Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16017 del 07/07/2010

Cassazione civile sez. III, 07/07/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 07/07/2010), n.16017

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.L.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE CASTRENSE 7, presso lo studio dell’avvocato PORRONE DOMENICO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ABENAVOLI IVANA giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIONE ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro-tempore e Presidente Ing. D.V.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCO ATILIO 14, presso lo

studio dell’avvocato MATTICOLI MARIO, che la rappresenta e di. fende

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4795/2005 del TRIBUNALE di ROMA, SEZIONE

TREDICESIMA CIVILE, emessa il 20/02/2005, depositata il 25/02/2005

R.G.N. 93094/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del terzo e del

quarto motivo e rigetto nel resto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 20 febbraio-25 febbraio 2005 il Tribunale di Roma confermava la decisione del locale giudice di pace del 6 dicembre 2002, che aveva condannato in solido R.M. e la Unione assicurazione spa al pagamento di Euro 2.267,00 in favore di D.L.P. a titolo di risarcimento del danno in conseguenza dell’incidente stradale del (OMISSIS).

Il giudice di appello, accogliendo in parte l’appello della D.L., condannava gli originari convenuti al pagamento della maggior somma di Euro 250,00 a titolo di danno morale (escludendo tuttavia il diritto agli interessi legali su tale somma). Confermava la decisione del primo giudice in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio.

Avverso tale decisione la D.L. ha proposto ricorso per Cassazione sorretto da quattro motivi.

Resiste con controricorso la Unione Assicurazione.

L’altro intimato, R.M., non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2056, 2043 c.c., degli artt. 11 e 12 preleggi, della L. n. 57 del 2001, art. 5, e del D.M. 30 luglio 2002, degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Il giudice di appello aveva ritenuto possibile l’applicazione dei criteri indicati dalla L. n. 57 del 2001, entrata in vigore successivamente, facendo ricorso all’analogia.

L’uso del criterio equitativo avrebbe imposto, in ogni caso, al giudice di illustrare le ragioni per le quali aveva ritenuto di utilizzare tale criterio ed i motivi per i quali aveva ritenuto questo rispondente, più degli altri, ad equità, giustizia e personalizzazione del risarcimento.

Il criterio utilizzato, infine, non corrispondeva neppure a quello indicato nella disposizione richiamata, poichè non era stato applicato l’aggiornamento introdotto dal D.M. 30 luglio 2002.

Le censure sono prive di fondamento.

Per i sinistri stradali avvenuti prima del 5 aprile 2001 nessuna disposizione di legge dettava criteri per la liquidazione del danno biologico, che si fondava sul criterio equitativo, ex artt. 1226 e 2056 c.c..

Nella liquidazione del danno in esame, pertanto, il giudice era libero di scegliere quello più idoneo rispetto alle peculiarità del caso concreti, col solo obbligo di motivare adeguatamente la propria scelta.

Nel caso di specie, il giudice di primo grado non ha affatto applicato la disposizione di cui all’art. 57 del 2001 a casi in essa non previsti, ma ha semplicemente fatto ricorso alla analogia iuris. La scelta di liquidare il danno assumendo a base di calcolo i valori monetari espressi nella Legge del 2001 (peraltro senza applicare la rivalutazione del punto) non è, pertanto, irrazionale nè contraria alla legge. Se, infatti, il legislatore ha ritenuto congrua la liquidazione di una certa somma di denaro per il risarcimento di lesioni con esiti di micropermanente, “a fortori” quella stessa somma di denaro dovrà essere ritenuta congrua – ha rilevato il giudice di appello – per risarcire danni non rientranti “ratione temporis” nell’ambito di applicabilità della legge.

Da quanto precede, risulta l’infondatezza della ulteriore doglianza, fondata sulla mancata applicazione della rivalutazione monetaria del punto, disposta con D.M. 30 luglio 2002. Infatti, avendo il giudice di pace applicato la Legge del 2001 non già in via diretta, ma in via analogica, scegliendola come uno tra i vari criteri equitativi possibili, egli non era affatto obbligato a tener conto dei successivi adeguamenti monetari.

La scelta operata dal primo giudice è stata ritenuta del tutto corretta dal Tribunale, il quale ha sottolineato la breve durata della inabilità temporanea e la scarsa incidenza della inabilità permanente.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 1226, 2056, 2043 e 2059 c.c., artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè omessa, apparente, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il giudice di appello aveva ritenuta fondata la censura relativa all’omessa pronuncia in ordine al risarcimento del danno morale, riconoscendo tuttavia, a tale titolo, la somma di Euro 250,00, manifestamente irrisoria e quindi tale da costituire una liquidazione del tutto simbolica, non proporzionale alla peculiarità del caso.

