pertanto la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotta per come detto dall’art. 6 del decreto in questione, troverà applicazione nel caso di specie, versandosi in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza pubblicata in data posteriore (decisione del 28.2.2006 depositata in cancelleria il 2.8.2006) alla data (2.3.2006) di entrata in vigore del decreto legislativo.

Va, pertanto, dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto nei confronti dei M..

A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento nei confronti dei predetto delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del giudizio fra la società ricorrente e S.A.; condanna la predetta ricorrente alla rifusione, nei confronti di M. A., delle spese dei presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 40,00, oltre Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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