Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 160 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 09/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 09/01/2020), n.160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 18227 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

D.M.D. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dall’avvocato Mauro Longo (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

UNICREDIT S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del rappresentante per

procura C.M. rappresentata e difesa dall’avvocato Achille

Buonafede (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 7288/2018,

pubblicata in data 9 aprile 2018 (e notificata in data 13 aprile

2018);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 25 settembre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

RILEVATO

che:

D.M.D. ha agito in giudizio nei confronti di Unicredit S.p.A. per ottenere il pagamento di un importo rimasto insoluto all’esito di una procedura esecutiva promossa nei confronti della stessa.

La domanda è stata accolta dal Giudice di Pace di Roma, con condanna della convenuta al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 100,00 (di cui Euro 43,00 per spese).

Il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello dell’attore vittorioso, che denunciava una erronea liquidazione delle indicate spese di lite.

Ricorre il D.M., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso Unicredit S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Si deve in primo luogo osservare che l’esposizione dei fatti di causa non appare adeguata, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, e non consente quindi di comprendere in pieno il senso delle censure svolte dal ricorrente, in particolare quelle oggetto del motivo di ricorso in esame, che risulta, in ogni caso, oltre che inammissibile, altresì manifestamente infondato. Tale motivo non è articolato in modo chiaramente comprensibile.

Il ricorrente dapprima sostiene che “la sentenza gravata risulta censurabile sotto il riguardo dell’illegittima ed immotivata condanna al pagamento delle spese di lite”; successivamente afferma che detta condanna sarebbe erronea “in quanto non può assolutamente considerarsi nuova, nei termini descritti dal giudice di appello, la vicenda oggetto di causa”; infine, che la decisione sarebbe “censurabile sotto il riguardo dell’illegittima e immotivata compensazione delle spese di lite”.

Per quanto è possibile comprendere, le censure riguardano la regolamentazione delle spese del giudizio operata dal tribunale.

Sotto questo aspetto, peraltro, la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata non sembrerebbe adeguatamente colta: il tribunale ha infatti dichiarato inammissibile l’appello, in quanto la decisione del giudice di pace era stata pronunciata ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2 (equità necessaria) e l’impugnazione non era fondata su uno dei motivi indicati nell’art. 339 c.p.c., comma 3. La condanna di parte appellante al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado costituisce dunque mera (e corretta) applicazione del principio di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

In ogni caso, la decisione impugnata, anche con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità del gravame, risulta conforme all’indirizzo di questa Corte (che il ricorso non contiene motivi idonei a indurre a rimeditare) secondo il quale le norme con le quali sono fissati gli onorari e i diritti di avvocato e di procuratore hanno carattere sostanziale e non sono quindi includibili tra le norme processuali al cui rispetto è tenuto il giudice di pace che giudichi secondo equità, in quanto sarebbe incongruo ritenere che il giudice di pace debba decidere secondo equità la controversia giudiziale e non possa, poi, regolarsi secondo equità anche nella quantificazione delle spese processuali relative allo stesso processo (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13219 del 31/05/2010, Rv. 613023 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10965 del 11/05/2006, Rv. 593726 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1185 del 27/01/2003, Rv. 560450 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8544 del 23/06/2000, Rv. 537945 – 01).

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese del giudizio di secondo grado.

Il tribunale, come già visto, ha peraltro correttamente applicato il disposto dell’art. 91 c.p.c., secondo il quale la parte soccombente va condannata al rimborso delle spese in favore di quella vittoriosa (cd. principio di soccombenza): non vi è dubbio infatti che la soccombenza dell’attore, appellante e ricorrente, sia stata integrale nel giudizio di secondo grado (essendo stato dichiarato inammissibile il suo appello).

Del resto, la facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 01; conf., in precedenza: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 851 del 01/03/1977, Rv. 384463 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1898 del 11/02/2002, Rv. 552178 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10861 del 24/07/2002, Rv. 556171 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 17692 del 28/11/2003, Rv. 572524 – 01; successivamente: Sez. 3, Sentenza n. 22541 del 20/10/2006, Rv. 592581 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 28492 del 22/12/2005, Rv. 585748 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 7607 del 31/03/2006, Rv. 590664 – 01).

3. Il ricorso è dichiarato inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve inoltre farsi luogo alla condanna prevista dalla disposizione di cui all’art. 96 c.p.c., comma 3.

Il ricorso è infatti in parte del tutto inammissibile ed in parte manifestamente infondato; dunque, la proposizione dell’impugnazione costituisce un evidente abuso dello strumento processuale da parte del ricorrente, dovendosi certamente ritenere in una siffatta ipotesi percepibile dal legale abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori (professionista del cui operato la parte risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c.: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv. 642925 – 01), sulla base della diligenza cui è tenuto per la prestazione altamente professionale che fornisce, la circostanza di perorare tesi palesemente e da tempo infondate , e comunque di avanzare una impugnazione di legittimità non suscettibile di accoglimento.

La Corte stima peraltro equo contenere tale condanna nella misura di Euro 900,00 (importo pari a quello liquidato per le spese del giudizio di legittimità), in favore della parte controricorrente.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della banca controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 900,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge;

– condanna altresì il ricorrente a pagare in favore della banca controricorrente, l’ulteriore importo di Euro 900,00, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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