Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16012 del 07/07/2010

Cassazione civile sez. III, 07/07/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 07/07/2010), n.16012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22019/2005 proposto da:

COOPERATIVA EDILIZIA VERA CRUZ S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS)

in persona del suo liquidatore e legale rappresentante Dott. N.

M. elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 9,

presso lo studio dell’avvocato MORRONE Vittorio, che la rappresenta e

difende giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA GIULIANA 63, presso lo studio dell’avvocato QUATTROCCHI

Raniero, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2167/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Terza Civile, emessa il 8/2/2005, depositata il 17/05/2005,

R.G.N. 7486/2002;

udita la relazione del la causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato CLAUDIO DI PIETROPAOLO per delega dell’Avvocato

VITTORIO MORRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dep. 28 gennaio 2002, n. 985, questa Corte accoglieva il quarto motivo del ricorso proposto da C.G. ed in relazione al motivo accolto cassava la sentenza della Corte di appello di Roma del 14 dicembre 1999; rigettava gli altri motivi di ricorso e il ricorso incidentale della Cooperativa Vera Cruz s.r.l. in liquidazione, affidato ad un solo motivo.

Riassunto il giudizio da parte del C., le parti insistevano sulle rispettiva argomentazioni e difese.

La Corte del rinvio con sentenza 17 maggio 2005, accoglieva parzialmente e l’appello contro la sentenza del Tribunale di Roma del 16 maggio 1996 e condannava la Cooperativa al pagamento in favore del C. dell’importo di Euro 79.947,52 con interessi legali decorrenti dalla data della sentenza di appello al saldo; compensava tra le parti la metà delle spese del giudizio cassato, di quello di legittimità e del rinvio.

Avverso siffatta decisione ricorre la Cooperativa affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso il C..

La Cooperativa Vera Cruz s.r.l. in liquidazione per l’udienza pubblica del 3 febbraio 2009 depositava memoria.

Il Collegio in quella sede rinviava a nuovo ruolo la causa per la notifica del ricorso alla parte resistente o agli eredi della medesima nel domicilio della stessa, risultando deceduto nelle more il C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Osserva il Collegio che il punto centrale del ricorso sembra costituito dai primo motivo con cui si censura per ultrapetizione la sentenza del rinvio che avrebbe accolto quantitativamente la domanda in misura eccedente la richiesta e, peraltro, vi sarebbe anche una totale assenza di motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Al riguardo occorre premettere che questa Corte con sentenza n. 985/02 accoglieva il quarto motivo del ricorso del C., con il quale si censurava la sentenza di appello per violazione dell’art. 1223 c.c.; per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1242, 1243 c.c., art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Ritenne il Collegio che la censura era volta a denunciare una indebita compensatio lucri cum damno.

Infatti, la Corte di appello aveva erroneamente decurtato di ufficio la entità del risarcimento dovuto dalla Cooperativa al C., in conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo di assegnazione, dell’equivalente pecuniario del godimento del bene durante il periodo nel quale il C. ne aveva avuto la disponibilità.

La Corte, premesso che per giurisprudenza costante di legittimità, il principio suddetto in tanto trova applicazione in quanto il danno e il vantaggio siano entrambi conseguenza diretta ed immediata della condotta antidoverosa del debitore (indicando per tutte Cass. n. 7612/99), non ravvisava tale presupposto nella fatti specie.

Di vero, l’uso e il godimento del bene consegnato al C. in vista cella futura assegnazione, non poteva configurarsi come un vantaggio derivato al socio della Cooperativa, danneggiato dall’inadempimento della stessa e accoglieva il motivo (par. 5 della sentenza rescindente).

In altri termini, le due partite creditorie e debitorie dovevano dipendere dalla medesima fonte obbligatoria, che, nel caso, non si configurava, per cui il giudice dell’appello non poteva detrarre dal credito vantato dal C. a titolo risarcitorio, il vantaggio a lui dovuto della disponibilità dell’appartamento, trattandosi di conseguenze patrimoniali non derivanti dalla stessa condotta antigiuridica del debitore.

2.-La Corte del rinvio, una volta ritenuto che l’indagine ad essa affidata dalla sentenza rescindente dovesse essere limitata alla esclusione della voce creditoria erroneamente calcolata nella precedente sentenza, ha determinato il credito residuale del C. in L. 55 milioni, adeguatamente attualizzandolo su base ISTAT del 3,86%, portandolo a L. 212.300.000.

