Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16000 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 28/07/2020), n.16000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4791/2019 R.G. proposto da:

B.F., rappresentata e difesa dall’avv. Mario Rampini,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Cicerone n. 44, presso l’avv.

Giovanni Corbyons.

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NOCERA UMBRA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e

difeso dall’avv. Stefano Mingarelli e dall’avv. Federico Muzi,

elettivamente domiciliato in Roma, via Bevagna n. 46, presso l’avv.

Andrea Cardinali.

– controricorrente –

(OMISSIS) S.A.S. E M.G., entrambi in persona del

Curatore fallimentare.

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 504/2018,

depositata in data 29.6.2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

4.3.2020 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.F., la (OMISSIS) s.a.s e M.G. hanno proposto separate opposizioni avverso l’ordinanza ingiunzione n. 7325/2009, emessa a loro carico dal Comune di Nocera Umbra, per aver effettuato attività estrattive in violazione dell’autorizzazione comunale, ai sensi della L.R. Umbria n. 2 del 2000, art. 17, commi 4 e 5.

Disposta la riunione dei giudizi e dichiarato il fallimento della (OMISSIS) e di M.G., all’esito il Tribunale di Perugia, sezione di Foligno, ha rigettato l’opposizione, regolando le spese. La pronuncia, impugnata dal solo B., è stata confermata in appello.

La Corte distrettuale di Perugia ha osservato, riguardo alla contestata duplicazione della sanzione, che l’appellante non “aveva spiegato le ragioni di tali violazioni, nè aveva mosso critiche alla c.t.u. espletata in giudizio”, mentre, in merito all’eccepito travisamento dei fatti a causa del mancato accertamento dell’impossibilità di procedere alla ri-ambientazione, ha affermato che la norma regionale sanziona l’escavazione con modalità tali da rendere inattuabile il progetto approvato (che prevedeva la presenza di terreno vergine non escavato o alterato), e che “non è necessario che sussista un’impossibilità assoluta di ri-ambientazione, ma è sufficiente che non è possibile procedere a quella prevista dal progetto”.

Ha infine respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dell’appellante rilevando che questi “rivestiva una posizione di garanzia circa la corretta esecuzione dei lavori. L’aver omesso il necessario controllo sull’attività posta in essere dall’impresa esecutrice degli scavi lo rendeva inevitabilmente responsabile dell’illecito, unitamente e in solido con l’impresa medesima”.

La cassazione della sentenza è chiesta da B.F. con ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.

Il Comune di Nocera Umbra ha proposto controricorso.

Le altre parti non hanno svolto difese.

Su proposta del relatore, secondo cui il ricorso, in quanto manifestamente infondato, poteva esser definito ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, il

Presidente ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 112,132, n. 4, art. 118, disp. att. c.p.c., L. n. 689 del 1981, artt. 6, 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver la sentenza, con motivazione del tutto apparente, respinto l’opposizione senza indicare quali norme consentissero di sanzionare anche il direttore dei lavori, omettendo di valutare le plurime argomentazioni esposte dal ricorrente a sostegno dell’appello.

Il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la sentenza considerato che, con riferimento alle medesime violazioni, il Comune, in successive occasioni, aveva ritenuto di stralciare la posizione del direttore di cava e di escluderne ogni responsabilità per fatti analoghi a quelli contestati al ricorrente, dovendosi quindi annullare l’ordinanza ingiunzione in applicazione del principio del favor rei e in considerazione della natura penale della sanzione; alla luce dei cd. criteri Engels elaborati dalla giurisprudenza comunitaria.

Il terzo motivo denuncia la violazione della L.R. Umbria n. 2 del 2000, art. 11, comma 1, art. 17, lett. a), e della L. n. 689 del 1981, art. 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la normativa regionale non consentiva affatto di configurare una responsabilità solidale del direttore dei lavori per i fatti contestati, potendosi sanzionare la sola condotta del cavatore.

2. Il primo motivo è infondato sotto tutti i profili sollevati.

La sentenza – senza affatto incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c., – ha espressamente respinto l’eccepito difetto di legittimazione passiva del ricorrente, evidenziando che questi era investito di una posizione di garanzia quanto alla corretta esecuzione delle attività estrattive e alla loro conformità al progetto approvato. Tale passaggio argomentativo non sostanzia neppure una motivazione apparente, essendo chiaramente e logicamente enunciate – sia pure in modo sintetico – le ragioni della decisione, che è conforme ad un principio già espresso da questa Corte secondo cui, in materia di sanzioni amministrative, è configurabile un apporto esterno alla consumazione dell’illecito anche mediante azioni od omissioni, che, pur senza integrare la condotta tipica di esso, ne rendano possibile o ne agevolino la consumazione. La condotta omissiva può assumere rilevanza quale elemento concorrente nell’illecito altrui nel caso in cui si ponga in violazione di uno specifico obbligo di garanzia gravante sul soggetto chiamato a rispondere dell’illecito (Cass. 28929/2011; Cass. 11160/2011), obbligo che, nel caso concreto, trova uno specifico referente normativo nella cit. L.R., art. 11, comma 1, nel punto in cui pone a carico del titolare dell’autorizzazione, l’obbligo di nominare, prima dell’inizio dei lavori, il direttore dei lavori di cava (allegando la relativa accettazione), quale “figura responsabile della corretta esecuzione dei lavori di escavazione e ricomposizione ambientale”.

3. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di decisività. Il richiamo al principio della retroattività del trattamento sanzionatorio più favorevole appare inconferente, presupponendo -in primo luogo – non già una diversa (successiva) interpretazione della normativa da parte dell’amministrazione titolare della potestà sanzionatoria (in senso più favorevole all’incolpato), ma una successione di norme tale da introdurre un’attenuazione del trattamento sanzionatorio o un’abolizione dell’illecito.

Non può dunque riconoscersi alla prassi applicativa da parte dell’amministrazione una valenza normativa agli effetti della L. n. 689 del 1981, art. 1, (valenza che, ad es., in materia penale – ove il principio del favor rei ha portata generale – è attribuita ai sensi della CEDU, art. 7, solo all’interpretazione più favorevole espressa dai massimi organi della giurisdizione: Cass. s.u. penali 21 gennaio 2010, n. 18288), fermo, peraltro, che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati parti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative (Corte Cost. 196/2.016).

4. Il terzo motivo è infondato.

Come si è già evidenziato, non è affatto esclusa la responsabilità dei soggetti titolari di una posizione di garanzia, tenuti ad attivarsi per impedire la commissione degli illeciti sanzionati in via amministrativa.

Per altro verso, il ricorrente non ha alcun interesse a contestare che la sanzione gli sia stata addebitata in solido con gli.altri responsabili, poichè, pur a ritenere inapplicabile la L. n. 689 del 1981, art. 6, rimarrebbe ferma la responsabilità a titolo di concorso ai sensi del precedente l’art. 5, senza alcuna esimente o attenuazione del trattamento sanzionatorio (non ammissibile neppure rispetto agli illeciti propri: Cass. 17681/2006; Cass. 20696/2006). Il ricorso è quindi respinto, con spese secondo soccombenza. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Da atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

 

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