Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15994 del 01/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/08/2016, (ud. 11/05/2016, dep. 01/08/2016), n.15994

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19865-2012 proposto da:

NEW HOLLAND KOBEECO CONSTRUCTION MACHINERY S.P.A., C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio

dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GERMANO DONDI, DIEGO DIRUTIGLIANO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

E.E., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

V.B. RICASOLI 7, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MUGGIA, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati SIMONE BISACCA,

STEFANO MUGGIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 578/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/06/2012 r.g.n. 1279/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

La Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che aveva respinto la domanda di E.E., lavoratore alle dipendenze di New Holland Kobelco Construction Machinery s.p.a. come operaio di 3 livello Industrie Metalmeccaniche presso lo stabilimento di (OMISSIS), di condanna della società datrice al pagamento delle differenze tra normale retribuzione di fatto e quanto percepito a titolo di CIGO e di CIGS per i rispettivi periodi 1 ottobre 2008 – 10 ottobre 2009 e 12 ottobre, 2009 – 11 ottobre 2010), con sentenza 5 giugno 2012, condannava la società al pagamento, in favore del proprio dipendente, della somma di Euro 10.922,00 oltre interessi e rivalutazione dalle singole scadenze, a titolo risarcitorio da illegittima collocazione in CIGS dal 12 ottobre 2009 all’11 ottobre 2010, rigettando nel resto l’appello del lavoratore.

A motivo della decisione, la Corte territoriale ravvisava la violazione nella comunicazione datoriale di collocazione in CIGS del 17 settembre 2009, in riferimento agli obblighi prescritti dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 non abrogati dal D.P.R. n. 288 del 2000, di quello di specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, non assolto dalla menzione generica di “esigenze tecniche, organizzative e produttive, tenendo conto delle esigenze professionali e funzionali che si manifesteranno nel periodo”, siccome inidonea ad operare la selezione e a consentirne la verifica di corrispondenza ai criteri: carenza non sanata nè dal verbale di esame congiunto con le rappresentanze sindacali del 7 ottobre 2009, nè dagli accordi sui distacchi temporanei dei lavoratori del 26 giugno 2009, del 6 ottobre 2009, del 16 settembre 2010, in quanto successivi alla sospensione dei lavoratori interessati in cassa integrazione. Per tali assorbenti ragioni non approfondito il profilo, pure censurato, di inesistenza di ragioni impreviste nè imprevedibili nel passaggio da CIGO a CIGS (peraltro rilevato come la situazione di peggioramento economico fosse in verità già nota all’impresa), la Corte territoriale liquidava al lavoratore il risarcimento del danno, per illegittima collocazione in CIGS, in misura pari ai conteggi prodotti dal medesimo e non contestati.

Essa escludeva invece la risarcibilità di alcun danno (peraltro neppure in concreto risultante) in riferimento al periodo di CIGO, non oggetto di alcuna specifica censura dal lavoratore appellante.

Con atto notificato il 31 agosto 2012, New Holland Kobelco Construction Machinery s.p.a. ricorre per cassazione con sei motivi, cui resiste E.E. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, in parte omessa ed in parte contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto controverso e decisivo per il giudizio, quale la preesistenza alla collocazione in CIGS dei lavoratori del contratto collettivo aziendale stipulato il 7 ottobre 2009 con le RSU (di cui E. faceva parte) per il ricorso consensuale alla CIGS (con volontà confermata dalle stesse RSU con la sottoscrizione dell’accordo 118 ottobre 2009 presso la Regione Piemonte), obbligante il lavoratore (in difetto di prova di un esplicito dissenso mai manifestato), quanto meno sotto il profilo della responsabilità nelle trattative per violazione degli obblighi prescritti dagli artt. 1337 e 1338 c.c..

