Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1602 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. II, 26/01/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 26/01/2021), n.1602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12579/2018 proposto da:

C.M., rappresentato e difeso dagli Avvocati

C.M., (in proprio) e STEFANO D’ACUNTI, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio del secondo in ROMA, VIALE delle MILIZIE 9;

– ricorrente –

contro

CONSOB – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona

del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata presso la

propria sede in ROMA, VIA G.B. MARTINI 3, e rappresentata e difesa

dagli Avvocati SALVATORE PROVIDENTI, GIANFRANCO RANDISI, SIMONA

ZAGARIA e ANTONIA GIALLONGO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2017 della CORTE d’APPELLO di TORINO,

pubblicata il 16/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/06/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per

l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato C.M. (in proprio) ricorrente, che ha

concluso come in atti, chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito gli Avv. GIANFRANCO RANDISI e ANTONIA GIALLONGO per la Consob,

che hanno concluso come in atti, chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con Delib. 21 dicembre 2016, n. 19821, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) riteneva accertata la violazione da parte di C.M., in qualità di Presidente del Collegio Sindacale della Banca Intermobiliare di Investimenti e Gestioni s.p.a. (BIM), assieme ad altri componenti del Collegio Sindacale di BIM, dell’art. 149, comma 1, lett. a) del TUF, per aver omesso di vigilare sul rispetto della legge e del Regolamento OPC in riferimento all’operazione di cessione da BIM a Veneto Banca della partecipazione dalla prima detenuta in Banca IPIBI Financial Advisory s.p.a., irrogandogli la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 35.000,00.

In particolare, in data 7.8.2014, Veneto Banca acquistava dalla controllata BIM il 67,22% del capitale sociale di IPIBI al prezzo di Euro 1,02 per azione. In pari data, Veneto Banca cedeva alla Capital Shuttle s.p.a. il 55% del capitale sociale di IPIBI al medesimo prezzo unitario: la cessione si perfezionava il 5.3.2015 a seguito del rilascio dell’autorizzazione da parte della competente autorità di vigilanza. Capital Shuttle era “società veicolo”, partecipata, tra gli altri, da M.A., che era A.D. di Capital Shuttle e di IPIBI, di cui era stato Direttore Mercato e membro del C.d.A..

Interveniva anche un accordo separato tra Veneto Banca, BIM e il M. con cui era confermata l’efficacia di due opzioni call e put aventi ad oggetto l’acquisto e la vendita di azioni IPIBI, accordate al M. il 10.10.2008, contestualmente alla cessione a BIM del 67% del capitale sociale di IPIBI: a) l’opzione call nei confronti di Veneto Banca prevedeva il diritto del M. di acquistare l’1,75% di azioni IPIBI detenute dalla Banca a un prezzo fisso di Euro 1,15 per azione; b) l’opzione put nei confronti di BIM prevedeva l’obbligo per la società di acquistare tutte le azioni IPIBI detenute dal M. a un prezzo da determinarsi in base a una formula concordata dalle parti. Con tale accordo separato il M. attribuiva a Veneto Banca il diritto di sostituirsi a BIM quale soggetto passivo dell’opzione put e Veneto Banca si impegnava a esercitare tale diritto, ottenendo da BIM l’importo di Euro 3.242.250,00.

Un ulteriore accordo interveniva tra Veneto Banca e una “cordata di investitori”, aggregata attorno a D.P., Vice Presidente e azionista di BIM con una partecipazione del 9,685% e, all’epoca dell’operazione, censito da Veneto Banca quale sua parte correlata. Tale accordo consisteva nella cessione da parte di Veneto Banca a tale cordata di investitori della sua partecipazione di maggioranza al capitale sociale di BIM (c.d. cessione BIM).

Le irregolarità riscontrate dalla Consob riguardavano: a) la cessione della partecipazione di BIM in IPIBI a Veneto Banca e l’accordo accessorio nella parte riguardante l’opzione put: che non erano stati deliberati regolarmente e non erano stati monitorati sotto il profilo dell’interesse di BIM; b) la connessione tra cessione IPIBI e cessione BIM: che gli amministratori indipendenti (Comitato OPC) non avevano esaminato la connessione tra le due cessioni, limitandosi ad affermare che l’operazione era economicamente conveniente, sostanzialmente corretta e non avrebbe comportato pregiudizi per gli azionisti di minoranza della BIM; c) la mancata considerazione che il D. era parte correlata, perchè partecipante alla cordata di investitori.

C.M. proponeva opposizione avanti alla Corte d’Appello di Torino avverso la suddetta Delib. della Consob, in quanto illegittima e come tale da disapplicare, deducendo: a) che la procedura sanzionatoria seguita da Consob non rispettava la separazione tra funzione istruttoria e funzione decisoria; nè rispettava la garanzia di piena conoscenza degli atti istruttori, con incidenza sul contraddittorio e sul diritto di difesa; b) l’omessa motivazione della Delib. contestata, che si richiamava alle considerazioni che chiudevano la fase istruttoria; c) l’omesso esame delle controdeduzioni dell’opponente, che aveva esposto e documentato l’intensissima attività svolta quale Presidente del Collegio Sindacale di BIM, sottolineando le criticità presenti nell’assetto economico funzionale e in quello organizzativo funzionale sia di BIM che della controllante Veneto Banca, incidenti negativamente sull’attività di controllo, che comunque il C. aveva svolto con la necessaria diligenza; d) nel merito, che l’opponente aveva svolto effettivi controlli nonostante le citate criticità di BIM e di Veneto Banca; e) che nella seduta consiliare del 4.8.2014 aveva richiesto chiarimenti e si era riservato ulteriori approfondimenti sull’opzione put; f) che tra l’operazione di cessione IPIBI e quella di cessione BIM mancava qualsiasi elemento che potesse consentire di ritenerle come unica operazione complessa; g) che BIM non aveva trasferito alcunchè al D., nè aveva assunto obbligazioni nei suoi confronti, per cui non poteva essere considerato parte correlata di BIM; h) che la responsabilità del Collegio Sindacale presuppone che siano riscontrati abusi gestionali e/o irregolarità e/o violazioni di discipline applicabili da parte degli Amministratori, insussistenti nel caso di specie; i) che avrebbe dovuto trovare applicazione, se si considerava vigente il testo precedente dell’art. 193, comma 3 lett. a) TUF, la sanzione minore prevista dal comma 2 del suddetto articolo (Euro 5.000,00-1.000,00), con applicazione della sanzione più grave, che corrispondeva a quella inferiore, introdotta dalla riforma del 2015, se si riteneva l’applicabilità anche alle sanzioni amministrative della retroattività favorevole della legge penale; l) che non era stata adeguatamente valutata, ai fini dell’entità della sanzione, l’attività di controllo effettivamente svolta dal ricorrente.

Con sentenza n. 47/2017, depositata in data 16.10.2017, la Corte d’Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’opposizione, rideterminava la sanzione pecuniaria irrogata a C.M. in Euro 25.000,00, condannando il medesimo al pagamento delle spese processuali, nella misura di due terzi, compensandole tra le parti per il rimanente terzo.

