Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15991 del 28/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/07/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 28/07/2020), n.15991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARCHEIS BESSO Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25888-2018 proposto da:

IMCONF SRL IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

RAFFAELE TOMMASINI;

– ricorrente –

contro

P.M.T., G.C., rappresentati e difesi

dall’avvocato ANTONIO GATTO; IRRERA RENATO, rappresentato e difeso

dagli avvocati CLAUDIO ARMELLINI e SIMONE CONTI

– controricorrenti –

e contro

G.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 12133/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 17/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

IMCONF s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso articolato in unico motivo per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione n. 12133/2018, depositata il 17 maggio 2018. Resistono con distinti controricorsi P.M.T. e G.C., nonchè I.R., mentre G.A. è rimasto intimato senza svolgere attività difensive.

Su proposta del relatore, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., comma 4, e art. 380-bis c.p.c., commi 1 e 2, che ravvisava l’inammissibilità del ricorso, il presidente fissava con decreto l’adunanza della Corte perchè la controversia venisse trattata in camera di consiglio nell’osservanza delle citate disposizioni. La ricorrente IMCONF s.r.L e i controricorrenti P.M.T. e G.C., nonchè I.R., hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, IMCONF s.r.l. in liquidazione convenne dinanzi al Tribunale di Messina, G.P., deceduto nel corso del giudizio ed al quale sono subentrati quali eredi P.M.T., G.C. e G.A., deducendo di avere acquistato con atto del 31 luglio 1981 la quota di pertinenza di I.V. sulla galleria dell’edificio facente parte dell’isolato 174 del PRG della Città di Messina, e sostenendo che il proprio titolo contrastava con quello dei convenuti. Chiedeva quindi accertarsi la titolarità della proprietà sulla metà della galleria. Intervenne in giudizio I.R., che chiese di accertare il suo diritto di proprietà di circa 2/3 della galleria. Il Tribunale di Messina con sentenza n. 599/2013 riconobbe che l’attrice era comproprietaria del bene oggetto di causa, in ragione di 11/36, spettando ai convenuti la quota di 6/36 prò capite ed all’interventore Renato Irrera la quota di 11/36. La Corte d’Appello di Messina con la sentenza n. 68 dell’8 febbraio 2016 rigettò l’appello proposto dalla IMCONF s.r.l. in liquidazione. Quest’ultima propose allora ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. I.R., P.M.T. e G.C. notificarono controricorso, mentre non svolse difese G.A.. Questa Corte, con la sentenza n. 12133/2018 del 17 maggio 2018, dichiarò improcedibile il ricorso, così argomentando:

