Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16018 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 28/07/2020), n.16018

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4411-2019 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO 35,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MAZZONI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANTONIETTA COCCO;

– ricorrente –

contro

CI.AN., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato MARCO FERRARO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO MARIA

BAGNARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2126/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dopo il decesso di R.F., il figlio C.F. e il figlio di questi, C.M., rinunciavano all’eredità, mentre l’altro figlio di C.F., C.D. accettava l’eredità con beneficio di inventario e chiedeva al Tribunale di Chieti la nomina di un notaio per la redazione dell’inventario. Veniva incaricato il notaio Ci.An., il quale entro il termine di un anno dalla maggiore età di D. (29 agosto 2003), provvedeva alla redazione dell’inventario, mentre la registrazione dell’atto e l’inserimento nel Registro delle Successioni intervenivano successivamente (nel settembre 2003);

nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo tra C.D. (opponente) e Carichieti S.p.A. (creditore della dante causa, R.F.), l’opposta aveva eccepito che C. avrebbe dovuto essere considerato erede puro e semplice in quanto l’inventario (riferito anche alla registrazione ed inserimento nel Registro delle successioni) non era stato redatto nei termini. L’eccezione era contrastata da C.;

tutto ciò premesso, con ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. C.D. chiedeva che fosse accertata la conformità alle disposizioni di legge della redazione dell’inventario e, in caso contrario, fosse dichiarata la responsabilità del notaio Ci.An., che si costituiva contestando la pretesa, osservando che nessun rapporto di natura contrattuale era rinvenibile nella fattispecie dedotta in giudizio e che, nel merito, i termini erano stati osservati;

disposto il mutamento del rito, il Tribunale di Chieti, con sentenza del 24 ottobre 2013, dichiarava l’insussistenza di interesse ad agire da parte dell’attore ( C.) condannandolo alle spese;

con atto di citazione del 22 novembre 2013, C.D. proponeva appello chiedendo, tra l’altro, di depositare nuova documentazione, in particolare, relativa al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale, in grado di appello, era stata emessa sentenza parziale n. 196 del 2013, che aveva affermato che l’appellante “doveva essere considerato erede puro e semplice” in quanto la redazione dell’inventario si era conclusa nel settembre del 2003, oltre il termine di legge. Tale documentazione attesterebbe l’interesse dell’appellante al giudizio. Si costituiva il professionista contestando i motivi di impugnazione;

la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza del 16 novembre 2018, rigettava l’impugnazione provvedendo sulle spese;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione C.D. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso Ci.An.. Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 110 e 112 c.p.c. e dell’art. 505 c.p.c.. La Corte d’Appello non avrebbe individuato la disposizione sulla base della quale avrebbe confermato la decisione del Tribunale d’inammissibilità del giudizio relativo all’accertamento della qualità di erede con beneficio di inventario promosso nei confronti del notaio. Inoltre, non si trattava, come affermato dalla Corte territoriale, di domanda principale di accertamento e subordinata di risarcimento dei danni, ma di domande autonome, compatibili e conseguenziali. Pertanto, sarebbe errata l’affermazione secondo cui l’unica domanda avanzata dall’odierno ricorrente era quella di condanna generica al risarcimento dei danni. Al contrario, C. avrebbe richiesto, in primo grado, di accertare la validità dell’inventario, e conseguentemente ottenere una sentenza di accertamento della validità dell’accettazione con beneficio di inventario. Solo nel caso di inventario non valido, avrebbe richiesto una sentenza di condanna generica del notaio al risarcimento dei danni;

con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c. ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo. Quanto al primo profilo, la Corte non avrebbe fatto corretta applicazione della norma invocata non verificando l’indispensabilità della produzione costituita dalla sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila con la quale sarebbe stata accertata la qualità di erede puro e semplice dell’odierno ricorrente;