Con il secondo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 12 preleggi, comma 1, art. 1399 c.c., art. 100 c.p.c., artt. 1337, 1138 e 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa pronuncia sull’eccezione di sottoscrizione dal lavoratore, quale membro delle RSU stipulanti, del contratto collettivo aziendale 7 ottobre 2009 (contenente, oltre alla consensualità della sospensione in CIGS, quei criteri di scelta poi contestati nella comunicazione), integrante quanto meno comportamento concludente di accettazione o ratifica dei provvedimenti oggetto di successiva impugnazione, con essa incompatibile e pertanto ostativa alla deduzione di inopponibilità nei suoi confronti degli accordi sindacali (cui anzi partecipato).

Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il proprio manifestato intento, con la comunicazione aziendale 17 settembre 2009 di avvio della procedura di CIGS, di sospensione a zero ore in via continuativa di tutti i dipendenti (atteso all’epoca l’azzeramento della domanda e della produzione, passata dagli oltre 3.000 pezzi dell’anno 2007 ai 227 dell’anno 2009) e pertanto senza alcuna selezione da operare, salva la disponibilità di verifica con le oo.ss. di una rotazione del personale in considerazione della fungibilità professionale dei lavoratori (criterio assolutamente specifico), in un’ottica di cogestione, valutata piena e soddisfacente da RSU e sindacati (come si legge nell’accordo 30 aprile 2010).

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’interpretazione formalistica della norma denunciata, obliterante la concretezza di una situazione di estrema gravità degli effetti della crisi mondiale sulla produzione italiana, a tutti i lavoratori nota, con la conseguente salvaguardia dell’obiettivo di garanzia di trasparenza (di ragioni del ricorso alla CIGS e di selezione dei lavoratori da sospendere) della comunicazione.

Con il quinto, la ricorrente deduce vizio di motivazione, in parte insufficiente ed in parte contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto controverso e decisivo dell’insussistenza del carattere improvviso ed imprevedibile della crisi, in realtà tale per la sua drastica, inimmaginabile progressione: da un calo del 16% della produzione nel 2008 rispetto al 2007 ad uno del 91% del 2009 rispetto al 2008.

Con il sesto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., L. n. 164 del 1975, art. 5 L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 5 e D.M. 18 febbraio 2002, n. 31826, art. 1, lett. e) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per legittimo ricorso a CIGS a causa di un evento improvviso ed imprevedibile esterno all’impresa, quale il crollo della domanda di mercato: pure avendo la Corte territoriale ritenuto (nel senso della conoscenza aziendale della situazione di peggioramento) diversamente da quanto opposto dal lavoratore (invece del crollo di mercato un anno prima della richiesta di CIGS).

Nel rispetto dell’ordine logico – giuridico delle questioni poste, occorre avviare l’esame dal terzo (violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, artt. 1362 e 1363 c.c., per il manifestato intento della società datrice, con la comunicazione aziendale 17 settembre 2009 di avvio della procedura di CIGS, di sospensione a zero ore in via continuativa di tutti i dipendenti, senza alcuna selezione da operare, salva la disponibilità di verifica con le oo ss di una rotazione del personale in considerazione dello specifico criterio di fungibilità professionale dei lavoratori) e dal quarto motivo (violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 per sua interpretazione formalistica, obliterante la concretezza di una situazione di estrema gravità degli effetti della crisi mondiale sulla produzione italiana, nota a tutti i lavoratori).

Essi congiuntamente esaminabili, per ragioni di stretta connessione sono infondati.

Premesso che la valutazione della rispondenza in concreto della comunicazione di avvio della procedura di cassa integrazione oggetto dell’esame giudiziale ai requisiti suindicati investe il merito in ordine al contenuto dell’atto negoziale, sicchè è nella competenza esclusiva del giudice di merito e come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando esso abbia motivato la sua decisione in modo sufficiente e privo di contraddizioni (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705; Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540), nel caso di specie la Corte territoriale ha esaurientemente e coerentemente argomentato il proprio convincimento, in esatta applicazione delle norme di diritto denunciate, senza alcuna interpretazione formalistica, ma anzi aderente alla concreta evoluzione della vicenda economica dell’impresa datrice (per le ragioni esposte a pgg. da 8 a 11).

