Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16020 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 09/06/2021), n.16020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23642/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

Fallimento di (OMISSIS), in persona del curatore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle

Marche, n. 40/1/13, depositata il 9 luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18 gennaio

2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 9 luglio 2013, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio aveva rettificato la dichiarazione resa per l’anno 2003, recuperato le maggiori imposte accertate non versate e irrogate le relative sanzioni;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo era stata contestata alla contribuente, esercente l’attività di impresa nel settore delle telecomunicazioni, la contabilizzazione di costi ritenuti non inerenti, in relazione a quote di ammortamento di beni di proprietà, ma utilizzati da altri operatori, e ad ammortamenti immateriali relativi a lavori svolti all’interno di abitazioni di pregio finalizzati a migliorarne l’aspetto o la funzionalità per i residenti utilizzatori;

– il giudice di appello, condividendo la motivazione della Commissione provinciale, ha ritenuto, quanto al primo rilievo, che il costo si riferiva a spese per acquisto di beni strumentali utilizzati da società collegate che svolgevano attività inerenti a quella della contribuente e strumentali alla produzione di quest’ultima, in quanto tali ammortizzabili, e, quanto al secondo rilievo, che i lavori si riferivano a due immobili adibiti ad uso promiscuo, essendo destinati (anche) allo svolgimento dell’attività di impresa, per cui corretta era stata l’imputazione del relativo costo nel conto economico nella misura del 50% e la relativa deduzione dall’imponibile e detrazione dell’i.v.a. di rivalsa assolta;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– il Fallimento di (OMISSIS), intervenuto nelle more del giudizio di appello, non spiega alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia, con riferimento al primo rilievo, la violazione e falsa applicazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’utilizzo dei beni in oggetto da parte di società collegate determinasse la deducibilità del relativo costo, pur in assenza di un accertamento in ordine all’inerenza dello stesso e alla strumentalità dei beni rispetto all’attività esercitata dalla contribuente proprietaria;

– il motivo è inammissibile;

– la doglianza poggia sull’assunto che la Commissione regionale abbia riconosciuto corretta la deduzione operata in proposito dalla contribuente senza effettuare il doveroso accertamento in ordine alla inerenza del costo e alla strumentalità dei beni acquistati rispetto all’attività esercitata;

– tale assunto, tuttavia, è del tutto indimostrato e, anzi, riceve espressa smentita nella sentenza di appello, in cui si afferma che “trattavasi di attrezzature e materiali in ogni caso strettamente strumentali e inerenti all’attività svolta dalla ditta La Marchigiana di D.M.T…. utilizzati in parte anche dalla ditta in esame”;

– orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);

– con il secondo e ultimo motivo la ricorrente deduce, con riferimento al secondo rilievo, la violazione e falsa applicazione del T.U. n. 917 del 1986, art. 75, per aver la sentenza impugnata riconosciuto l’inerenza delle spese sostenute per la realizzazione di modifiche strutturali dell’abitazione della contribuente, in quanto tali estranee all’esercizio dell’impresa;

– il motivo è infondato;

– giova rammentare che è principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sè, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo (cfr. Cass. 21 novembre 2019, n. 30366; Cass. 17 luglio 2018, n. 18904);

– ciò posto, la Commissione regionale ha riferito che gli immobili in oggetto “costituivano, all’epoca dei fatti, l’uno la sede dell’attività… e l’altro una unità locale operativa”, riferendo che gli stessi verificatori hanno riconosciuto che la contribuente svolgeva la propria attività utilizzando anche i locali ricavati nei due immobili, allestiti a studi televisivi destinati alla realizzazione dei programmi televisivi oggetto dell’attività di impresa;

– ha, dunque, concluso per l’uso promiscuo dei beni e per la (parziale) inerenza delle relative spese di ristrutturazione, sostenendo, conseguentemente, che i costi in oggetto sono stati correttamente ammortizzati nella misura del 50%;

– il giudizio positivo espresso in ordine alla sussistenza del requisito dell’inerenza si sottrae alla censura prospettata dall’Amministrazione finanziaria, avuto riguardo alla relazione funzionale esistente tra la spesa sostenuta, ossia la ristrutturazione degli immobili, e lo svolgimento dell’attività d’impresa esercitata, consistente nell’utilizzo di tali immobili per la realizzazione dei programmi televisivi, costituenti l’oggetto dell’attività di impresa;

– pertanto, per le suesposte considerazioni il ricorso non può essere accolto;

– in assenza di attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa, nulla deve disporsi in ordine al governo delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

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