Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16013 del 07/07/2010

Cassazione civile sez. III, 07/07/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 07/07/2010), n.16013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24278/2005 proposto da:

NIS CAR S.R.L. (OMISSIS) in persona del legale rappresentante Sig.

P.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

268-A, presso lo studio dell’avvocato PETRETTI Alessio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FURLANI CESARE giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

IL LEASING S.P.A. (OMISSIS) in persona dell’amministratore unico e

legale rappresentante Rag. C.L.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 1, presso lo studio

dell’avvocato RIBAUDO Sebastiano, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CONTI DANILO giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.A. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 340/2005 del a CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

Sezione Prima Civile, omessa il 9/2/2005, depositata il 28/04/2005,

R.G.N. 580/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato ALESSIO PETRETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 25 febbraio 2003 il Tribunale di Bergamo, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo del 17 febbraio 2000 ottenuto dalla società Il Leasing s.p.a. per la somma di L. 29.727.031 nei confronti della Nis Car srl. Dichiarava la contumacia di M.A. chiamato in giudizio a fini di manleva dalla Nis Car, accoglieva l’opposizione e condannava Il Leasing s.p.a. alle spese di lite.

Avverso siffatta decisione proponeva appello la Leasing cui, resisteva la Nis Car, che proponeva appello incidentale nei confronti del M., che anche in fase di gravame restava contumace.

La Corte di appello di Brescia con sentenza del 28 aprile 2005 riformava la decisione di prime grado condannando l’appellata alle spese del grado e dichiarava inammissibile l’appello incidentale.

Contro questa sentenza propone ricorso per cassazione la Nis Car, affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso la Il Leasing, che ha depositato memoria.

All’udienza del 19 gennaio 2010 la Corte disponeva la integrazione del contraddittorio nei confronti della ditta Mazzoleni.

L’incombente risulta espletato.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Osserva il Collegio che il punto centrale del ricorso si configura sotto un duplice aspetto quello concernente le condizioni di ammissibilità del procedimento di ingiunzione in relazione alla necessità della prova scritta e quello circa la qualificazione giuridica data dal giudice dell’appello ai contratti di leasing come mero collegamento negoziale e non già unico rapporto trilaterale, come invocato dalla ricorrente e deciso dal giudice di primo grado, anche se assume rilievo la problematica circa la vessatorietà della clausola presente in uno dei contratti sottoscritti dalle parti e quella, conseguente alla soluzione del problema principale circa un eventuale indebito arricchimento della Il Leasing. Ne consegue che per ragioni logiche va esamina Lo per primo il quarto motivo di ricorso, posto in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 (p. 25-26 ricorso) (violazione e falsa applicazione dell’art. 633 c.p.c., e segg., in relazione alle condizioni di ammissibilità del procedimento di ingiunzione ed alla necessità della prova scritta).

Questa censura va disattesa.

Giova premettere che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la prova scritta, richiesta quale condizione di ammissibilità del procedimento di ingiunzione, può essere costituita da qualsiasi documento proveniente dal debitore o da un terzo che sia idoneo a dimostrare l’esistenza del diritto fatto valere a fondamento della richiesta, anche se-priva di efficacia probatoria assoluta e, quindi, non necessariamente dai documenti indicati in funzione puramente descrittiva ed esemplificativa dagli artt. 633, 635, 636 c.p.c. (Cass. n. 13429/00; Cass. n. 14363/01).