Il giudice del rinvio ha riconosciuto al C. il risarcimento del danno da mero cessante in L. 115 milioni per la mancata disponibilità della somma e la perdita degli interessi legali sulla sorta capitale mediamente rivalutata (pari a L. 106.105.000) al saggio annuale del 5%, moltiplicato per 73 anni, tale essendo il periodo di tempo trascorso tra la data dell’illecito e la sentenza che ha emesso.

Preso atto che al C. venne corrisposto l’acconto di L. 150 milioni, corrispondente ai valori, attuali della moneta su base ISTAT a L. 172.500.000 ha condannato la Cooperativa al pagamento in favore del C. dell’importo di L. 154.800.000 (pari ad Euro 79.947,52) sul quale ha riconosciuto gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo (p. 3-4 sentenza impugnata).

3.-La Cooperativa, come già evidenziato, con il primo motivo censura la sentenza per vizio di ultrapetizione, in quanto il giudice del rinvio avrebbe accolto quantitativamente la domanda in misura eccedente la richiesta e la totale assenza di motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Al riguardo, osserva il Collegio che, come è giurisprudenza costante: di questa Corte, da cui non vi è ragione per discostarsi, l’atto di riassunzione dianzi al giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 392 c.p.c., ha la funzione di riattivare il giudizio, configurandosi come meramente ripetitivo delle richieste avanzate negli atti processuali precedenti a mezzo dei quali, pertanto, può essere integrato il suo contenuto.

Pertanto, la parie può proporre in forma alternativa o subordinata le sue domande ed il giudice deve portare il suo esame sull’intero contenuto dell’atto che contiene le conclusioni al fine di desumerne la sostanziale portata.

Quindi, non incorre nel vizio di ultrapetizione, ovvero nel mancato rispetto del principio tra il chiesto e il pronunciato, il giudice che, valutando le conclusioni esistenti nell’atto di riassunzione nelle quali si chiede di pronunciarsi in riferimento a specifica e determinata domanda, emetta una decisione in maniera diversa rispetto a quanto espressamente richiesto, ma che sia ritenuta di giustizia.

Di vero, allorchè è denunciato questo vizio la Corte di Cassazione è anche giudice del fatto (giurisprudenza costante), per cui, accedendo all’esame diretto della citazione in riassunzione, si evince che nello conclusioni l’esposizione della cifra richiesta (Euro 110.000,00) comunque superiore ad Euro 79.947,52 di cui al dispositivo è seguita dalla frase “ovvero quella diversa somma che fosse ritenuta di giustizia” (p. 13-14 atto di riassunzione).

Di qui, nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c., così come formulata.

Anche sotto l’altro profilo del vizio di motivazione il motivo va disatteso.

Infatti, esso sembra denunciare errori di calcolo, mentre il giudice del rinvio ha motivato, in aderenza al principio statuito da questa Corte nella sentenza rescindente, attribuendo il risarcimento da lucro cessante “per la mancata disponibilità della somma e la perdita degli interessi legali sulla sorte capitale” (v.p. 4 sentenza impugnata).

4.-Il secondo motivo (violazione di legge per erronea, falsa o mancante applicazione dell’art. 1223 c.c., e norme connesse e richiamate; totale assenza dr motivazione su un punto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) è palesemente infondato, oltre che di difficile comprensione in alcuni passaggi argomentativi.

Con esso, in sostanza, la ricorrente denuncia la erronea attribuzione della somma al C., in quanto erroneamente calcolata ab origine sia nella misura che nella decorrenza.

Assume, infatti, la ricorrente che il riferimento nel ricorso all’epoca redatto, all’art. 1223 c.c., “è meramente pleonastico e di fatti, nella motivazione della S.C. non vi è alcun cenno ad esso” (p. 11 ricorso).

Ma, come già posto in evidenza, la Corte accolse il quarto motivo del ricorso de C. fondato proprio sull’erronea applicazione dell’art. 1223 c.c., da cui discendeva la falsa applicazione degli artt. 1242, 1243 c.c., che rispettivamente attengono agii effetti della compensazione e alla compensazione legale e giudiziale.

Peraltro, come rileva il resistente (p. 18 controricorso) la Corte nella sentenza, con cui decise il rinvio, ritenne ingiustamente escluso dal risarcimento “l’entità dell’equivalente pecuniario del godimento del bene durante il periodo nel quale il C. ne ha avuto la disponibilità” (par. 5 sentenza n. 985/02, nella parte in cui descrive la doglianza del C., che ritiene fondata).

Nè risulta, proprio per questa ragione, che sul punto si sia formato il giudicato in ordine a rivalutazione o maggior danno o quindi un plus interpretativo sia in termini di decorrenza che di misura.

