Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15995 del 21/07/2011

Cassazione civile sez. III, 21/07/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 21/07/2011), n.15995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G., C.N. (OMISSIS), S.

G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VODICE 7, presso lo

studio dell’avvocato MALTESE MAURO, rappresentati e difesi dagli

avvocati UNGARO DANIELA, FILIGHEDDU NICCO GIOVANNI giusta delega in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA CESSATA U.S.L. N. (OMISSIS)

(OMISSIS) in persona del Commissario Liquidatore e legale

rappresentante p.t. Dott. L.G., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI 3, presso lo studio

dell’avvocato ACCARDO PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALBERTO AZZENA giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 531/2008 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

SEDE DISTACCATA DI SASSARI, emessa il 12/8/2008, depositata il

24/09/2008, R.G.N. 99/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato GIOVANNI NICCO FILIGHEDDU;

udito l’Avvocato ALBERTO AZZENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

Con citazione notificata il 19 dicembre 2000, S.G. e C.N., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale su S.G., convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, sez. dist. di Olbia, la Gestione Liquidatoria della cessata USL n. (OMISSIS), chiedendo di essere risarciti del danno neurologico a carattere permanente e totalmente invalidante subito dalla figlia G., a causa delle modalità con le quali i sanitari del reparto di ostetricia dell’Ospedale di (OMISSIS) l’avevano fatta nascere il 29 maggio 1990.

Costituitasi in giudizio, la Gestione eccepì la prescrizione dei diritti azionati nonchè, in ogni caso, la loro infondatezza nel merito.

Con sentenza n. 168 del 2004 il giudice adito condannò la convenuta al pagamento, in favore degli attori, della complessiva somma di Euro 2.070.764,86, oltre accessori e spese.

Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’appello, in data 24 settembre 2008, ha dichiarato inammissibile l’azione proposta da S.G. e da C.N. in proprio, per intervenuta rinuncia agli atti del giudizio ex art. 75 cod. proc. pen.; ha poi rigettato, perchè prescritta, la domanda risarcitoria da essi fatta valere in nome e per conto di S.G..

Così ha motivato il giudicante il suo convincimento.

L’atto introduttivo del giudizio civile era stato notificato alla Gestione Liquidatoria il 19 dicembre 2000. La medesima Gestione era peraltro stata citata quale responsabile civile nel processo penale intentato nei confronti del dott. T., con atto notificato l’il gennaio 2001, a seguito di autorizzazione del GIP intervenuta in data 20 dicembre 2000. Pertanto, ai sensi dell’art. 75 cod. proc. pen. l’azione civile, trasferita, dopo la sua proposizione, in sede penale, doveva intendersi rinunciata.

L’estinzione operava tuttavia relativamente alla sola azione proposta dai genitori della bambina in nome proprio, essendosi essi costituiti parte civile nel procedimento penale in tale veste, e non già anche in nome e per conto della minore.

Era invece prescritto il credito risarcitorio da essi azionato nella qualità di legali rappresentanti della figlia. E invero, nella richiesta di rinvio a giudizio, il P.M. aveva formulato nei confronti del dott. T. l’imputazione di lesioni colpose, ex art. 590 cod. pen., imputazione richiamata altresì dalle parti nella citazione del responsabile civile.

Ora, ancorchè nel corso dell’udienza preliminare il P.M. avesse modificato il capo di imputazione, contestando alternativamente anche il reato di cui agli artt. 582 e 583 cod. pen., tale ulteriore contestazione doveva ritenersi irrilevante ai fini del computo del termine di prescrizione, avendo la giurisprudenza di legittimità a più riprese ribadito che il relativo calcolo va effettuato avendo riguardo al reato contestato nel capo d’imputazione, dacchè qualunque diminuzione della pena per effetto di determinazioni operate dal giudice nel corso del procedimento – come l’applicazione di circostanze attenuanti ovvero il mutamento del titolo del reato – non importava, trattandosi di situazione non prevedibile dal danneggiato, l’estensione della più breve prescrizione del reato, come definitivamente ritenuto nella sentenza, ai diritti risarcitori (confr. Cass. civ. 7 giugno 2006, n. 13272).