Al riguardo, il giudice dell’appello, come fa notare anche la resistente (p. 12 controricorso), ha ritenuto idonei:

1) i tre contratti di acquisto dei tre veicoli, debitamente sottoscritti da Nis Car, la cui clausola n. 3 ne prevedeva espressamente la risoluzione, in caso di inadempimento dell’utilizzazione con conseguente obbligo di rimborsare il prezzo pagalo nella percentuale del 25%;

2) la copia delle relative fatture con indicazioni del prezzo pagato;

3) la copia dei contratti di leasing intercorsi con il M.;

4) le lettere raccomandate 4 giugno 1999 e 1 luglio 1999, che contestavano le inadempienze nel pagamento dei canoni e la volontà di risoluzione dei contratti; le raccomandate indirizzate in pari data alla Nis Car, con cui si comunicava la risoluzione dei contratti di leasing e del contratto di vendita con contestuale richiesta di restituzione del prezzo pagato con la riduzione del 25%;

5) la copia dei bollettini Emotex Blu, che indicavano i valori – di mercato dei tre veicoli, dalla data di risoluzione dei contratti (p. 16-17 sentenza impugnata).

Da tutta questa documentazione il giudice del gravame ha logicamente e correttamente dedotto che non vi era il fumus per azionare la procedura di ingiunzione, ma anche che il credito era liquido dal momento che l’importo dovuto poteva essere individuato attraverso una mera operazione di calcolo (p. 18 sentenza impugnata).

2. Passando al “merito de la vicenda”, a quello, ovvero, che il giudice dell’appello definisce il perno della decisione avanti a lui impugnata, la società ricorrente – con il primo motivo, che presenta due profili e con il secondo motivo, che ne costituisce ulteriore specificazione e con il terzo, concernente la clausola n. 3 del contratto di acquisto (motivi tutti da esaminarsi congiuntamente per la loro interconnessione), – si duole della qualificazione giuridica dei contratti di leasing. 2.1. – Sotto il primo profilo del primo motivo, asserisce la ricorrente che, mentre .il giudice di prime cure aveva ritenuto quei contratti come trilaterali e traslativi, con conseguente applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., il giudice del gravame avrebbe erroneamente qualificato gli stessi come contenenti, in realtà, un mero collegamento negoziale e precisamente tra il contratto di leasing, che vedrebbe come soggetti interessati il concedente e l’utilizzatore e il contratto di compravendita tra concedente e il fornitore.

Assume, invece, la ricorrente che poichè il contratto di leasing ha una propria causa unitaria assolutamente autonoma caratterizzata dalla funzione creditizia, in realtà si sarebbe in presenza di un contratto trilaterale, concluso tra concedente, utilizzatore e fornitore.

Nella specie, i contratti di leasing sarebbero dei contratti plurilaterali, certamente caratterizzati da una struttura trilaterale, per cui la Nis Car era ben legittimata a far valere la natura traslativa del contratti in questione, con la conseguente applicabilità degli artt. 1384 e 1526 c.c., e l’ingiusto arricchimento conseguito dalla Il Leasing. (p. 12-13 ricorso).

Peraltro, la unitarietà della causa sarebbe avvalorata dalla sottoscrizione da parte di tutti i soggetti coinvolti nei rapporti de quibus, rinvenendosi uno scopo comune e l’essenzialità dei rispettivi consensi nella formazione dell’accordo contrattuale complessivo.

2.2. – Osserva il Collegio che 11 motivo va disatteso per le seguenti, considerazioni.

Il Tribunale aveva fondato la sua ratio decidendi sulla qualificazione del contratto di leasing finanziario come contratto unico trilaterale, ne quale il rapporto tra fornitore-concedente ed utilizzatore altro non era che “un segmento” del complesso rapporto unitario, per cui al contratto di compravendita tra Nis Car e la Il Leasing aveva ritenuto non applicabile le disposizioni di carattere particolare contenute nella clausola n. 3 in riferimento all’ipotesi del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore.

Una volta qualificato come traslativo il contratto di leasing, in quanto i beni, che ne costituivano l’oggetto, avevano l’attitudine a conservare alla scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione (i canoni erano determinati in misura tale da consentire di scontare anche una quota del prezzo in prossimità del successivo acquisto) il Tribunale aveva applicato in via analogica l’art. 1526 c.c. (vendita con riserva di proprietà), per cui il concedente, che aveva ottenuto la restituzione dei beni e già percepito la somma di L. 53.450.000 a titolo di canoni, null’altro avrebbe potuto pretendere a titolo di equo compenso (da intendersi come comprensivo della remunerazione del godimento del bene e del deprezzamento derivante dall’uso, non de mancato guadagno del concedente).