E da tali norme sono stati enucleati i principi secondo cui: a) la specificità dei criteri di scelta consiste nell’idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale, la cui genericità renda impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7; c) la mancata specificazione dei criteri di scelta (o la mancata indicazione delle ragioni che impediscono il ricorso alla rotazione) determina l’inefficacia dei provvedimenti aziendali che può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori (Cass. 11 marzo 2015, n. 4886; Cass. 8 settembre 2014, n. 18895; Cass. 14 maggio 2012, n. 7459). E con particolare riferimento al requisito di specificità, si è precisato (Cass. 2 ottobre 2013, n. 22540; Cass. 7 novembre 2013, n. 25100) che l’aggettivazione “non individua una specie nell’ambito del genere criterio di scelta ma esprime la necessità che esso sia effettivamente tale, e cioè in grado di operare da solo la selezione dei soggetti da porre in cassa integrazione”, atteso che “un criterio di scelta generico non è effettivamente tale, ma esprime soltanto, non un criterio, ma un generico indirizzo nella scelta” (Cass. 1 luglio 2009 n. 15393, richiamante Cass. 23 aprile 2004 n. 7720 e in chiaro riferimento a Cass. s.u. 11 maggio 2000, n. 302).

Tali principi sono stati ancora recentemente confermati dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dalla società ricorrente nella memoria comunicata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. (a pg. 16), secondo cui: “a) per l’attuazione della finalità perseguita dal legislatore, la specificità dei criteri, che si possono definire generali in quanto rivolti ad una collettività di lavoratori, consiste nella idoneità dei medesimi ad operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della corrispondenza della scelta ai criteri; b) il provvedimento di sospensione dell’attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro (sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario) ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell’esame congiunto, ovvero di concordare con le stesse, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che devono essere sospesi ed ai quali criteri la scelta dei lavoratori deve poi effettivamente corrispondere; c) ai fini della legittimità della sospensione della retribuzione per i lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni straordinaria, l’azienda è tenuta a comunicare la individuazione dei lavoratori da sospendere e i motivi per i quali non vengano adottati i meccanismi di rotazione; la sussistenza di vizi procedimentali e la conseguente inefficacia dei provvedimenti aziendali può essere fatta valere giudizialmente dai lavoratori, in quanto la regolamentazione della materia è finalizzata alla tutela,, oltre che degli interessi pubblici e collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori in tema di procedimento per la concessione della c.i.g.s., la comunicazione di apertura della procedura di trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in ordine ai criteri in base ai quali pervenire all’individuazione dei dipendenti interessati alla sospensione, tale da rendere impossibile qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e la selezione dei lavoratori da sospendere, viola l’obbligo di comunicazione previsto dalla L. 3 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7; e) tale ultima violazione non può ritenersi sanata dall’effettività del confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto specifico dei dati da trattare” (Cass. 25 marzo 2016, n. 6066 e altre citate).

A quest’ultimo proposito, deve essere verificata l’eventuale efficacia sanante degli accordi sindacali (e specificamente: dell’accordo 7 ottobre 2009, del verbale di esame congiunto 8 ottobre 2009 e di quelli di distacco temporaneo) scrutinati dalla Corte territoriale, cui spetta, come noto, la valutazione di adeguatezza della specificazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da porre in cassa integrazione e delle modalità di rotazione, posto che essa si risolve nella formulazione di un giudizio di merito, al pari di quello concernente la comunicazione di avvio della procedura, pertinente in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in cassazione solo negli stretti limiti del giudizio di legittimità: Cass. 18 novembre 2015, n. 23622; Cass. 29 maggio 2014, n. 12096; Cass. 6 maggio 2014, n. 9705).