In particolare, la Corte territoriale osservava, con sentenza n. 18640/2014, come la Corte EDU abbia riconosciuto che lo Stato italiano può attribuire a un’autorità amministrativa come la Consob il potere di applicare sanzioni “penali”, come quelle relative agli illeciti di cui all’art. 187 ter del TUF, anche se tale possibilità presupponga che la decisione della Consob sia sottoposta al controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione, quale la Corte d’Appello, che deve assicurare la trattazione e la discussione in pubblica udienza. Tuttavia, la suddetta sentenza si era pronunciata con riferimento alla norma regolamentare precedente rispetto a quella vigente, che aveva modificato la struttura del procedimento amministrativo sanzionatorio. La Corte d’Appello escludeva di poter annullare la Delib. impugnata per profili di illegittimità del procedimento sanzionatorio e anche di disapplicarla, in quanto ciò avrebbe comportato un sindacato sul regolamento inammissibile e, se considerato con riferimento alla Delib., ingiustificato essendo la Corte deputata all’esame dell’effettiva esistenza degli elementi costitutivi dell’illecito e della corretta irrogazione della sanzione.

La Corte d’Appello rilevava, altresì, che la prospettata violazione dei diritti di difesa e di contraddittorio potesse avere rilevanza in quanto accompagnata da una specifica individuazione della lesione in concreto subita per difese o allegazioni che avrebbero potuto essere svolte, mentre l’opponente non precisava in quali termini sarebbero stati lesi i propri diritti di difesa. Nè risultavano omissioni nella messa a disposizione della documentazione da parte di Consob. Il Giudice ribadiva come gli incolpati si fossero difesi su tutti i profili delle contestazioni svolte e lo avessero fatto, non solo nel giudizio di opposizione, ma già nell’ambito del procedimento sanzionatorio.

La Corte d’Appello sottolineava, altresì, che l’illecito contestato fosse di carattere amministrativo e fosse basato sul carente assolvimento dell’attività di controllo della legge e dell’atto costitutivo, propria dei Sindaci, in relazione a un’operazione con parti correlate di maggiore rilevanza: trattandosi invero di illecito omissivo, di pericolo e non della responsabilità per danni in capo ai Sindaci. Inoltre, non implicava la violazione del favor rei il riferimento alla sanzione individuata dalla norma vigente all’epoca di commissione della violazione, invece che a quella individuata dal testo successivo alla suddetta modifica apportata dal D.Lgs. n. 72 del 2015, all’art. 193, comma 3, lett. a) TUF, che riduceva il minimo edittale da Euro 25.000,00 a Euro 10.000,00.

In base all’art. 6, comma 2 del suddetto D.Lgs., la modifica si applicava alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob, mentre alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle dette disposizioni continuavano ad applicarsi le norme precedenti.

I giudici richiamavano altresì la sentenza della Corte Costituzionale n. 193/2016, secondo cui la Corte EDU, nell’affermare il principio della retroattività del trattamento più favorevole, non aveva mai avuto a oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, ma specifiche discipline sanzionatorie, specie quelle che, pur qualificandosi come amministrative, erano idonee ad acquisire caratteristiche “punitivo”. Nella fattispecie, la natura amministrativa della sanzione emergeva dalla qualificazione datane dall’ordinamento, dalla sua natura pecuniaria e dalla specifica individuazione dei soggetti destinatari, facenti parte dello speciale settore delle società quotate e detentori di obblighi specifici sottoposti alla vigilanza qualificata di Consob.

Prima di entrare nell’esame del merito, la Corte evidenziava che la posizione dei Sindaci delle società quotate non fosse di mero controllo della legalità, ma consistesse in una verifica dell’attività gestoria, diretta a valutarne l’efficienza complessiva utilizzando strumenti informativi e istruttori.

Osservava il Giudice che la contestazione della Consob riguardava solo la cessione della partecipazione di BIM, pari al 67,22%, in IPIBI a Veneto Banca, che a sua volta la cedeva a Capital Shuttle s.p.a., e il connesso accordo relativo alle opzioni in precedenza negoziate da M.A. (A.D. di Capital Shuttle) con BIM e relative all’acquisto e alla vendita di azioni IPIBI, poichè era stata ritenuta necessaria una più approfondita valutazione sia ai fini dell’interesse di BIM sia ai fini di un’informativa adeguata e trasparente. Secondo la Corte d’Appello l’intermediazione di Veneto Banca per la cessione da BIM a Capital Shuttle, della partecipazione di maggioranza in IPIBI, veniva a inquadrarsi nella scelta della Veneto Banca di cedere la partecipazione in BIM, poichè le offerte di acquisto ricevute per detta partecipazione da Veneto Banca erano volte a escludere l’asset costituito dalla partecipazione di BIM in IPIBI. Tuttavia, non risultava in alcun modo valutato l’interesse di BIM in relazione al complesso dell’intervento che la controllante Veneto Banca intendeva realizzare. Neppure si dava conto della sostituzione di Veneto Banca nella posizione di BIM, dietro corrispettivo, relativamente all’opzione put di M., nonostante ciò comportasse un minor introito per la società controllata di circa l’8% del prezzo di cessione.

Sarebbe stato necessario un approfondimento sull’effettivo perdurare del diritto di opzione e sull’effettiva esistenza di valide proroghe disposte da BIM, in assenza delle quali BIM non avrebbe potuto essere obbligata a indennizzare la controllante per oneri della stessa, correlati a proprie iniziative autonome a vantaggio del M.. Il Collegio Sindacale e, nello specifico, C.M., avrebbero dovuto rilevare tali carenze e chiedere approfondimenti anche, per esempio, attraverso l’esame della documentazione attestante la regolarità delle proroghe dell’opzione put M., non potendo certo essere tranquillizzanti le considerazioni espresse oralmente nella riunione del 4.8.2014 dal rappresentante dello studio legale di riferimento di Veneto Banca (all’evidenza portatrice di un proprio interesse non coincidente con quello della controllata) sul fatto che era stato predisposto un parere in ordine alla validità dell’opzione, oggetto di proroga sottoscritta da Veneto Banca anche in nome e per conto di BIM. Nella stessa riunione del 4.8.2014 il C. aveva rilevato l’assenza dell’opzione nella pregressa contabilità BIM e il Collegio Sindacale si era riservato di effettuare approfondimenti sul punto. Il contenuto del verbale del CdA di Veneto Banca del 7.8.2014 e poi il contenuto del parere del consulente legale di Veneto Banca, messo a disposizione circa un mese dopo il completamento dell’operazione in oggetto, nonchè del verbale del CdA di BIM del 12.9.2014, nel corso del quale il parere era stato esaminato senza rilievi da parte dei Sindaci, confermavano che sarebbe stato opportuno quantomeno dubitare sull’effettiva esistenza di proroghe legittime dell’opzione put riferibili a BIM e dimostravano l’inadeguatezza del controllo anche successivo.