Era dunque errato l’assunto del Tribunale, che aveva preso a base della propria decisione il più lungo termine previsto dagli artt. 582 e 583 cod. pen., senza considerare il reato inizialmente contestato nel capo di imputazione e l’irrilevanza della modifica della contestazione intervenuta dopo l’esercizio dell’azione civile nel processo penale. Di talchè, non potendo applicarsi le condizioni previste dall’art. 2947 cod. civ., comma 3, in ragione della natura contrattuale della responsabilità fatta valere dagli appellati, il diritto al risarcimento del danno doveva ritenersi maturato al compimento del 10 anno di vita di S.G., e cioè il 29 maggio 2000.

Infine non era condivisibile l’assunto secondo cui il termine di prescrizione dovesse farsi decorrere dal 1994, anno nel quale i genitori della bambina si sarebbero realmente resi conto delle condizioni della stessa. E invero dalla lettura della denuncia penale e dalle iniziative intraprese subito dopo la nascita della piccola G., puntualmente riportate in citazione, si evinceva che essi avevano immediatamente avuto piena cognizione dei danni patiti dalla figlia.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione S. G., C.N. e S.G., formulando quattro motivi.

Resiste con controricorso la Gestione Liquidatoria della cessata U.S.L. n. (OMISSIS).

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 Col primo motivo gli impugnanti denunciano violazione dell’art. 75 cod. proc. pen., sotto due profili, correttamente evidenziati nei relativi quesiti di diritto.

Assumono, da un lato, che, ai fini dell’operatività della norma processuale testè richiamata, è essenziale la contestuale pendenza di due giudizi, uno penale e l’altro civile, di talchè, in conformità a quanto a più riprese ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (confr. Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18193), la preclusione allo svolgimento dell’azione civile non sussisterebbe più quando il danneggiato abbia ormai perduto ogni possibilità di soddisfazione in sede penale, essendo stato l’imputato assolto per non aver commesso il fatto, come accaduto nel caso de quo.

Sotto altro, concorrente aspetto, rilevano invece che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente assunto, come termine di riferimento per la verifica dell’intervenuto trasferimento dell’azione civile in sede penale, non già la data di costituzione di parte civile, o di notifica della stessa all’imputato, ma quella di notifica al responsabile civile, laddove alla fattispecie, proprio in virtù dei principi enunciati dalla Suprema Corte, non sarebbe applicabile il disposto del secondo comma dell’art. 78 cod. proc. pen., a tenor del quale, se è presentata fuori udienza, la dichiarazione deve essere notificata, a cura della parte civile, alle altre parti e produce effetto per ciascuna di esse dal giorno nel quale è eseguita la notificazione. Secondo gli esponenti, in sostanza, l’art. 75 cod. proc. pen., ignorerebbe tout court il caso del danneggiato che, già costituito parte civile, prima della notifica della citazione, ritenga di estendere il contraddittorio nel giudizio penale al responsabile civile, notificandogli la costituzione di parte civile.

2.1 Ritiene il collegio che dei due profili in cui si articola la questione prospettata dagli impugnanti, il secondo abbia carattere logicamente preliminare, in quanto relativo al momento in cui il trasferimento dell’azione civile in sede penale può considerarsi compiuto, con quel che ne consegue in punto di priorità dell’una o dell’altra iniziativa processuale, agli effetti di cui al primo, ovvero al terzo comma dell’art. 75 cod. proc. pen..

Valga al riguardo ribadire che tale norma prevede che, l’azione civile, proposta davanti al giudice civile, può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato, e che l’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio (comma 1); che, tuttavia, se l’azione viene proposta in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge (comma 3).