Essa ne ha escluso l’efficacia sanante (per le ragioni illustrate a pgg. 12 e 13 della sentenza), in riferimento anche alla conclusione successiva alla sospensione dei lavoratori interessati: in realtà, decorrente dal 12 ottobre 2009 e quindi posteriore in particolare all’accordo 7 ottobre 2009. Tuttavia, l’esclusione dell’effetto retroattivo rispetto a scelte in concreto già operate, con l’avvio della sospensione, è soltanto una delle ragioni di negazione dell’efficacia sanante dell’accordo sindacale (Cass. 30 gennaio 2011, n. 2155): la principale dovendo piuttosto essere ricercata nella sua non esaustività in ordine alle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8. Perchè solo nel caso della sua piena esaustività sarebbe inutile formalismo imporre al datore di comunicare alle OO.SS. quei criteri di selezione che proprio con esse ha elaborato (Cass. 12 dicembre 2011, n. 26587; Cass. 3 maggio 2004 n. 8353). Ed occorre pure tenere conto che la possibilità di efficacia sanante di un accordo sindacale sui criteri di scelta è stata ammessa solo in casi particolari e circoscritti, ma non nell’ipotesi in cui la comunicazione sia strettamente funzionale a mettere in grado le organizzazioni sindacali di partecipare al confronto con la controparte adeguatamente informate e ai lavoratori di avere contezza delle prospettazioni aziendali (Cass. 18 novembre 2015, n. 23622; Cass. 11 marzo 2015, n. 4886).

Nel caso di specie, l’accordo 7 ottobre 2009 non assolve ad un tale onere di specificità, per il suo riferimento alla “collocazione in Cigs a zero ore dei lavoratori… in relazione all’andamento degli ordini di mercato (con fermate produttive settimanali/ plurisettimanali), nonchè in base alle esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali”, con previsione di incontri delle parti “a livello di stabilimento, con cadenza mensile, per monitorare l’andamento dei volumi e verificare la sussistenza delle condizioni per la rotazione del personale interessato, in accordo con i principi di legge al riguardo” (doc. 4 del fascicolo di tribunale della società ricorrente, nella trascrizione della parte d’interesse sub nota 1 a pg. 10 del ricorso).

Ma ad esso neppure assolvono il verbale di esame congiunto 8 ottobre 2009, di conferma del predetto accordo e di concordia “sul ricorso alla CIGS per crisi aziendale per evento improvviso e imprevisto per mesi 12 a decorrere dal 12.10.2009 per un numero massimo di 727 dipendenti”, con “collocazione in Cigs a zero ore dei lavoratori da parte dell’Azienda… in relazione all’andamento degli ordini di mercato (con fermate produttive settimanali/plurisettimanali), nonchè in base alle esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali” (doc. 4bis del fascicolo citato, nella trascrizione della parte d’interesse sub nota 2 a pg. 11 del ricorso), nè gli accordi di distacco temporaneo, recanti la sola indicazione numerica dei lavoratori e la sede di distacco, senza alcun ulteriore requisito selettivo.

Appare assolutamente evidente come in presenza nei suddetti accordi, tanto anteriori quanto posteriori all’avvio della CIGS, di ragioni ancora più generiche di quelle contenute nella comunicazione di avvio (ed apprezzate come tali dalla Corte territoriale), ogni censura di interpretazione formalistica delle esigenze di specificità dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in CIGS, per l’adozione di una procedura di cogestione con le organizzazioni sindacali, sia palesemente infondata.

E gli affermati principi valgono chiaramente anche per E.E.: sicchè è pure infondata la supposta efficacia vincolante dei suddetti accordi nei suoi confronti, in quanto componente di RSU sottoscrittrice, da cui la ricorrente pretenderebbe di far discendere la violazione degli obblighi di osservanza e la responsabilità precontrattuale, ostativi alla sua possibilità di impugnazione della comunicazione (con verosimile analoga valutazione della Corte, sulla cui base da intendere implicitamente respinta la relativa eccezione posta dalla datrice, piuttosto che omessa una pronuncia su di essa), oggetto dei primi due motivi di ricorso sopra illustrati.

Dalle superiori argomentazioni, assorbenti l’esame del quinto (vizio di motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’insussistenza del carattere improvviso ed imprevedibile della crisi) e del sesto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., L. 164 del 1975, art. 5, L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 5 e D.M. 18 febbraio 2002, n. 31826, art. 1, lett. e per legittimo ricorso a CIGS a causa di evento improvviso ed imprevedibile esterno all’impresa, quale il crollo della domanda di mercato), consegue coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna New Holland Kobelco s.p.a. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2016

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