Infine, i componenti del Collegio Sindacale di BIM avevano elementi sufficienti per rendersi conto che l’operazione di cessione della partecipazione IPIBI non era stata adeguatamente approfondita quale operazione con parti correlate di maggior rilevanza, quantomeno con riferimento alla valutazione dell’interesse di BIM. Non appariva, perciò, giustificato differenziare la responsabilità del C. perchè Sindaco anche della società controllante.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.M. sulla base di sei motivi. Resiste la Consob con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato rispettive memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 7 (nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, giacchè, in violazione della citata norma, la Corte d’Appello aveva deciso l’opposizione senza procedere, prima della discussione, all’audizione personale dell’odierno ricorrente che ne aveva fatto richiesta nell’atto di opposizione.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Il D.Lgs. n. 58 del 1998, citato art. 195, comma 7, stabilisce che “all’udienza la corte d’appello dispone, anche d’ufficio, i mezzi di prova che ritiene necessari, nonchè l’audizione personale delle parti che ne abbiano fatto richiesta. Successivamente le parti procedono alla discussione orale della causa (…)”.

La deduzione della violazione del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, presuppone che la parte indichi la lesione concreta (e non ipoteticamente temuta) delle sue facoltà difensive, giacchè la natura di tale norma non si configura come volta a tutelare l’astratta regolarità dello svolgimento dei procedimenti giudiziari.

Come ripetutamente affermato da questa Corte, la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (Cass. n. 2670 del 2020; conf. Cass. n. 19759 del 2017).

Sicchè questa Corte ritiene che la tesi di cui alla sentenza appena citata vada valorizzata, soprattutto alla luce delle più recenti elaborazioni giurisprudenziali (che hanno trovato un sicuro ancoraggio nel principio di ragionevole durata del processo: cfr. Cass., sez. un., n. 3758 del 2009) secondo cui la lesione delle norme processuali non è invocabile in sè e per sè, essendo viceversa sempre necessario che la parte, che deduce siffatta violazione, adduca anche, a dimostrazione della fondatezza, la sussistenza di un effettivo pregiudizio conseguente alla violazione medesima (Cass. n. 24969 del 2018; conf. sia pure in relazione a fattispecie diverse, Cass. n. 19942 del 2008; Cass. n. 20811 del 2010).

1.3. – Correttamente, dunque, la sentenza impugnata (pagg. 13 e segg.) trae la conclusione che non sia sufficiente, ai fini della declaratoria di nullità della sentenza in esame, indicare il dato puro e semplice del mancato rispetto di termini o condotte processuali; e che sia invece necessario dimostrare la lesione concretamente subita, magari indicando una o più argomentazioni difensive, la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilità di condurre il giudice ad una decisione diversa da quella effettivamente assunta.

Ora, nulla di tutto questo ha indicato la parte ricorrente; per cui la presunta nullità dovrebbe derivare dalla violazione di una norma procedurale assunta in sè e per sè, senza alcun collegamento con un effettivo pregiudizio (Cass. n. 7086 del 2015).

1.4. – A fronte di tutto questo, la Corte di merito ha correttamente rilevato che le doglianze relative alla prospettata violazione dei diritti di difesa e di contraddittorio, nei plurimi profili articolati dall’opponente, in tanto possono avere autonoma rilevanza, in quanto siano accompagnate da una specifica individuazione della lesione in concreto sofferta per iniziative o difese o allegazioni ulteriori che avrebbero potuto essere svolte e sono state, invece, in concreto rese impossibili. La Corte medesima (sulla base di valutazioni di fatto che, in quanto congruamente motivate e coerenti al contesto dell’ampio quadro probatorio acquisito, sono censurabili in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, entro i limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ha rilevato come il ricorrente non abbia precisato in quali termini sarebbero stati lesi i propri diritti per le ipotetiche violazioni attribuite a Consob; laddove, l’articolazione delle difese svolte e il loro reiterare in gran parte, dimostrano come egli fosse pienamente consapevole degli addebiti rivoltigli e del loro fondamento (sentenza impugnata, pag. 17).

Viceversa, il ricorrente, come detto, non ha indicato quali attività processuali siano state eluse ovvero non compiute in giudizio, lamentando genericamente la sua mancata audizione (Cass. n. 1176 del 2020). E ciò, tanto più in quanto l’Avv. C. (congiutamente ad altro legale) ha rappresentato e difeso sè stesso, in proprio, nel corso di questo giudizio. Sicchè non è dato comprendere quali diverse e ulteriori argomentazioni, rispetto a quelle già esposte in qualità di difensore, egli avrebbe potuto sviscerare, ove udito nella qualità di incolpato.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto la “Violazione di legge: L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E; L. n. 262 del 2005, art. 19 e art. 24, commi 1 e 2 e successive modifiche; art. 195 TUF; art. 97 Cost. e L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 21 octies e successive modificazioni; L. n. 689 del 1981, art. 11 (in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, poichè la procedura sanzionatoria adottata dalla Consob, nonostante le modifiche al Regolamento sul procedimento sanzionatorio, approvate nel 2015, prevede ancora l’attribuzione dei distinti momenti istruttorio e decisorio a strutture organizzative dello stesso ente, prive del requisito della separatezza, in quanto l’una (quella titolare delle funzioni istruttorie) in posizione gerarchicamente subordinata all’altra (quella titolare della funzione decisoria). Si sottolinea che le controdeduzioni da rivolgere alla Commissione possono riguardare solo la sussistenza e gravità della violazione, ma non la sua legittimità: e ciò costituisce un vulnus al fondamentale diritto di difesa.

Inoltre, nonostante ne sia stata fatta richiesta, il ricorrente non è stato ascoltato dalla Commissione; permanendo, dunque, l’impossibilità di instaurare un pieno contraddittorio di fronte alla Commissione. Osserva il ricorrente che la Corte territoriale non ritiene di poter sindacare la legittimità dell’attività amministrativa della Consob e delle relative fonti regolatrici, che non potrebbero essere disapplicate. Invero, l’art. 195 TUF prevede che avverso il provvedimento sanzionatorio è ammesso ricorso alla Corte d’Appello senza limitare il sindacato del Giudice. Nè si spiegherebbe perchè la Corte d’Appello non possa disapplicare il regolamento Consob in virtù dei poteri del Giudice ordinario di cui alla L. 20 marzo 1965, n. 2248, art. 5, all. E. Neppure rileverebbe che il ricorrente non abbia individuato la lesione in concreto sofferta per allegazioni che avrebbero potuto essere svolte, in quanto la lesione del diritto di difesa è evidente e si concreta ex se nel mancato rispetto del principio del contraddittorio. A tale proposito la Corte di merito riteneva, inoltre, che le relazioni ispettive richiamate nella Delib. impugnata come presupposti necessari erano le stesse messe a disposizione del C., anche se vi era stata un’imprecisione nell’indicare i numeri di protocollo. Inoltre, il provvedimento sanzionatorio risulta privo di motivazione, riportandosi alle considerazioni formulate dall’Ufficio Sanzioni Amministrative. Invece, la Commissione avrebbe dovuto esaminare e valutare le controdeduzioni delle parti interessate e spiegare perchè riteneva non accoglibili le argomentazioni e la documentazione prodotta.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – La Corte distrettuale (con riguardo al profilo della violazione del principio del contraddittorio) ha richiamato e s’è conformata al consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cass., sez. un., n. 20935 del 2009; nello stesso senso: Cass., sez. un., nn. 20936, 20937, 20938 e 20939, tutte del 2009), secondo cui la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa conculcato o compresso nel procedimento sanzionatorio. Detto principio, più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità (ex multis, con riferimento alle sanzioni irrogate da Banca d’Italia, sent. n. 27038 del 2013 e, per l’applicazione delle sanzioni Consob, sent. n. 24048 del 2015), merita conferma e seguito, giacchè, come sottolineato in Cass. n. 8210 del 2016, esso si colloca nella medesima prospettiva ermeneutica suggerita dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 24823 del 2015, che (in materia di tributi “armonizzati”), hanno affermato che “la violazione del diritto al contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere”.