Tanto premesso e precisato, le critiche svolte in parte qua dai ricorrenti non sono fondate. E invero, l’assunto che lo spostamento si verifichi sempre e in ogni caso al momento della costituzione di parte civile non ha alcuna base normativa, ed è anzi contraddetto dal disposto dell’art. 78 cod. proc. pen., comma 2, innanzi riportato. Nè si comprende per quale ragione siffatta disposizione, come sostengono gli impugnati, non dovrebbe entrare nel sistema di regolazione dei rapporti tra azione civile davanti al giudice civile e azione civile spiegata nel processo penale. Non può del resto sfuggire che, se certamente è l’atto di costituzione quello che introduce la lite civile nel processo penale, secondo il chiaro dettato del primo comma dell’art. 76 cod. proc. pen., la disposizione di cui all’art. 78 cod. proc. pen., comma 2, segna il momento della costituzione del rapporto processuale con ciascuna delle parti coinvolte nelle pretese restitutorie e risarcitorie della parte civile, ponendole in grado di richiedere l’esclusione della stessa, ex artt. 80 e 81 cod. proc. pen., e di predisporre ogni altra eccezione, in piena coerenza con la natura essenzialmente privatistica del rapporto (confr. Cass. civ., 31 ottobre 1997, n. 10730).

2.2 Se dunque non vi è alcun motivo per ritenere incardinata l’azione nei confronti del responsabile civile prima che la vocatio in ius dello stesso abbia avuto luogo, deve convenirsi che la decisione della Corte d’appello di Cagliari – basata sul dato di fatto inoppugnabile che il libello introduttivo del giudizio civile fu notificato il 19 dicembre 2000, mentre la citazione del responsabile civile intervenne l’il gennaio 2001 – è, sul punto, giuridicamente inoppugnabile.

2.3 Sono invece fondate le censure relative alla declaratoria di inammissibilità dell’azione proposta da S. e C. in proprio, in ragione del contesto processuale esistente nel momento in cui la declaratoria stessa è intervenuta.

Come innanzi evidenziato a norma dell’art. 75 cod. proc. pen., comma 1, l’azione pendente davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato, con la precisazione che l’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio.

Peraltro questa Corte, riportato il deplacement processuale di cui si discorre nell’ambito della litispendenza, si è pronunciata nel senso che il trasferimento dell’azione civile in sede penale non è un vero e proprio fatto estintivo, ma piuttosto un fatto ostativo alla sua prosecuzione, di talchè la conseguente preclusione non può essere dichiarata ove, al momento della declaratoria, essa abbia già esaurito i suoi effetti, essendosi nel frattempo, il processo penale concluso senza una pronuncia sull’azione civile (confr. Cass. civ. 8 settembre 1997, n. 8737; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18193; Cass. civ. 8 gennaio 2001, n. 189.).

Ora, proprio questa era la situazione processuale esistente nel momento in cui il processo civile è stato riattivato e si è quindi posto il problema dell’operatività o meno della rinuncia agli atti del giudizio di cui alla menzionata norma codicistica, posto che all’epoca il processo penale nei confronti del dott. T. si era già chiuso con sentenza di non luogo a procedere, ex art. 425 cod. proc. pen. per non aver commesso il fatto, sentenza confermata dalla Corte d’appello di Cagliari e divenuta irrevocabile il 27 aprile 2002.

Ne deriva che, entro gli esposti limiti – e in adesione a una soluzione giurisprudenziale ispirata a comprensibili esigenze di economia processuale (art. 111 Cost.) e di valutazione secondo buona fede del comportamento delle parti nel processo – il primo motivo di ricorso deve essere accolto.