Il rimborso de prezzo di vendita, previsto dalla suddetta clausola delle condizioni generali, di acquisto-ha aggiunto il Tribunale, era da ritenersi ontologicamente alternativo alla restituzione del bene.

Questa ratio decidendi è stata disattesa dal giudice dell’appello sulle base di queste considerazioni:

1) nell’operazione economica trilaterale è da rinvenirsi una ipotesi, di mero collegamento negoziale tra i contratti-quello di leasing tra concedente e utilizzatole e quello di compravendita tra concedente e fornitore del bene, in virtù dello scopo cui era finalizzata l’operazione, che era quello di consentire all’utilizzatore di conseguire la disponibilità di un determinato bene, da esso stesso prescelto, attraverso una particolare forma di finanziamento, che si attua mediante l’acquisto del bene, da parte del concedente, da un soggetto terzo, il fornitore, il quale, pur avendo conoscenza delle ragioni dell’acquisto, rimane tuttavia estraneo alla coeva o successiva stipulazione del contratto di locazione;

2) ne consegue che l’operazione di leasing presenta tutti i tratti caratteristici del fenomeno del collegamento contrattuale, comunemente ricondotti all’esistenza di due o più negozi, ciascuno con una propria causa distinta, combinati funzionalmente per il raggiungimento dello scopo pratico unitario (richiama Cass. n. 8844/01), mentre il contratto unico è quello che, pur costituendo la esistenza di più contratti, da vita ad un negozio contraddistinto da un’unica causa, diversa da quella, propria dei contratti che li compongono (p. 11-13 sentenza impugnata).

Siffatta, motivazione è corretta dal punto di vista logico-giuridico.

Infatti, è indubbio che il termine “operazione leasing” indica normalmente due contratti, che appaiono tra loro collegati, per lo meno da un punto di vista economico.

Peraltro, due negozi sono collegati allorchè tra gli stessi si istituisce sia per legge o per volontà delle parti un rapporto di interdipendenza o di complementarietà.

Il collegamento può essere genetico o funzionale.

Quello genetico attiene alle fasi di formazione dei contratti e normalmente si esaurisce nel momento in cui i due contratti vengono ad esistenza.

Quello funzionale attiene alla fase per così dire dinamica della vita (durata ed efficacia) dei due contratti ed ha un valore permanente.

Nel caso in esame, la clausola n. 3 che qui si riporta, essendo trascritta nella sentenza impugnata è del seguente tenore: “Resta pattuito tra le parti che l’inadempimento dell’utilizzatore determina la risoluzione del contratto di vendita di cui al presente ordine. In tal caso il fornitore rimborserà a Il Leasing il prezzo di vendita del bene o dei beni pagato ridotto della percentuale del 25% per ciascun anno o frazione dello stesso in relazione al tempo che risulterà trascorso tra la consegna del bene dal fornitore all’utilizzatore e la risoluzione del contratto di vendita. Restano comunque ad esclusivo carico del fornitore ogni inadempimento, rifiuto o ritardo frapposti dall’utilizzatore alla riconsegna del bene, anche nell’ipotesi che la stessa divenisse materialmente impossibile” (p. 6 sentenza impugnata).

Detta formulazione induce a ritenere che la struttura dell’operazione ed il regolamento degli interessi disposto dalle parti, che determinarono inequivocabilmente la posizione di pura intermediaria finanziaria assunta dalla Il Leasing (società concedente), rivelano la natura funzionale del collegamento tra i contratti.