Tale affermazione privilegia una lettura sostanzialistica (della tutela del) del diritto al contraddittorio, che richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme e risulta in piena sintonia con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con gli approdi della giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia sull’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali (cfr. CGUE sent. 3 luglio 2014, Kamino International Logistics, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26 settembre 2013, Texdata Software) (ex plurimis, Cass. n. 8046 del 2019; Cass. n. 11722 del 2019; Cass. n. 12110 del 2018).

2.3. – Anche con riguardo alla denunciata violazione del principio di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie, la Corte di merito ha fatto puntuale applicazione degli arresti giurisprudenziali di legittimità in cui si afferma non essere indispensabile assicurare nella fase procedimentale garanzie equiparabili a quelle d’un processo, poichè i principi del giusto processo, di cui all’art. 6 della CEDU, risultano affidati alla fase giurisdizionale del processo di opposizione (v., tra i tanti, Cass. n. 21700 del 2019; Cass. n. 771 del 2017; Cass. n. 25041 del 2015; Cass. n. 18683 del 2014). Nel caso in esame la impugnabilità delle deliberazioni sanzionatorie adottate davanti alla Corte di appello, e cioè dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita la pienezza del contraddittorio e la pubblicità dell’udienza, implica la legittimità dello stesso procedimento sanzionatorio e l’infondatezza del motivo in esame (Cass. n. 770 del 2017). Tale sindacato giurisdizionale pieno, quindi, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, (…) non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (Cass. n. 16322 del 2019).

La decisione gravata risulta pertanto immune da censura, in quanto il procedimento in esame prevede una sufficiente distinzione tra le funzioni istruttorie e quelle decisorie.

2.4. – Sono altresì infondate le censure mosse alla sentenza impugnata in ordine alla eccezione di illegittimità del regolamento sanzionatorio della Consob (modificato con Delib. n. 19158 del 2015, art. 5) per violazione del principio del contraddittorio.

La Corte di merito si è uniformata all’indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità del procedimento sanzionatorio, dando continuità all’orientamento (cfr. Cass. n. 31632 del 2018; Cass. n. 8237 del 2018; Cass. 3734 del 2018) secondo cui, in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; e pertanto non è violato il principio del contraddittorio nel caso di omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della Consob, o di sua mancata audizione innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento giurisdizionale (Cass. n. 24080 del 2019; cfr. Cass. 4.9.2014, n. 18683; Cass. 22.4.2016, n. 8210).

In tal senso, si veda anche Cass. n. 1205 del 2017 che, in risposta alla deduzione secondo cui l’articolazione del procedimento sanzionatorio dinanzi alla Consob soffrirebbe una ingiustificabile cessazione dell’interlocuzione consentita all’interessato proprio alle soglie della fase decisionale (quando l’interesse allo svolgimento delle proprie ragioni è massimo, non essendogli data la possibilità di formulare deduzioni sulla proposta dell’Ufficio Vigilanza Intermediari, che non gli viene trasmessa, nè tantomeno essendo ammesso ad una qualsivoglia forma di contraddittorio dinanzi alla Commissione, nel richiamare i principi già a suo tempo esposti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935 del 2009, in tema di rispetto del principio del contraddittorio), ha ritenuto che gli stessi vadano mantenuti fermi, nonostante le indicazioni offerte dalla Corte EDU con la sentenza 4 marzo 2014 Grande Stevens c. Italia. Infatti, depone a favore di tale soluzione la circostanza che nella medesima sentenza, sulla scorta della pregressa giurisprudenza della stessa Corte EDU, si è precisato che le carenze di tutela del contraddittorio che caratterizzino un procedimento amministrativo sanzionatorio non consentono di ritenere violato l’art. 6 della Convenzione EDU quando il provvedimento sanzionatorio sia impugnabile davanti ad un giudice indipendente ed imparziale, che sia dotato di giurisdizione piena e che conosca dell’opposizione in un procedimento che garantisca il pieno dispiegamento del contraddittorio delle parti (punti 138 e 139).

Se la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., sez. un., n. 20935 del 2009) ha sempre affermato la piena legittimità del regolamento sanzionatorio Consob – sotto il profilo del rispetto del principio del contraddittorio, anche quando non ne prevedeva forme ulteriori innanzi alla Commissione sulla Relazione finale dell’USA (nel vigore delle delibere n. 1586/2005 e 18750/2013) – ciò che appare viceversa arduo è di sostenere che non garantiscano i diritti di difesa le modifiche da ultimo apportate, le quali hanno introdotto proprio quel contraddittorio della cui mancanza i sanzionati si dolevano senza successo, proprio nelle aule giudiziarie. Laddove il procedimento Consob risulta comunque conforme ai principi del contraddittorio di cui all’art. 195, comma 2, TUF, così come lo era già prima della riforma dl 2015.

Sicchè l’affermazione, svolta nella sentenza del C.d.S. n. 1596 del 2015, secondo cui “il contraddittorio richiamato per i procedimenti sanzionatori della Consob sia una forma di contraddittorio “rafforzato” rispetto a quello “meramente collaborativo” già assicurato dalla disciplina generale del procedimento amministrativo”, si pone in contrasto proprio con la previsione normativa di un procedimento giurisdizionale destinato ad assicurare il controllo del provvedimento amministrativo sanzionatorio da parte di un giudice terzo ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e vincolato al rispetto di regole procedimentali necessariamente informate ai principi di cui all’art. 24 Cost., induce a ritenere che le garanzie del contraddittorio previste dalla legge per il procedimento davanti alla Consob siano da ricondurre al livello proprio del contraddittorio procedimentale, il quale non è coperto dall’art. 24 Cost. (Cass., sez. un., n. 24832 del 2015).