3 Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2947 cod. civ., comma 1. Sostengono che erroneamente il giudice di merito avrebbe fatto decorrere il termine di prescrizione dalla data della nascita della piccola S.G., laddove, per consolidata giurisprudenza del Supremo Collegio, tanto con riferimento alla responsabilità contrattuale, che a quella extracontrattuale, il termine comincia a decorrere dal momento in cui il danneggiato entra in possesso di tutti gli elementi che gli consentono di percepire quale danno ha subito e da parte di chi. In realtà nella fattispecie il termine doveva decorrere dal mese di dicembre del 1999 -data del deposito, da parte del professore A., della relazione tecnica nella quale veniva definitivamente accertata l’entità delle lesioni subite dalla bambina e il loro rapporto eziologico con la condotta dei sanitari -ovvero dall’anno 1994, nel corso del quale i coniugi S. ne avevano definitivamente compreso l’irreversibilità.

4 Le critiche non hanno pregio.

Il giudice di merito non ha affatto disatteso il principio per cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto delle patologie per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’art. 2935 e art. 2947 cod. civ.,, comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, usando l’ordinaria diligenza, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo (Cass. civ., Sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576): piuttosto, proprio in applicazione di tale criterio, ha affermato che la prescrizione non poteva, nella fattispecie, che decorrere dalla nascita della bambina, individuandone le ragioni nella gravità delle lesioni dalla stessa subite e nelle iniziative intraprese dai genitori vuoi per curarla vuoi per ottenere giustizia.

Tale apparato motivazionale, corretto sul piano logico e giuridico, esente da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, resiste alle critiche formulate in ricorso le quali, deducendo in termini puramente assertivi violazioni di norme e vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove, preclusa in sede di legittimità.

5 Si prestano a essere esaminati congiuntamente, in quanto intrinsecamente connessi, i successivi due motivi di ricorso.

5.1 Con il terzo si deduce violazione dell’art. 2947, comma 3, art. 1310, comma 1, e art. 2943 cod. civ., comma 1.

Oggetto delle critiche è la ritenuta insussistenza dei presupposti per l’operatività del termine quindicinale di prescrizione, ritenuto dal giudice di prime cure applicabile in ragione della natura dolosa del reato di lesioni gravissime contestato al dott. T. e, per i profili civili, alla Gestione Liquidatoria.

La tesi della Corte d’appello, secondo cui dovrebbe invece aversi riguardo esclusivamente al termine previsto per il reato contestato nel capo di imputazione, non terrebbe conto del fatto che il termine rilevante è quello del reato commesso, non già del reato contestato per primo, reato la cui sussistenza il giudice di prime cure aveva accertato incidenter tantum. Del resto la pronuncia del Supremo Collegio n. 13272 del 2006, richiamata dalla Corte d’appello, aveva stabilito l’irrilevanza delle diminuzioni di pena conseguenti a determinazioni operate dal giudice nel corso del procedimento, così interpretando in senso ampliativo il disposto dell’art. 2947 cod. civ., comma 3. Aggiungono che, anche a volere ritenere decennale il termine di prescrizione, esso non era ancora decorso al momento della notifica della citazione, essendo stato interrotto sia con lettera del 14 febbraio 2000 indirizzata al Direttore Generale della ASL 2 di Olbia, sia con la lettera di messa in mora da questi inviata alla società assicuratrice e, per conoscenza, alla Regione Sardegna.

5.2 Con il quarto mezzo i ricorrenti denunciano mancanza, insufficienza e contraddittorieta della motivazione, con riferimento all’affermata operatività del termine di prescrizione decennale, in relazione alla ritenuta irrilevanza dell’affidamento del danneggiato.

6 Va subito detto che quest’ultimo motivo è inammissibile per mancata enucleazione del momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), richiesto dal comb. disp. degli artt. 360 e 366 bis cod. proc. civ., nel testo risultante dal D.Lgs. n. 40 del 2006, qui applicabile, in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009). In base a tali norme, invero, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione della censura va completata con la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652).

