Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16021 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 21/07/2011), n.16021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio

dell’avvocato TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e

difesa

dall’avvocato MINUTOLO BONAVENTURA, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAGLIARELLO

ANGELO GIOACCHINO MARIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 550/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/07/2006 r.g.n. 9/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16 maggio 2006 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 12 novembre 2003 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. con C. A. in data 9 ottobre 2002 con termine al 31 dicembre 2002, ed è stata condannata la stessa società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno. La Corte territoriale ha motivato tale provvedimento considerando che gli accordi sindacali prevedevano la possibilità della stipula di contratti di lavoro a termine nel periodo considerato, solo in presenza di specifiche esigenze organizzative che il datore di lavoro è comunque tenuto a provare e che il lavoratore, nel caso in esame, aveva dimostrato essere assenti.

Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato in tre motivi.

Resiste con controricorso il C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., e omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione. In particolare si deduce l’omesso esame dei mezzi istruttori ritualmente proposti dalla società Poste Italiane e volti a dimostrare la sussistenza delle esigenze sostitutive che legittimavano il contratto a termine in questione.

Con secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., art. 1419 cod. civ., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 cod. proc. civ.. In particolare si assume che la norma, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non comporterebbe la sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato, mentre la nullità parziale del contratto comporterebbe l’applicazione della disciplina dell’art. 1419 cod. civ..

Con terzo motivo si lamenta che è stato disposto il pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data della messa in mora anzichè dell’effettiva ripresa della attività lavorativa.

Il primo motivo è inammissibile per l’inidoneità del quesito di diritto proposto ex art. 366 bis. cod. proc. civ. La ricorrente ha infatti proposto il seguente quesito “Se, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., il Giudice sia tenuto a valutare tutte le prove dedotte dalle parti, ovvero possa ignorare le prove fornite da una parte pur in assenza di qualunque prova contraria dedotta dall’altra parte, nonchè se ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., il Giudice possa pervenire all’accoglimento delle pretese di una parte in assenza di qualsivoglia prova a sostegno delle medesime ed anzi in presenza di significativi elementi di prova che depongano in senso contrario”.

Tale quesito risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4 gennaio 2001 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30 ottobre 2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7 aprile 2009 n. 8463). Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente indichi se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) sia stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass. 15 febbraio 2003 n. 2331, Cass. 10 luglio 2001 n. 9336).

I successivi motivi di ricorso sono conseguentemente assorbiti.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in Euro 20,00,oltre ad Euro 2.500,00 per onorario, più spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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