Nel caso in esame, dunque, l’impugnabilità delle deliberazioni sanzionatorie adottate davanti alla Corte di appello, e cioè dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale, dotato di giurisdizione piena e davanti al quale è garantita la pienezza del contraddittorio e la pubblicità dell’udienza, implica la legittimità dello stesso procedimento sanzionatorio e l’infondatezza del motivo in esame (si veda da ultimo la sentenza n. 770 del 2017 di questa Corte, che ha affermato che anche nel caso di sanzioni amministrative che abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa (rispetto alla quale una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria) ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio (adottato in assenza di tali garanzie) ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa, giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale) (Cass. n. 16322 del 2019; idem Cass. nn. 16323, 16324, 16326 del 2019).

2.5. – La Corte distrettuale ha, inoltre, correttamente affermato la “natura vincolata” del provvedimento sanzionatorio (così ribadita anche da Corte Cost.: sent. n. 162 del 2012), sulla base del principio per il quale gli eventuali vizi del procedimento amministrativo, previsto dall’art. 195 TUF non sono rilevanti, in ragione tanto della natura vincolata del provvedimento sanzionatorio, quanto della immodificabilità del suo contenuto (Cass. n. 12503 del 2018; conf. ex plurimis, Cass. n. 4363 del 2015; Cass. n. 15019 del 2013). Infatti, l’amministrazione che procede alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie non esercita un potere amministrativo in senso proprio e con effetti costitutivi, ma adempie semplicemente al dovere istituzionale, cui la medesima soggiace in ragione della sua peculiare essenza, di provvedere alla riscossione di un credito già sorto per effetto della riscontrata violazione (Cass. n. 15025 del 2019).

2.6. – Quanto alla pretesa dedotta violazione del diritto di accesso, in ordine alla mancata ostensione delle relazioni ispettive (aventi ad oggetto le cessioni di IPIBI e BIM) poste alla base dell’istruttoria (cfr. controricorso, pag. 26), la Corte Torinese ha affermato come non si fosse consumata alcuna violazione del diritto di accesso.

Trattasi all’evidenza di valutazioni di fatto che (in quanto congruamente motivate e coerenti al contesto dell’ampio quadro probatorio acquisito) sono censurabili in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). L’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, enucleata dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra infatti altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

2.7. – Dai principi affermati da questa Corte, alla quale ha aderito la sentenza gravata, ed alla luce della previsione di cui alla L. n. 262 del 2005, art. 24, ed all’art. 195 TUF, va osservato che (in tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative), i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento (e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa), in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto (cfr. Cass. sez. un., n. 1786 del 2010; conf. Cass. n. 27365 del 2018; Cass. 21.5.2018, n. 12503).

I motivi di opposizione costituiscono dunque la esclusiva causa petendi della domanda coinvolgente la pretesa sanzionatoria della PA (Cass. n. 9538 del 2018); ribadiscono la struttura di tipo impugnatorio del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative (cfr. Cass., sez. un., n. 1686 del 2010; Cass. n. 12503 del 2018; Cass. n. 9286 del 2018). Restando, peraltro, assorbente la considerazione che il principio del giusto processo – nella pienezza della sua esplicazione – deve intendersi riferito al solo procedimento giurisdizionale (cfr. Cass. sez. un., n. 20953 del 2009 e Cass. n. 8210 del 2016), nel mentre, ove il destinatario della sanzione lamenti una violazione del principio del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo presupposto, è tenuto comunque a dimostrare (onere il cui assolvimento, nella specie, non è stato soddisfatto) una concreta ed effettiva lesione del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso dall’azione amministrativa, considerandosi l’ampiezza e la consistenza (contenutistica e dimensionale) delle fasi svolte nel corso del procedimento amministrativo (v., ancora, Cass. Sez. U. n. 20935/2009, cit.).

2.8. – Quanto alla censura relativa al rigetto dell’eccezione di nullità della Delib. sanzionatoria, perchè motivata per relationem alla proposta della Commissione per l’esame delle irregolarità, essa è infondata, in quanto la Corte territoriale si è correttamente attenuta alla giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, che reiteratamente ha affermato la legittimità della motivazione per relationem delle delibere sanzionatorie della Banca d’Italia (e di Consob) (Cass. n. 53598 del 2007; Cass. n. 27038 del 2013, quest’ultima resa su fattispecie posteriore alla L. n. 262 del 2005; cfr. altresì Cass. n. 4725 del 2016; Cass. n. 7062 del 2014). D’altra parte, l’assunto dei ricorrenti secondo cui della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 3, rappresenterebbe la fonte del principio della legittimità della motivazione per relationem degli atti amministrativi, cosicchè il suo mancato richiamo nella L. n. 262 del 2005, art. 24, manifesterebbe la volontà del legislatore di escludere la possibilità di motivare per relationem i provvedimenti delle Autorità ivi menzionate, non è persuasivo.

Al riguardo va osservato che la motivazione degli atti amministrativi per relationem era ritenuta generalmente legittima anche prima della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990, cosicchè deve ritenersi che l’art. 3, comma 3, di detta Legge abbia codificato – precisandone i termini con l’esplicitazione del dovere della pubblica amministrazione di indicare e rendere disponibile l’atto di riferimento – principi già immanenti nell’ordinamento e riconosciuti anche dalla giurisprudenza amministrativa.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: artt. 2403,2403 bis e 2407 c.c.; art. 149 TUF; art. 195, comma 9 TUF e L. n. 689 del 1981, art. 6 (in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione dell’art. 112 c.p.c. (nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. In primo luogo, il ricorrente deduce che è illegittima la statuizione secondo la quale l’illecito sanzionato sussisterebbe per l’esistenza dell’omissione in sè e che non sarebbe rilevante che non siano stati perseguiti gli amministratori. Il ricorrente sottolinea che i Sindaci possono essere sanzionati – a titolo di concorso omissivo – solo per accertate carenze nelle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione, mentre nella fattispecie non sussiste neppure in astratto la violazione contestata e/o contestabili sia ai componenti dell’Organo di Gestione di BIM sia alla Banca, come del resto riconosciuto nella sentenza impugnata, così che il ricorrente è divenuto illegittimamente destinatario di obblighi di ordine gestorio e/o di controllo su violazioni di ordine gestorio di competenza del CdA o del Comitato OPC, che non esistono, tanto che alcuna violazione è stata contestata ai componenti del C.d.S. e del Comitato OPC. In secondo luogo, non sarebbe corretto applicare in via solidale a BIM la sanzione per i pretesi fatti illeciti dei Sindaci ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 6. Secondo la Corte non ci sarebbe motivo di approfondire la questione, in quanto unico soggetto legittimato a dolersi di tale illegittimità sarebbe BIM. Osserva il ricorrente che invece la questione è rilevante perchè conferma la fondatezza della censura su cui la Corte omette di pronunciarsi con nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.. Infatti, L. n. 689 del 1981, art. 6, prevede che se la violazione è commessa dal rappresentante o dipendente di una persona giuridica nell’esercizio delle proprie funzioni, la persona giuridica è obbligata in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma. Il rappresentante o il dipendente nulla hanno a che vedere con il Collegio Sindacale.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – L’art. 195, comma 9 TUF è stato incluso, per mero difetto di coordinamento legislativo tra le norme che si applicano soltanto alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore del citato decreto. Sicchè, per quelle commesse anteriormente all’8 marzo 2016 (quali quelle di cui al presente procedimento) il principio di responsabiità solidale della persona giuridica con gli autori della violazione continua a trovare la propria fonte nell’art. 195, comma 9, TUF. Laddove peraltro, in ogni caso, nell’ipotesi in cui dovesse ritenersi non applicabile, nella fattispecie concreta, quanto disposto dal predetto art. 195 TUF, non per questo potrebbe venir meno l’illecito scritto ai sindaci e la società potrebbe essere, comunque, chiamata a risponderne in quanto obbligato solidale della L. n. 689 del 1981, ex art. 6.