con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, la contraddittorietà della motivazione e l’error in procedendo ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e la violazione agli artt. 24 e 111 Cost.. La Corte avrebbe erroneamente affermato che l’unica domanda avanzata dall’attore nei confronti del professionista era quella tesa alla condanna generica al risarcimento dei danni. Al contrario, per quanto si è già detto con il primo motivo, era stato chiesto di accertare la regolarità della redazione dell’inventario, ottenere una sentenza di accertamento dello status di erede con beneficio e, solo nel caso di inventario invalido, una pronunzia di condanna nei confronti del notaio. Sotto altro profilo la motivazione sarebbe contraddittoria e solo apparente perchè, dopo avere accertato nei fatti che l’inventario era stato redatto correttamente nei termini previsti dalla legge, il giudice di appello avrebbe omesso di pronunziare una sentenza di accertamento della qualità di erede con beneficio di inventario. Pertanto, la Corte di legittimità accogliendo il ricorso dovrebbe “dichiarare che l’inventario è stato redatto nei termini, comportando la sua validità ed efficacia, nonchè la validità dell’accettazione con beneficio di inventario da parte del ricorrente”;

i motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono inammissibili perchè non è stata impugnata in modo idoneo la ratio decidendi contenuta a pag. 4 della sentenza: la domanda principale avente ad oggetto la qualità di erede con beneficio di inventario non può che essere fatta valere nei giudizi promossi da o contro il notaio o i terzi creditori al fine di contrastarne le domande. Rispetto a tale chiara argomentazione il ricorrente si limita ad affermare (pp. 8 e 11 del ricorso) che la Corte non avrebbe indicato la norma alla base della ratio decidendi, ma non censura quest’ultima ratio indicando quale norma di diritto avrebbe violato, per cui non si raggiunge lo scopo del ricorso per cassazione;

la censura non si confronta con la decisione impugnata. Anche accedendo alla tesi del ricorrente, secondo cui lo stesso avrebbe proposto, in primo grado una domanda tesa a sentir dichiarare la validità dell’inventario, con sentenza di accertamento dello status di erede con beneficio di inventario e ottenere una sentenza di condanna generica del notaio al risarcimento dei danni, nel caso di inventario non valido, la decisione impugnata ha motivato sull’inammissibilità della domanda tesa ad ottenere una sentenza di accertamento, in quanto proposta nei confronti del professionista e non dei soggetti indicati dall’art. 505 c.c.;

la questione centrale non riguarda l’interesse all’impugnazione, adombrato nel secondo motivo, ma la circostanza secondo cui, nella sentenza impugnata, è stato correttamente evidenziato che la domanda di accertamento dello status di erede con beneficio di inventario proposta nei confronti del notaio incaricato di redigere l’inventario è inammissibile. Tale profilo non muterebbe in ogni caso e rende irrilevante la circostanza, dedotta in memoria, della decisione adottata nelle more da questa Corte nel separato giudizio, nel quale avrebbe acclarato che l’inventario era stato tempestivamente e regolarmente redatto. Tale questione è assorbente rispetto agli ulteriori profili di inammissibilità del ricorso;

le censura oggetto del primo motivo sono, infatti, dedotte in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere il contenuto dell’atto introduttivo relativo alla individuazione della domanda, successivamente dedurre e documentare che tale richiesta era rimasta inalterata dopo il mutamento del rito ed in sede di gravame. Analogamente, per il secondo motivo parte ricorrente omette di trascrivere, allegare e individuare la sede processuale, oltre che localizzare all’interno del fascicolo di legittimità, i documenti dei quali avrebbe ritenuto indispensabile l’acquisizione;

e per il secondo e terzo motivo le censure dedotte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sono inammissibili ricorrendo l’ipotesi di doppia conforme e il divieto contenuto nell’art. 348 ter c.p.c., comma 5;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, tenuto conto del tenore della decisione, mancando ogni discrezionalità al riguardo (Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) va dichiarato che sussistono i presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 2.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma I-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

 

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