7 Nella fattispecie il quarto motivo, con il quale si denunciano vizi motivazionali manca totalmente di siffatto momento di sintesi, volto a circoscrivere puntualmente i limiti delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla valutazione demandata alla Corte (confr.

Cass. civ. 1 ottobre 2007, n. 20603).

8 Inammissibili sono altresì le deduzioni volte a prospettare l’intervenuta interruzione del termine di prescrizione. Esse introducono invero questioni non trattate nella sentenza impugnate e quindi nuove, di talchè i ricorrenti avevano l’onere, rimasto affatto inadempiuto, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avevano fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr, Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

9 Per il resto le censure sono invece fondate nei sensi che qui di seguito si vanno ad esplicitare.

Occorre muovere dalla considerazione che l’art. 2947 cod. civ. – a tenor del quale se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile – detta un criterio pacificamente applicabile non solo nell’ipotesi in cui l’azione penale sia stata promossa, ma anche, per consolidato diritto vivente, allorchè il giudizio penale non sia affatto iniziato. Peraltro, mentre condizione ineludibile per poter fruire, in quest’ultima ipotesi, della più lunga prescrizione prevista per il reato, è che il giudice civile accerti incidenter tantum e con gli strumenti probatori e i criteri propri del procedimento civile, la ricorrenza di un’ipotesi criminosa, in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi (confr. Cass. civ. , 20 marzo 2009, n. 6891; Cass. civ. sez. un. 18 novembre 2008, n. 27337), di tale verifica può evidentemente farsi a meno allorchè il giudizio penale abbia invece preso l’avvio.

In casi siffatti l’indagine dell’operatore deve invece appuntarsi: a) sul reato al quale occorre avere riguardo, al fine di individuare il termine di prescrizione applicabile; b) ove il reato si sia estinto per causa diversa dalla prescrizione o sia intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, sul comportamento tenuto dalla parte successivamente a tali eventi, considerato che, in casi siffatti, a norma dell’art. 2947 cod. civ., comma 3, il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni – ovvero in. due anni per quello prodotto dalla circolazione di veicoli -decorrenti tuttavia non già dalla data del fatto, ma da quella di estinzione del reato, ovvero dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.

E’ poi a dir poco ovvio che l’articolata disciplina codicistica testè riportata presuppone la natura extracontrattuale della tutela invocata, di talchè alquanto criptico è il rilievo della Corte d’appello che, dopo avere ampiamente discettato sulla necessità di applicare alla fattispecie il termine di prescrizione decennale previsto per il reato di lesioni colpose (art. 590 cod. pen.), di cui al capo di imputazione formulato nella richiesta di rinvio a giudizio, in luogo del termine quindicinale previsto per il reato di cui agli artt. 582 e 583 cod. pen. alternativamente contestato insieme al primo nel corso dell’udienza preliminare, ha incongruamente negato la ricorrenza delle condizioni per potere applicare l’art. 2947 cod. civ.,, comma 3, stante la natura contrattuale della responsabilità fatta valere dagli appellati.

Quelle argomentazioni presupponevano infatti il carattere aquiliano della tutela azionata, peraltro pacificamente cumulabile con quella contrattuale, di talchè la notazione di chiusura, completamente decontestualizzata, è al postutto priva di rilievo decisorio.

E’ infine appena il caso di aggiungere, pur in difetto di specifiche deduzioni in senso contrario, che va qui ribadito il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui ai sensi dell’art. 2947 cod. civ., l’azione civile risarcitoria, se vi è stata sentenza penale, si prescrive nei termini indicati dai primi due commi dello stesso articolo, a prescindere dalla costituzione di parte civile del danneggiato (Cass. civ. 14 luglio 2009, n. 16391;

Cass. civ. 14 maggio 1998, n. 4867).