3.3. – Non per questo, peraltro, sotto il profilo della pretesa erroneità della sentenza impugnata, con riguardo alla disconosciuta necessità che, ai fini dell’assoggettamento a sanzione del (solo) collegio sindacale (e non) a titolo di concorso omissivo, quoad functione, risultano altresì sanzionati gli amministratori, per abusi gestionali e/o irregolarità e/o variazioni di discipline loro applicabili. Non rilevandosi poi l’elemento della responsabilità altrui, quale oggetto del richiamato concorso omissivo, per il quale sarebbe stato astrattamente possibile rispondere, i sindaci non avrebbero potuto essere assoggettati a sanzione.

Va, peraltro, osservato che le argomentazioni di parte ricorrente, non sono idonee a far venire meno la responsabilità ascritta i sindaci per la violazione de qua. Da ciò, i poteri sanzionatori della Consob (per una scelta evidentemente ascrivibile al legislatore primario, alla luce della vigente disciplina in materia di operazioni con parti correlate) non sono esercitabili nei confronti degli amministratori, ma solo dei componenti del collegio sindacale, cui si impone una diligenza rafforzata, nella verifica del rispetto da parte dei primi (e degli altri organi coinvolti) della disciplina in esame.

Così, va posto in rilievo che il D.Lgs. n. 49 del 2019, il cui art. 4 è stato modificato dal D.Lgs. n. 84 del 2020, art. 2, ha introdotto una nuova disciplina sanzionatoria (l’art. 192-quinquies, TUF, rubricato “Sanzioni amministrative in tema di operazioni con parti correlate”).

Ne consegue, da un lato, che (nella vicenda in esame) i sindaci rispondono in ragione dell’inadempimento di un organo proprio, ovverosia quello di vigilanza recato dall’art. 149 TUF, sui medesimi specificamente gravante e appositamente sanzionato ex art. 193. E, dall’altro lato, la necessità che i sindaci si attivino in presenza di operazioni con parti correlate, onde verificare il rispetto della relativa disciplina da parte degli amministratori, sia sancita da previsioni di legge e regolamentari, che specifichino in modo inequivoco in cosa si sostanzi l’obbligo di vigilanza agli stessi imposto dall’art. 149 TUF.

3.4. – La fattispecie sanzionatoria considerata dall’art. 193 TUF chiama infatti i sindaci a rispondere per omesso o tardivo esercizio dei poteri di vigilanza sanciti dall’art. 149 dello stesso testo unico; e ciò rende evidente che la sanzione risulta incentrata sulla mera personale condotta “negativa”, fonte di autonoma responsabilità per fatto proprio colpevole, e, peraltro, indipendentemente dalla causazione di un evento naturalistico, dannoso o pericoloso, tutt’affatto necessario per la consumazione dell’illecito per cui è causa.

L’oggetto dei rilievi sollevati dalla Consob, nella specie, atteneva alle modalità con cui il collegio sindacale aveva svolto il proprio compito di organo di controllo della legalità e garanzia, in un contesto di elevata delicatezza quale quello delle OPC, di maggiore rilevanza.

Del tutto correttamente, dunque, nel corpo della sentenza gravata, la Corte distrettuale aveva rilevato che l’esercizio del controllo da parte del Collegio sindacale, si era dimostrato inadeguato sotto il profilo della inosservanza della vigilanza sulla legge e dell’atto costitutivo; e che gli illeciti contestati da Consob riguardavano l’attività dei sindaci che non rispondevano ex art. 149 TUF, a titolo di concorso con gli amministratori, ma in ragione di un obbligo su di essi specificamente gravante. Sicchè, in termini gnerali, non assumeva alcun rilievo nella fattispecie, nè l’incidenza causale del comportamento dei sindaci sul compimento della violazione ascrivibile agli amministratori; nè che l’inadempimento del dovere di vigilanza non avesse determinato la produzione di alcun danno, o comunque, la sottoposizione a pericolo degli interessi presidiati dal collegio sindacale, integrando ex se un illecito di pericolo presunto.

Questa Corte, con riguardo a situazioni similari quanto alla disciplina delle operazioni con parti correlate, ha osservato che le sanzioni amministrative irrogate si fondano sull’omesso o inadeguato esercizio dell’attività di controllo da parte dei sindaci delle società quotate e prescindono dall’esistenza del danno, che non costituisce un elemento costitutivo dell’illecito contestato, previsto dall’art. 149 TUF, in relazione all’art. 193. A differenza, dunque, della responsabilità civile, sancita dall’art. 2407 c.c., la violazione contestata dalla Consob ai fini dell’illecito amministrativo risulta pienamente integrata allorquando il sindaco viene meno al proprio dovere di vigilanza; e ciò indipendentemente dal fatto che da detta condotta derivino o meno conseguenze dannose (Cass. n. 5357 del 2018).

4. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 193 e 195; L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 11 (in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando la indeterminatezza della sanzione prevista dall’art. 193, comma 3 TUF, nel testo previgente, per la violazione da parte del Collegio sindacale dell’art. 149, comma 1 lett. a), perchè effettuata con rimando al comma 2 della stessa norma, che prevedeva due sanzioni (Euro 25.000,00-Euro 2.500.000,00 e 5.000,00-500.000,00), con la conseguenza che il superamento di tale incertezza avrebbe dovuto comportare un’adeguata motivazione sulla scelta della sanzione più grave. La Corte risolveva la questione facendo esclusivo riferimento alla tipologia di irregolarità (omissione e non ritardo) e applicando la sanzione più grave. Si evidenzia che la fattispecie contestata (art. 149, comma 1 lett. a TUF) è una violazione singola, per cui sarebbe stata doverosa l’applicazione della sanzione più mite.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – Va posta in rilievo la piena conformità della Corte di merito all’orientamento interpretativo di questa Corte secondo cui la violazione dei doveri sindacali è punita con la più grave tra le diverse ipotesi di sanzione sancite dal comma 2 (e successivo comma 3) dell’art. 193 TUF.

D’altro canto, questa Corte ha riaffermato che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria la responsabilità dei sindaci sussiste anche con riguardo ad operazioni con “parti correlate o in situazioni di potenziale conflitto di interessi degli amministratori”, realizzate al di fuori dell’oggetto sociale, essendo insufficiente, in tal senso il controllo del comitato interno, volto, viceversa, alla verifica del contenuto economico dell’operazione (Cass. n. 5357 del 2018).