Il giudice del rinvio ha provveduto soltanto a liquidare il danno da lucro cessante, limitatamente alla mancata disponibilità della somma e alla perdita degli interessi legali, nel senso che ha ritenuto ex art. 1223 c.c. che il C. avesse subito un lucro cessante come conseguenza diretta ed immediata per la esclusione della somma dal quanto risarcibile e a lui spettante.

Ed, inoltre, i motivi del ricorso a suo tempo proposto e che furono ritenuti infondati, in specie il primo e il terzo, non riguardavano affatto il problema risarcitorio sotto il profilo della erronea compensazione tra il credito risarcitorio del C. e il credito della Coooperativa, avente ad oggetto l’equivalente pecuniario del godimento dell’immobile da parte del socio nel periodo compreso tra la consegna dell’alloggio e il suo rilascio, come si evince dai par.

2 e 3 della sentenza rescindente.

5.-Con il terzo motivo (violazione per omessa, erronea o falsa applicazione di numerose disposizioni di diritto sostanziale o processuale – art. 384 c.p.c., comma 1 e art. 143 disp. att. c.p.c.;

art. 324 c.p.c., art. 2901 c.c., art. 336 c.p.c., artt. 1241-42-43 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.) da una parte la ricorrente censura la sentenza impugnata con le stesse argomentazioni di cui al secondo motivo (v. p. 19 ricorso) ed afferma di essere “consapevole della difficoltà di dover riproporre innanzi a questa alta sede di legittimità la rielaborazione di conteggi, proposizioni e tabelle”- comunque, insistendo sulla denuncia di nullità, atteso “l’apodittico modus operandi e decidendi dell’impugnata sentenza (p. 13 ricorso), dall’altra assume che “la violazione di legge più grave è quella relativa alla disapplicazione dei noti principi in tema di compensazione”.

Ad avviso della ricorrente gli errori imputabili al giudice del rinvio riguardano:

1) la non applicabilità in compensazione dei crediti per spese legali derivanti calle citate sentenze intervenute a carico del C.;

2) la lieve ed erronea rivalutazione dei 150 milioni a suo favore “dopo aver rivalutato o maggiorato di interessi annui del 5% fino al 2005 il credito del C., già erroneamente calcolato ab origine sia nella misura che nella decorrenza; le due partite di debito e credito non possono continuare a correre parallele dal 1997 al 2005, anche se assoggettate-dalla sentenza impugnata- a criteri di rivalutazione e interessi totalmente diversi e penalizzanti per essa Cooperativa (p. 20 ricorso).

A queste argomentazioni la ricorrerne aggiunge che la compensazione è stata fatta in misura erronea e parziale dal giudice del rinvio e chiede una pronuncia ex art. 384 c.p.c., comma 1, onde ottenere una decisione che ponga fine ad una vertenza, che dura da quasi venti anni e relativa solo al quantum (p. 21-23 ricorso), anche perchè, richiamando decisioni di questa Corte, fa presente che alla compensazione il giudice deve procedere anche di ufficio (p. 22-23 ricorso).

Ed, inoltre, si cura di evidenziare quelli che, a suo avviso, sono errori di calcolo rinvenibili nella impugnata sentenza (p. 24-26 ricorso), onde dimostrare che è essa Cooperativa ancora creditrice del C. o quanto meno che vi è estinzione della sua posizione, a fronte di una esposizione di quasi 30 mila Euro, più di quanto versato (p. 24-26 ricorso).

Il motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata pretendendo calcoli non consentiti in questa sede e adduce elementi, che esorbitano dall’oggetto del rinvio.

In sostanza, si pretende di forzare il decisum con cui questa Corte ha deciso il rinvio con la detrazione a diverso titolo di quanto sia stato statuito con la sentenza n. 985/02 e, quindi, si introduce motivo di novità rispetto a quanto era chiamato a decidere il giudice del rinvio, che doveva, come ha fatto, attenersi alla sentenza rescindente.

Peraltro, come fa notare il resistente (p. 20 controricorso), il motivo è nuovo anche rispetto alle conclusioni formulate nella comparsa di costituzione del giudizio in riassunzione.

6.-Con il quarto motivo, formulato “in via estremamente gradata e sussidiaria”, la ricorrente denuncia che il C. si sarebbe arricchito senza causa.

Si tratta di censura inammissibile per assoluta carenza del principio di autosufficienza dello stesso e perchè non attiene a quanto discusso nel corso della controversia.

7.-Il quinto motivo attiene al governo delle spese ed è anch’esso inammissibile avendo il giudice del rinvio ampiamente e specificatamente motivato in merito.

In conclusione, il ricorso va respinto.

Sussistono giusti motivi data la complessità della vicenda per compensare integralmente tra le parti le spese de presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2010

 

 

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