Le censure sono inammissibili ancor prima che prive di fondamento. Il giudice di appello ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto congrua la liquidazione della somma di Euro 250,00 a titolo di danno morale. Si tratta di motivazione congrua, che sfugge pertanto a qualsiasi censura in sede di legittimità.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1225, 2056 e 2058 c.c., nonchè degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria e perplessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il giudice di appello aveva negato il riconoscimento degli interessi sulla liquidazione del risarcimento del danno morale senza tener conto che il primo giudice aveva, invece, disposto la applicazione degli interessi sulla somma già riconosciuta a titolo di risarcimento a titolo diverso. Nel caso di specie, il giudice di appello ha escluso l’attribuzione degli interessi sotto il profilo della mancanza di una domanda espressa formulata dalla originaria attrice.

Le censure formulate con questo motivo sono fondate.

Contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale, la D.L. aveva richiesto, sin dall’atto introduttivo del giudizio, il riconoscimento degli interessi dovuti su tutte le voci di risarcimento reclamate.

Le obbligazioni relative alla corresponsione del risarcimento del danno morale costituiscono obbligazioni di valore, con la conseguenza che le stesse vanno quantificate in considerazione del valore del bene perduto dal danneggiato rapportato al momento della decisione.

Spetta, pertanto, alla attuale ricorrente riconoscimento degli interessi sulla ulteriore voce danno liquidata dal giudice di appello.

Con il quarto, ed ultimo, motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 90, 91, 92, 93, 193, 201, 113 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè della tariffa professionale forense (ex D.M. n. 585 del 1994) e relativa norma di conversione monetaria D.Lgs. n. 213 del 1998, ex art. 4, in relazione anche alla L. n. 794 del 1992 e L. n. 1051 del 1957, oltre che degli artt. 24 e 111 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Gli importi riconosciuti a titolo di competenze dal primo giudice dovevano essere integrati secondo le indicazioni contenute nell’atto di appello, disattese dal Tribunale.

Le censure sono fondate. Spettano alla attuale ricorrente le somme indicate nel motivo, in quanto erroneamente escluse dal primo giudice e corrispondenti ad attività svolte dal difensore della attrice (a titolo di competenze).

Quanto alla misura degli onorari di avvocato, il Tribunale ha motivatamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di applicare i minimi tariffari.

Si tratta di una valutazione di merito, pienamente argomentata, che sfugge dunque a qualsiasi censura in sede di legittimità. E’ appena il caso di richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, essendo rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia specificamente invocata la violazione dei minimi tariffari.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra indicati.

La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte. Decidendo nel merito, deve dichiararsi che sono dovuti gli interessi anche sulla somma liquidata a titolo di risarcimento danno morale dal giudice di appello.

Le spese del giudizio di primo grado devono essere riconosciute nei limiti di cui in motivazione, con conferma della decisione del giudice di primo grado per quanto riguarda le altre voci (spese, onorari) e la distrazione delle spese in favore del procuratore antistatario.

La decisione impugnata, che ha dichiarato la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado, merita integrale conferma, in considerazione della reciproca soccombenza.

Le spese di questo giudizio di cassazione sono poste, in solido, a carico del R. e della Unione Assicurazioni spa, e liquidate come in dispositivo.

Appare opportuno ricordare come all’avvocato cassazionista, per il patrocinio svolto dinanzi alla Corte di cassazione, spettino esclusivamente gli onorari secondo le prescrizioni della tabella A della tariffa forense, mentre nulla è dovuto per le attività eventualmente svolte come procuratore, in conformità alle voci della tabella B della medesima tariffa, dovendo il relativo compenso ritenersi conglobato nei suddetti onorari.

Da ultimo, deve disporsi la distrazione delle spese del giudizio di cassazione in favore del difensore antistatario, che ne ha fatto richiesta.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara dovuti gli interessi sulla somma liquidata in sede di appello, liquidando le spese del giudizio di primo grado nei limiti di cui in motivazione (con distrazione in favore del procuratore antistatario).

Condanna R. e Unione assicurazione, in solido tra loro, al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 1.100,00 (millecento/00) di cui Euro 900,00 (novecento/00) per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge, confermando le statuizioni dei giudici di primo e secondo grado, con le modificazioni sopra indicate. Dispone la distrazione delle spese del presente giudizio in favore del difensore dichiaratosi antistatario, avv. Ivana Abenavoli del Foro di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2010

 

 

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