7 Venendo al caso di specie, ritiene il collegio che siano fondati i rilievi critici formulati dai ricorrenti in ordine alla applicabilità al diritto risarcitorio azionato del termine di prescrizione decennale, previsto per il reato di lesioni colpose, in luogo di quello quindicinale, previsto per il reato di lesioni dolose, alternativamente e cumulativamente contestato, come testè ricordato, nel corso dell’udienza preliminare.

Riesce invero difficile negare l’assoluta irragionevolezza del richiamo, in parte qua, al principio per cui, nell’ambito della previsione normativa di cui all’art. 2947 cod. civ., ai fini del computo della prescrizione applicabile al credito del danneggiato, del tutto irrilevanti sono le diminuzioni di pena conseguenti all’applicazione di circostanze attenuanti ovvero a eventuali mutamenti del titolo del reato contestato, trattandosi di situazioni non prevedibili del danneggiato (Cass. civ., 7 giugno 2006, n. 13272). Qui non si tratta, invero, di proteggere il danneggiato dall’imprevedibile contrazione dei termini di prescrizione conseguenti alle sorti del processo penale, ma di stabilire se il termine vada calcolato sulla base della pena applicabile in relazione alla imputazione contestata con la richiesta di rinvio a giudizio, o piuttosto a quella contestata con la sua consentita modificazione (confr. Cass. civ. 4 dicembre 1992, n. 12919). E allora non si vede perchè, entrata nel processo una figura criminosa più grave, il termine di prescrizione civile non debba a questa paramentrarsi.

Del resto se la funzione dell’art. 2947 cod. civ., comma 3, prima parte, è quella di consentire, a chi ha diritto al risarcimento dei danni, di attendere, per farlo valere, la definizione del giudizio penale, l’assunto secondo cui dovrebbe aversi riguardo esclusivamente all’imputazione formulata nella richiesta di rinvio a giudizio – e non ad altra, più grave, successivamente contestata, con la quale coincida in fatto l’illecito civile – ben potrebbe determinare per l’avente diritto la necessità di dispiegare (quantomeno) un’attività giuridica di conservazione delle proprie ragioni, al pari della soluzione che imponesse di tener conto di diminuzioni di pena derivanti dalla eventuale applicazione di circostanze attenuanti o dalla modifica in melius del titolo del reato, che è invece esattamente l’eventualità che il legislatore ha inteso scongiurare.

8 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che, anche a volere aderire alla tesi dell’applicabilità del termine decennale di prescrizione previsto per il reato di lesioni colpose, il credito fatto valere dalla danneggiata non sarebbe, in alcun caso, prescritto posto che la sentenza di non doversi procedere ex art. 425 cod. proc. pen. a carico del T., emessa dal GUP in data 11 marzo 2001, è stata confermata dalla Corte d’appello con decisione passata in giudicato il 27 aprile 2002, di talchè da quel momento, e solo da quel momento, in base alla previsione racchiusa nell’ultima parte dell’art. 2947 cod. civ., comma 3, ha preso a decorrere il termine di cinque anni previsto nel primo comma della medesima disposizione.

Da tutto quanto sin qui detto deriva che, accolto, per quanto di ragione, il primo e il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, che, nel decidere, si atterrà ai seguenti principi di diritto:

1) il trasferimento dell’azione civile in sede penale non è un vero e proprio fatto estintivo, ma piuttosto un fatto ostativo alla sua prosecuzione, di talchè la conseguente preclusione non può essere dichiarata ove, al momento della declaratoria essa abbia già esaurito i suoi effetti, essendosi nel frattempo, il processo penale concluso senza una pronuncia sull’azione civile;

2) ai fini del calcolo del più lungo termine di prescrizione di cui all’art. 2947 cod. civ., comma 3, va fatto riferimento non alla pena applicabile al reato contestato con la richiesta di rinvio a giudizio, ma a quella applicabile al più grave reato contestato a seguito di successiva modificazione dell’imputazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il primo e il terzo motivo di ricorso; rigetta il secondo; dichiara inammissibile il quarto;

cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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