Ed ha chiarito che la complessa articolazione della struttura organizzativa di una banca (o, come in questo caso, di una società di investimenti) non può comportare l’esclusione o anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza (in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti degli atti di abuso gestionali degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori); e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia e alla Consob (Cass., sez. un., n. 20934 del 2009).

Non si tratta, dunque, di imputare ai sindaci (ed al presidente del Consiglio sindacale) una responsabilità per il sospetto del compimento di operazioni irregolari o illecite da parte di altri, nè di sottoporre gli organi amministrativi a un controllo sul merito delle scelte gestionali, ma di pretendere l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge pone a carico dei sindaci (ex artt. 150 e 151 t.u.f., art. 2403 bis c.c.), anche mediante tempestive comunicazioni alla Consob (ex art. 149, comma 3, TUF) che, nella specie, i giudici di merito hanno accertato essere state parziali (avendo riguardato solo alcune tra le vicende sanzionate) e tardive (risalenti a fine 2010).

4.3. – Le fattispecie, considerate dall’art. 149 TUF (e, in generale, dagli artt. 2403,2403 bis, 2406 e 2407 c.c.), delle quali i sindaci sono stati chiamati a rispondere per omesso o tardivo esercizio dei doveri di vigilanza, sono incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di doverosità, che ancora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, essendo l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito limitata all’accertamento della “suità” della condotta inosservante (Cass. n. 6037 del 2016). E ciò a differenza, dunque, della responsabilità civile, sancita dall’art. 2407 c.c., in cui la violazione contestata dalla Consob ai fini dell’illecito amministrativo risulta pienamente integrata allorquando il sindaco viene meno al proprio dovere di vigilanza; e ciò indipendentemente dal fatto che da detta condotta derivino o meno conseguenze dannose.

Si legittima, dunque, la reiterazione da parte del giudice di merito dell’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori; e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla Consob (cfr. Cass. n. 6037 del 2016; Cass., sez. un., n. 20934 del 2009).

5. – Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2391 e 2391 bis c.c.; art. 149, comma 1 lett. a) TUF: art. 1 Regolamento CONSOB OPC; D.Lgs. n. 72 del 2015, Parte Prima – Recepimento in Italia della CRD Titolo IV (in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Si osserva che il Collegio Sindacale di BIM ed il ricorrente, quale presidente, hanno adempiuto compiutamente a quanto previsto sia dalla normativa del codice civile e del TUF, sia dai principi di comportamento, sia dalla normativa Consob, come recepita dal Regolamento BIM. Infatti, il Collegio Sindacale e il ricorrente avevano: a) valutato la conformità delle procedure previste nel Regolamento BIM sulle operazioni con parti correlate con quelle previste dal Regolamento Consob; b) valutato il rispetto delle procedure in occasione della Delib. relativa alla cessione della partecipazione in IPIBI; c) compiuto ulteriori approfondimenti e richiesto informazioni.

Per il ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe illegittima anche per aver qualificato l’operazione in questione come operazione complessa con parti correlate, pur se di tale qualificazione non sussisterebbero i presupposti normativi. Si evidenzia l’assenza di collegamento funzionale della cessione della partecipazione in IPIBI e della cessione della partecipazione di Veneto Banca in BIM. Invero, l’operazione IPIBI non era in alcun modo collegata alla cessione BIM, tanto che la partecipazione in IPIBI è stata effettivamente alienata a Capital Shuttle (tramite Veneto Banca), mentre la partecipazione in BIM è ancora di titolarità di Veneto Banca. Nè risulta che il D. dovesse ex lege assumere la veste di parte correlata nella vendita della partecipazione della maggioranza del capitale sociale di IPIBI, detenuto da BIM, a Veneto Banca. BIM non aveva trasferito alcunchè al D., nè aveva assunto alcuna obbligazione nei suoi confronti, nè aveva assunto alcuna Delib. da cui risultasse il riconoscimento di un obbligo nei confronti del D.. Se sussisteva un interesse concreto di Veneto Banca all’acquisizione (e alla contestuale cessione) di IPIBI, ciò non costituiva condizione ai fini della cessione di BIM (a causa dello scarso interesse manifestato in generale). Pertanto, a differenza di quanto affermato dalla Consob e dalla sentenza impugnata, si trattava di operazioni indipendenti.

5.1. – Il motivo è infondato.

5.2. – Va innanzitutto chiarito che al collegio sindacale non compete di accertare il rispetto della disciplina in materia di OPC solo dal punto di vista formale (attraverso il controllo della conformità procedurale delle delibere assunte e del rispetto della disciplina nell’ambito delle riunioni degli organi sociali), sulla base di una opinabile lettura dei principi di comportamento redatti dal CNDC.

La sentenza gravata si pone perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità, che nel ribadire la centralità dell’organo di controllo (anche in considerazione dei poteri/doveri, attribuiti in occasione di un caso di omessa vigilanza del rispetto della disciplina OPC) ha evidenziato essere al cospetto del mancato od, al più, dell’incompiuto esercizio da parte del ricorrente della sua individuale prerogativa, recte del suo potere-dovere, di procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo, di richiedere all’organo gestorio informazioni in ordine alle operazioni poi sanzionate (Cass. n. 19639 del 2017; Cass. n. 20437 del 2017 e 20438 del 2017).

Va allora precisato che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, la responsabilità dei sindaci sussiste anche con riguardo ad operazioni con parti correlate o in situazioni di potenziale conflitto di interessi degli amministratori, realizzate al di fuori dell’oggetto sociale (…). Il collegio sindacale, infatti, è sempre tenuto ad esplicare la sua funzione di controllo ed è ritenuto responsabile in ogni caso di (…) omesso o inadeguato esercizio dell’attività di controllo (…), non essendo il danno un elemento costitutivo dell’illecito, quanto invece parametro per la determinazione della sanzione; la responsabilità dei sindaci sussiste, dunque, indipendentemente dall’esito delle singole operazioni ed anche a fronte di insufficienti informazioni da parte degli amministratori, potendo gli stessi avvalersi della vasta gamma di strumenti informativi ed istruttori, prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 149 (Cass. n. 5357 del 2018). Ed invero la funzione del collegio sindacale si estrinseca nel controllo del regolare svolgimento della gestione della società, posto che “Il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle società per azioni ex art. 2403 c.c., non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e ricomprende, pertanto, anche l’obbligo di segnalare tutte le situazioni che esigano, in applicazione degli artt. 2446 e 2447 c.c., la riduzione del capitale sociale” (Cass. n. 2772 del 1999; conf. Cass. n. 5287 del 1998). Nelle società quotate in borsa, tale dovere si fa ancora più stringente, in vista della funzione di garanzia dell’equilibrio del mercato (cfr. Cass., sez. un., n. 20934 del 2009; Cass. n. 6037 del 2016).

