Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16009 del 01/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 01/08/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 01/08/2016), n.16009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20582-2014 proposto da:

P.R., ((OMISSIS)), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE ACACIE 13 presso il CENTRO CAF, presso l’avvocato GIANCARLO DI

GENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

LELIO MARITATO, SCIPLINO ESTER ADA, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE

ROSE, GIUSEPPE MATANO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 231/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

12/2/2014, depositata il 22/2/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;

udito l’Avvocato CARLA D’ALOSIO difensore del resistente che nulla

osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1 – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380 bis e 375 c.p.c., ritualmente comunicata alle parti:

” P.R., premesso di aver lavorato alle dipendenze dell’azienda agricola ” V.U.” nell’anno 2000 per 90 gg., conveniva l’I.N.P.S. dinanzi al Giudice del lavoro di Salerno e chiedeva la reiscrizione del proprio nominativo negli elenchi dei braccianti agricoli del Comune di residenza per tale anno. Il Tribunale rigettava la domanda. Avverso tale decisione proponeva impugnazione la P.. La Corte di appello di Salerno, in accoglimento dell’appello ed in riforma dalla sentenza del Tribunale, ordinava la reiscrizione della ricorrente nell’elenco nominativo dei braccianti agricoli del Comune di residenza per 90 giornate relativamente all’anno 2000. Riteneva che lo svolgimento da parte dell’appellante delle giornate di lavoro dedotte in giudizio fosse stato provato dagli esiti istruttori e, per quanto interessa in questa sede, che apparisse equo disporre la riduzione alla metà del compenso professionale mediamente previsto dalla tariffa per entrambi i gradi di giudizio atteso che l’erronea determinazione dell’istituto, causata da denunce non corrette dell’azienda e da una notoria enorme diffusione del fenomeno, era emersa solo all’esito di approfondita istruttoria (spese che erano liquidate, per ciascun grado e per l’intero in Euro 930,00 oltre accessori).

Propone ricorso per cassazione Rosa P. affidato a tre motivi.

L’I.N.P.S. ha depositato procura in calce al controricorso.

Con il primo motivo e il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., del D.M. n. 140 del 2012 (artt. 1, 4 e 11) e dei parametri di cui alla allegata tabella A e della relazione ministeriale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento tanto al giudizio di primo grado quanto al giudizio di secondo grado. Rileva che il valore della controversia era da ritenersi “indeterminabile” (essendo stato richiesto il riconoscimento della sussistenza e validità di un contestato rapporto di lavoro agricolo subordinato) e che lo scaglione di riferimento era quello da 25.000,01 ad Euro 50.000,00; che, in base alla tabella allegata al D.M. e alla relazione illustrativa, avuto riguardo ai valori medi di liquidazione (aumentati della percentuale del 20% per il giudizio di appello e diminuiti del 50%), indicato quale percentuale massima di riduzione degli stessi, doveva ritenersi effettuata in violazione degli indicati parametri la determinazione dei compensi nella misura stabilita dalla Corte di appello di Salerno, che aveva disatteso i minimi inderogabili previsti. Ed invero, ogni ulteriore riduzione doveva, secondo il ricorrente, essere motivata, per non incorrere nella violazione denunciata.

Con il secondo motivo (subordinato rispetto al primo per l’eventualità che non si ritengano applicabili al giudizio di primo grado le tariffe di cui al D.M. n. 140 del 2012 ma quelle previgenti) la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’articolo unico della L. n. 1051 del 1957, delle tariffe approvate con D.M. n. 127 del 2004, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Lamenta la liquidazione per intero effettuata dalla Corte territoriale con riguardo al giudizio di primo grado egualmente violativa dei minimi tariffari, tenuto conto del valore della causa.

Le censure proposte sono meritevoli di accoglimento nei termini di seguito illustrati.

Va premesso che nella specie si discute del diritto alla iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli e non del diritto ad una prestazione. In tale ipotesi, come si desume anche da Cass. 26 febbraio 2014, n. 4590, il valore della causa è indeterminabile. Lo stesso, infatti, non è suscettibile di concreta quantificazione sulla base di elementi precostituiti e disponibili fin dall’introduzione del giudizio (cfr. Cass. 24 marzo 2004, n. 5901; Cass. 12 luglio 2005, n. 14586).

Va, poi, precisato che, come da questa Corte già chiarito, in tema di spese processuali, agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41 i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purchè, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicchè non operano con riguardo all’attività svolta in un grado di giudizio conclusosi con sentenza prima dell’entrata in vigore, atteso che, in tal caso, la prestazione professionale deve ritenersi completata sia pure limitatamente a quella fase processuale (cfr. Cass. 11 febbraio 2016, n. 2748; Cass. 18 dicembre 2012, n. 23318).

Ed allora è di tutta evidenza che una liquidazione per intero delle spese di lite del giudizio di primo grado (concluso prima dell’entrata in vigore del D.M. n. 140 del 2012) come operata dalla Corte territoriale, tenuto conto delle voci indicate dal ricorrente, nel rispetto del principio di autosufficienza, con riferimento al valore della causa, abbia violato gli inderogabili minimi tariffari applicabili a termini del D.M. n. 127 del 2004 (cfr. Cass. 19 aprile 2006, n. 27804; Cass. 29 ottobre 2014, n. 22983).

Con riferimento alla liquidazione delle spese relativa al giudizio di secondo grado va, del pari, evidenziato che i dati indicati sempre con riguardo al valore della causa e tali da consentire un controllo autosufficiente, ossia fondato sul solo contenuto del ricorso, depongono per l’effettiva spettanza di maggiori importi e per la violazione del principio di inderogabilità dei minimi tariffari. Pur non risultando essere stata espletata in grado di appello attività istruttoria (sicchè le voci corrispondenti sono erroneamente computate), deve ritenersi che i parametri indicati dal ricorrente come valori minimi di liquidazione ai sensi dell’indicato D.M. siano stati violati, posto che la riduzione dei valori medi del giudizio di appello poteva avvenire nei limiti del 50%, non essendo consentita una ulteriore riduzione senza alcuna motivazione a suo sostegno. Il D.M. n. 140 del 2012, art. 4, comma 2, il quale prevede che, nella liquidazione dei compensi, si tenga conto del valore e della natura e complessità della controversia, poteva indurre a liquidare i compensi nella misura minima (- 50% per tutte le fasi, eccetto quella istruttoria diminuibile del 70%). L’art. 11, comma 1 cit. Decreto dispone, tuttavia, che i parametri specifici per la determinazione del compenso, ovvero, di regola, quelli di cui alla tabella A allegata, possano sempre subire un’ulteriore diminuzione o aumento della relativa entità in considerazione delle circostanze concrete, ferma l’applicazione delle regole e dei criteri di cui agli art. 1 e 4. Nella specie, alla luce dei valori espressamente riportati in ricorso per la specifica fase di appello (anche ove venga escluso l’avvenuto svolgimento dell’attività istruttoria), deve ritenersi che il giudice del gravame non abbia fatto corretta applicazione dei criteri menzionati, stante l’assoluta mancanza di ogni motivazione, che sola poteva rendere rionoscibili le ragioni che avevano indotto alla ulteriore diminuzione dei valori minimi in relazione alle circostanze del caso concreto, rendendo conforme a legge l’avvenuta determinazione dei compensi professionali (si veda, in termini, la recente Cass. 12 gennaio 2016, n. 253).

Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame ad altro giudice; il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

2 – Non sono state depositate memorie ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

3 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo.

4 – In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va, in parte qua, cassata con rinvio alla Corte di appello di Napoli che procederà ad un nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa, in parte qua, la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2016

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