Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16017 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/07/2011, (ud. 21/06/2011, dep. 21/07/2011), n.16017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.F.A., elettivamente domiciliata in Roma,

Viale Angelico n. 45, presso lo studio dell’Avv. Buccellato Fausto,

che lo rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamele, con l’Avv.

Luca Marchi e Corrado Mauceri come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE, in persona del Rettore pro

tempore Prof. M.A., elettivamente domiciliati in Roma,

Piazza dell’Emporio n. 16/A, presso lo studio dell’Avv. Del Punta

Riccardo, che la rappresenta e difende per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 112/09 della Corte di Appello di

Firenze del 30.01.2009/7.02.2009 nelle causa iscritta al n. 923 R.G.

dell’anno 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21.06.2011 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Fausto Buccellato per il ricorrente e l’Avv. Riccardo

del Punta per la controricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FINOCCHI

GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 325 del 2008 il Tribunale di Firenze dichiarava l’inammissibilità dell’impugnativa di licenziamento, intimato in data 19.10.2006 e comunicato il 25.10.2006 a F.A. B. dall’Università degli Studi di Firenze, per avvenuto decorso del termine di 60 giorni e rigettava il ricorso per le pari restanti, ed in particolare con riguardo alla sanzione della sospensione di 10 giorni irrogata con decreto del 26.01.2006.

A seguito di appello del B., che incentrava i motivi di gravame sulla sanzione della anzidetta sospensione, la Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 112 del 2009 ha confermato la pronuncia di primo grado, ritenendo la legittimità dell’irrogata sanzione, giacchè l’art. 44, comma 6 del CCNL prevedeva la possibilità che “dopo la contestazione dell’addebito” il procedimento disciplinare si protraesse ben oltre l’audizione dell’interessato (avvenuta il 25.11.2005), tanto da doversi considerare estinto soltanto dopo 120 giorni.

Il B. ricorre per cassazione con tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Università degli Studi di Firenze resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso il B. lamenta vizio di motivazione circa un fatto decisivo per la controversia, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza, per non avere tenuto in considerazione e neppure esaminato la peculiarità del rapporto di lavoro di esso ricorrente, il quale, sulla base di u n giudicato amministrativo e su un rapporto di lavoro atipico protratto per oltre venti anni, non era tenuto ad utilizzare il badge e ad osservare un orario di lavoro.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha ampiamente motivato sul punto relativo alla posizione personale e all’inquadramento del B. richiamando il pluridecennale contenzioso e il suo esito, nel senso che al ricorrente non competeva alcuna funzione dirigenziale nè docente, dovendo, in base al giudicato dei giudici amministrativi intervenuti tra le parti, essere correttamente qualificato come un tecnico- laureato, cat. D. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 44 del CCNL 27.01.2005 (Personale Comparto Università), violazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55 ed omessa pronuncia su un punto rilevante della vertenza.

Il ricorrente rileva di avere correttamente evidenziato l’erroneità della sentenza del Tribunale laddove aveva ritenuto corretto l’operato dell’Amministrazione che aveva provveduto a contestare gli addebiti relativi al mancato uso del badge ben oltre il temine di 20 giorni dalla conoscenza del fatto e successivamente aveva inflitto la sanzione del 26.01.2006 della sospensione per 10 giorni. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione ed erronea applicazione dell’art. 44, comma 3 del CCNL anzidetto, in relazione al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 55. Il B. osserva che l’impugnata sentenza non ha fatto corretta applicazione della richiamata norma collettiva, laddove ha ritenuto non perentorio il temine di 15 giorni dall’audizione dell’interessato per l’irrogazione della sanzione disciplinare. Tali motivi, ancor prima della verifica della loro consistenza in merito, vanno disattesi in via preliminare, stante l’improcedibilità del ricorso sul punto.

Invero deve rilevarsi che la parte ricorrente ha omesso di depositare il contratto collettivo sui quali il ricorso si fonda, essendosi limitata a riportare il testo di alcuni articoli o di parte di tali articoli e ad allegare al ricorso medesimo solo parti del contratto e non lo stesso per intero. Tale modalità non è conforme alla previsione di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7), applicabile al ricorso in esame concernente sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006.

L’art. 369, comma 2, infatti così si esprime:” Insieme con il ricorso debbono essere depositati sempre a pena di improcedibilità … 4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Come osservato in analoghe occasioni da questa Corte (cfr. tra le tante Cass. 2 luglio 2009 n. 15495), la norma impone alla parte un onere di produzione che ha per oggetto il contratto nel suo testo integrale. La disposizione infatti si riferisce ai “contratti o accordi collettivi”, senza fornire alcun elemento che possa consentire di effettuare una produzione parziale, limitata a singole clausole, singoli articoli o parti di articoli del contratto. Essa, inoltre, va letta congiuntamente al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, secondo cui il ricorso deve contenere “la specifica indicazione …. dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

La scelta legislativa è coerente con i principi generali dell’ordinamento, che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto, di produrre a giudice solo una parte del documento.

E’ coerente altresì con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 e segg. cod. civ. e, in particolare, con la regola denominata dal codice di “interpretazione complessiva delle clausole”, secondo la quale “le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 cod. civ.).

E’ evidente che l’applicazione di questa regola implica la necessità di avere dinanzi l’intero testo. La scelta legislativa è poi coerente con i criteri di fondo dell’intervento legislativo in cui si inserisce (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e relativa legge di delega) volto a potenziare la cd. nomofilachia della Corte di Cassazione.

E’ ben vero che sono stati riprodotti in ricorso le disposizioni che regolano la materia per cui è causa, tuttavia proprio la mancanza del testo integrale non consente di escludere che in altre parti del contratto vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva dell’argomento che interessa.

Invero, nel ricorso vertente sull’interpretazione della contrattazione collettiva, la singola clausola viene necessariamente riportata, in quanto indispensabile per lo svolgimento stesso della censura, pur tuttavia il legislatore prescrive, in ogni caso, il deposito dell’accordo o del contratto collettivo, segno quindi che si impone al ricorrente di farne conoscere non solo la singola disposizione, ma il testo complessivo.

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 56,00, oltre Euro 2000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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