Il principio, costantemente riaffermato da questa Corte, si ricollega alla funzione di garanzia che i vari organismi di controllo sono deputati a svolgere nell’ambito delle società, soprattutto se quotate e strutturate in un’articolazione interna complessa, che preveda il riparto delle competenze gestorie tra diversi organi (Cass. n. 33047 del 2018; Cass. n. 1293 del 2010).

5.3. – La corretta applicazione di tali principi, porta a ritenere sussistente la responsabilità del collegio sindacale (e in particolare dell’odierno ricorrente, già presidente dell’organo socetario), proprio valorizzandone l’effettività della attività del controllo, mediante un ruolo suppletivo e integrativo rispetto ai controlli pubblici e del mercato.

Le irregolarità riscontrate dalla Consob riguardavano: a) la cessione della partecipazione di BIM in IPIBI a Veneto Banca e l’accordo accessorio nella parte riguardante l’opzione put: che non erano stati deliberati regolarmente e non erano stati monitorati sotto il profilo dell’interesse di BIM; b) la connessione tra cessione IPIBI e cessione BIM: che gli amministratori indipendenti (Comitato OPC) non avevano esaminato la connessione tra le due cessioni, limitandosi ad affermare che l’operazione era economicamente conveniente, sostanzialmente corretta e non avrebbe comportato pregiudizi per gli azionisti di minoranza della BIM; c) la mancata considerazione che il D. era parte correlata, perchè partecipante alla cordata di investitori.

Orbene, la giurisprudenza di questa Corte ha raccomandato di guardare alla ratio sottesa alla disciplina in materia di operazioni con parti correlate, nonchè alla valorizzazione del canone ermeneutico del principio di prevalenza della sostanza sulla forma e, quindi, degli interessi e delle circostanze concrete che connotano le condotte. Ed ha esplicitamente affermato che, nell’interpretazione e corretta applicazione delle definizioni dettate dal Regolamento (OPC) occorre avere riguardo alla sostanza del rapporto e non semplicemente alla sua forma giuridica.

La puntuale disamina delle interrelazioni esistenti tra i vari soggetti coinvolti, e la corretta ricostruzione della dinamica complessiva della vicenda impongono quindi di ritenere che la soluzione della Corte d’Appello si sia pienamente conformata al menzionato criterio interpretativo, deponendo quindi in definitiva per l’infondatezza del motivo di ricorso in esame (Cass. n. 20688 e n. 20689, per le quali, in presenza di un evidente obiettivo di aggiramento delle norme di garanzia e trasparenza predisposte dall’art. 2391-bis c.c., risulterebbe illusoria la pretesa di richiedere necessariamente l’esistenza di un collegamento negoziale per inquadrare la complessa vicenda nella disciplina de qua, in quanto proprio il ricorso al collegamento negoziale avrebbe una portata autoaccusatoria circa l’intento elusivo dell’operazione in esame).

La ricostruzione in fatto operata dal decreto gravato non appare quindi censurabile, tanto meno in punto di diritto, non potendosi ritenere erroneo il richiamo alla nozione di disegno unitario per avvincere in una valutazione globale le varie transazioni intervenute. Pertanto, appare frutto di una lettura restrittiva e non condivisibile delle norme in esame la tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui la nozione de qua troverebbe riconoscimento nella disciplina delle operazioni con parti correlate solo nella previsione di cui all’art. 5, comma 2 del Regolamento Consob, che consente di valutare unitariamente distinte operazioni che, invece, singolarmente considerate non rientrerebbero nella definizione di operazioni di maggiore rilevanza.

6. – Con il sesto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè del principio c.d. della ragione più liquida (nullità della sentenza in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Riproposizione del motivo non esaminato”, là dove la Corte d’Appello ha ritenuto che le osservazioni già svolte dimostravano la sussistenza della violazione contestata, e che quindi non vi fosse necessità di ulteriormente approfondire, in applicazione del principio della ragione più liquida, gli altri rilievi formulati dalla Consob con riferimento alla non corretta determinazione del prezzo di cessione e alla necessità di considerare il D. quale parte correlata. Tale statuizione, illegittima e nulla, si tradurrebbe in omessa pronuncia o in motivazione solo apparente.

6.1. – Il motivo non è fondato.

6.2. – La Corte distrettuale ha, del tutto correttamente, applicato il consolidato principio operativo della c.d. ragione più liquida, secondo cui la domanda può essere rigettata sulla base della soluzione di una questione assorbente e di più agevole e rapido scrutinio, pur se logicamente subordinata, senza la necessità di esaminare le altre domande seguendo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.; imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (Cass., sez. un., n. 26242 del 2014; cfr. Cass. n. 363 del 2019). Detta impostazione è conforme al principio di economia processuale e ad esigenze di di celerità e di speditezza anche costituzionalmente protette e risponde ad una rinnovata visione dell’attività giurisdizionale, intesa non più come espressione della sovranità statale ma come servizio reso alla collettività, con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una rapida decisione nel merito in tempi ragionevoli. Infatti la sentenza, quale atto giuridico tipico, non ha il compito di ricostruire compiutamente la vicenda che è oggetto del giudizio in tutti i suoi aspetti giuridici, ma solo quello di accertare se ricorrono le condizioni per concedere la tutela richiesta dall’attore (Cass., sez. un., n. 26242 del 2014, cit.).

6.3. – La Corte di merito ha, dunque, correttamente e coerentemente, ritenuto di fare riferimento al predetto principio, senza pertanto dover approfondire anche gli altri profili rilevati da Consob per le criticità rappresentate dalla valutazione operata dal CAI sulla correttezza della determinazione del prezzo di cessione e della sua convenienza e per la necessità di indicare e considerare anche D.P. come parte correlata e non come soggetto semplicemente in conflitto di interessi con BIM.

Ciò in quanto, una volta verificata la violazione dell’art. 149, comma 1, lett. a), TUF da parte del ricorrente (per non avere rilevato la mancata considerazione, nell’ambito del parere emesso dal comitato OPC dei profili afferenti: a) alla connessione ed interdipendenza fra l’operazione esaminata dal Comitato e la cessione di BIM da parte di Veneto Banca, nel cui ambito un ruolo preminente era assunto dal Sig. D.; nonchè b) all’accordo di sostituzione con VB, quale controparte dell’opzione di vendita (put), accordata al Sig. M., delle azioni di quest’ultima da costui detenute; con accordo che incideva sull’ammontare da Veneto Banca a BIM per la cessione di IPIBI, decurtandolo di una somma pari a Euro 3.242.250, come corrispettivo per tale sostituzione) sarebbe risultato superfluo approfondire le ulteriori problematiche connotanti il parere in questione. Laddove, anche ritenendo che la sanzione avrebbe dovuto modularsi, in senso quantitativo, sulla base del numero delle carenze da cui il predetto parere risultava affetto, l’esito dell’eventuale approfondimento non avrebbe comunque inciso nell’ammontare della sanzione, rideterminato in melius dalla Corte di merito, nel caso del ricorrente, in Euro 25.000 (giacchè tale ammontare non avrebbe potuto collocarsi in ogni modo al di sotto del minimo edittale).

7. – Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.100,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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