Le parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale hanno realizzato un assetto di interessi che dimostra la esistenza di un collegamento funzionale tra di ossi noi senso che, pur restando i due contratti autonomi e distinti, malgrado la sottoscrizione di essi da parte di tutti e tre – utilizzatore, fornitore, concedente – la vicenda e la sorte di un contratto condizionavano o potevano condizionare la vicenda o la sorte del contratto collegato.

Nella giurisprudenza di questa Corte l’esistenza del collegamento negoziale tra contratto di fornitura e leasing, già affermata con sent. n. 7595/95, costituisce oggi un importante punto di passaggio per attribuire tutela all’utilizzatore di fronte alle clausole di inversione del rischio, come non ha mancato di evidenziare dottrina specialistica.

Ed, inoltre, si è giunti ad affermare che il collegamento tra contratto di leasing e quello di fornitura, oltre alla “relazione” tra i due contratti, cioè al fatto che il contratto di fornitura è concluso dal concedente allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatole ad acquisite la disponibilità della cosa, costituisce presupposto sufficiente a legittimare l’utilizzatore ad esercitare il diritto delle azioni scaturenti dal contratto di fornitura (Cass. n. 6412/98; n. 10926/98; per quanto valga Cass. n. 9785/98, in motivazione; n. 15762/00, con l’unica decisione contraria di cui a Cass. n. 854/00, richiamata in motivazione nella decisione poco prima indicata).

Che, nella specie, si tratti di contratti collegati, convenzionalmente collegati, si evince dai fatto che nel leasing la causa negoziale nella prospettiva di entrambi i contraenti, è data dal fatto che l’utilizzatore intende ottenere la disponibilità del bene oggetto del contratto e il concedente, per rendere realizzabile ciò, impegna somme che vuole ottenere in restituzione con questa remunerazione.

In altri termini, il concedente anticipa una somma di danaro e concede un termine per la restituzione del finanziamento che consente al tempo stesso al finanziato di utilizzare il bene nel contesto produttivo.

Il concedente è, dunque, un soggetto ben diverso da un venditore di beni a rate o con riserva di proprietà.

Queste riflessioni inducono a confermare in pieno la ratio decidendi del giudice dell’appello, allorchè non ha potuto che disconoscere la natura da segmento del complesso unitario di leasing, in quanto attraverso la clausola n. 3 del contratto di acquisto e più sopra trascritta si evince che l’inadempimento dell’utilizzatore, oltre che la risoluzione del contratto di leasing, avrebbe determinato anche la risoluzione del contratto di vendita, con conseguente obbligo del fornitore di rimborsare il prezzo pagato per l’acquisto ridotto della percentuale del 25% e ciò in funzione di maggiore garanzia per la società concedente.

Infatti, in virtù di quella clausola si prevedeva il trasferimento su fornitore di una parte del rischio connesso all’eventuale inadempimento dell’utilizzatore.

Siffatta motivazione è appagante sotto il profilo giuridico, come sopra evidenziato, ma anche sotto il profilo logico.

Di vero, l’utilizzatore in leasing gode del bene, traendone tutti i benefici e assumendone i rischi; per il concedente il diritto di proprietà, in senso elastico, si traduce in un contesto essenzialmente negativo o quanto meno atipico in relazione al Leasing, come sottolineato anche da autorevole dottrina.

Nel leasing, infatti, il diritto del proprietario è svuotato fino al limite di rottura, perchè è una proprietà in funzione del finanziamento, svolgendo quasi un ruolo e una funzione strumentale, In concreto e rispetto al regolamento degli interessi delle parti, rispetto alla concessione del finanziamento e alla messa a disposizione del bene, quest’ultima, che realizza la causa del finanziamento in termini di utilitas, rappresenta atto di finanziamento e di adempimento all’obbligo di scopo.

Nel leasing i canoni corrisposti non hanno natura “locatizia” in senso tradizionale, perchè non vengono calcolati sulla base del godimento del bene secondo nomali valori di mercato, ma come quota di restituzione del finanziamento in linea capitale e in linea interesse.

Peraltro, essendo il concedente un mero intermediario finanziario, l’assetto dei rischi posti a carico dell’utilizzatore e/o contrattualmente a carico del fornitore, sembra difficilmente il leasing compatibile con io schema della locazione.

In altri termini, il concedente in leasing non garantisco l’uso del bene, non risponde di alcun vizio o diletto dello stesso (v. per l’appunto la clausola n. 3 citata).

3. – Di qui l’assorbimento del secondo motivo, mentre va respinto il terzo.

Infatti, come aveva già statuito il giudice di prime cure, il giudice dell’appello ritiene la clausola n. 3 non vessatoria.

Assume la ricorrente che la suddetta clausola sarebbe, invece, doppiamente vessatoria: 1) perchè configurerebbe una sostanziale facoltà di recesso nel rapporto di compravendita e 2) perchè le impedirebbe di opporre alla Il Leasing le eccezioni derivanti dal contratto di leasing. Circa il primo profilo va detto che la clausola attiene alla risoluzione per inadempimento, per cui non si può parlare di recesso.

Circa il secondo, il giudice dell’appello ha ravvisato nella clausola solo una maggiore garanzia per la società concedente, ottenuta attraverso il trasferimento di una parte. del rischio connesso all’eventuale inadempimento dell’utilizzatore (p. 14 sentenza impugnata).

E sulla presunta limitazione alla facoltà di opporre eccezioni derivanti dal contratto di leasing, nella clausola in questione non si rinviene alcun riferimento o limitazione alla facoltà stessa.

Peraltro, poichè nel leasing finanziario i concedente-a differenza del locatore o venditore a rate- non intrattiene alcun rapporto materiale con il bene oggetto del contratto, l’esonero del concedente da rischi o responsabilità relativi al bene appare giustificalo secondo le normali regole che tutelano i contraenti: nel caso di vizi o difformità della cosa acquistata o venduta, purchè il fornitore coinvolga il concedente nel relativo giudizio (Cass. n. 845/00).

Nel caso di specie, il giudice dell’appello nel valutare la clausola de qua l’ha configurata “come maggiore garanzia per la società concedente” (p. 14 sentenza impugnata) .

Ne ha escluso la vessatorietà, perchè non prevede limitazioni di responsabilità del la controparte nel rapporto negoziale, nè decadenze o limitazioni e restrizioni alla libertà contrattuale (si legge nella sentenza impugnata: p. 14-15), come risulta, infatti, dalla sua formulazione e in coerenza con i criteri individuativi della vessatorietà statuiti dalla giurisprudenza di questa Corte (v. per quanto valga in tema di leasing Cass. n. 6369/02).

Infine, e in modo logicamente corretto, è stato escluse dal giudice dell’appello ogni indebito arricchimento per la società concedente, posto che la Il Leasing, a fronte di spese di acquisto pari a L. 102.822.208 al netto dell’IVA, ha riscosso dall’utilizzatore canoni per sole L. 49.761.490, avendo, quindi, riguardo all’operazione nel suo complesso.

Infatti, alla data della risoluzione dei contratti il residuo credito della concedente nei confronti dell’utilizzatore per canoni scaduti e a scadere ammontava a L. 105.673.321; il valore dei mezzi recuperati era pari a L. 53.450.000, il decreto ingiuntivo fu emesso per L. 29.727.031, inferiore alla differenza tra le prime due voci indicate (p. 15 sentenza impugnata).

Come appare evidente, il giudice dell’appello ha accertato la volontà delle parti trasfusa nella clausola e non ha violato nè i criteri ermeneutici, nè la sua decisione presenta vizio di motivazione (Cass. n. 18195/07).

in conclusione il presente ricorso va respinto.

P.Q.M.

ha Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100/00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2010

 

 

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