“2. Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Invero, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata le è stata notificata a mezzo PEC in data 11/4/2016, ed avendo provveduto a notificare il ricorso con consegna all’ufficiale giudiziario per la notifica in data 13/4/2016 (e quindi oltre il termine breve per la proposizione del ricorso, avuto riguardo alla data di deposito della sentenza gravata, verifica questa che rileva ai fini di quanto precisato da Cass. n. 17066/2013, secondo la quale, pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima, il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza e quella della notificazione del ricorso assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2,), non risulta però depositata copia autentica con la relazione di notificazione, avendo la parte solo depositato copia della sentenza di appello ma senza attestazione di conformità ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis, in ordine alla notifica della sentenza stessa. A tal fine va richiamato l’orientamento di questa Corte per il quale, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare nei termini queste ultime presso la cancelleria della Corte (Cass. n. 24442/2017; Cass. n. 17450/2017; Cass. n. 6657/2017). Trattasi peraltro di orientamento che è stato di recente ribadito da questa Sezione con l’ordinanza n. 30765/2017, che dando conto della necessità di contemperare i principi del processo telematico con le peculiarità del giudizio di cassazione, ha ribadito che se il destinatario della notifica del provvedimento impugnato intende proporre ricorso per cassazione, dovrà depositare nella cancelleria della Corte copia analogica del messaggio di posta elettronica ricevuto e dei relativi allegati, atto impugnato e relazione di notifica, e dovrà attestare la conformità di tali documenti cartacei agli originali digitali. L’autenticazione del messaggio p.e.c. è poi necessaria, perchè solo di lì si evince giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario, essendo altresì necessaria l’autenticazione dei suoi due allegati: relazione della notificazione a mezzo p.c.c. e provvedimento impugnato autenticato dall’avvocato che ha provveduto alla notifica, in quanto solo così si adempie a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., laddove richiede, a pena d’improcedibilità, il deposito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”. Pertanto l’avvocato che propone un ricorso per cassazione, anche quando il provvedimento impugnato gli è stato notificato con modalità telematiche, ha gli strumenti per procedere agli adempimenti richiesti, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., e quindi, qualora, trascorsi venti giorni dalla notificazione del ricorso per cassazione non siano state depositate le copie analogiche dei suddetti documenti digitali, corredate dalla attestazione di conformità, nel senso sopra indicato, e qualora le. stesse, con attestazione di conformità, non siano state depositate dal controricorrente o non siano comunque agli atti, il ricorso è improcedibile, senza che l’improcedibilità non può essere sanata da una produzione successiva alla scadenza del termine di venti giorni dalla notifica. A tal fine va altresì evidenziato che a fronte del rilievo dell’improcedibilita del ricorso per la suddetta ragione operato dalla difesa del controricorrente Irrera nelle memorie ex art. 378 c.p.c., la difesa del ricorrente in sede di discussione nulla ha eccepito. In assenza di tali documenti il ricorso pertanto deve essere dichiarato improcedibile, occorrendo in tal senso richiamare il costante orientamento di, questa Corte secondo cui, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, la Corte deve accertare se la parte ricorrente abbia ottemperato all’onere del deposito della copia della sentenza impugnata entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, e, in mancanza, deve dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità precede quello dell’eventuale inammissibilità (cfr. da ultimo Cass.n. 1295/2018)”.

L’unico motivo del ricorso per revocazione della IMCONF s.r.L assume che la sentenza n. 12133/2018 del 17 maggio 2018 sia frutto di errore revocatorio, avendo affermato che la parte ha depositato solo copia della sentenza di appello senza attestazione di conformità ai sensi del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis, mentre in realtà la ricorrente aveva depositato “copia autentica, rilasciata dalla Cancelleria della Corte d’appello di Messina in data 25.03.2016, della sentenza impugnata, contenente la espressa dicitura ” per uso ricorso in cassazione”…”. La sentenza della Corre di cassazione sarebbe, quindi, ad avviso della ricorrente, “fondata sulla mancata percezione di un documento invece presente agli atti di causa”. Si assume anche che nel ricorso per cassazione si era dato atto “della intervenuta notificazione da parte del Sig. Irrera della sentenza in data 11.04.2Q16V circostanza confermata dagli stessi controricorrenti. Ancora nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, , la IMCONF s.r.L deduce che il proprio ricorso per revocazione sia fondato su un “abbaglio dei sensi”, consistente nel “mancato rilievo del deposito anche della copia autentica della sentenza impugnata”: a tale circostanza “non poteva togliere valore” al mancato deposito della copia della sentenza notificata, sicchè neppure si sarebbe potuto dichiarare improcedibile il ricorso.

In subordine, la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, in relazione agli artt. 24,111 e 113 c.p.c.

La censura è inammissibile. L’errore di fatto che legittima-la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione consiste in un’erronea percezione dei fatti di causa, che, oltre a dover rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, nonchè riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità (e cioè quegli atti che la Corte deve e può esaminare direttamente con propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso), deve incidere unicamente sulla sentenza di legittimità, rivelando caratteri di essenzialità e decisività ai fini della decisione.

In sostanza, l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., postula la configurabilità di una svista su dati di fatto, produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi per risolvere la questione.

Nella specie, la ricorrente non si confronta con l’essenziale ratio decidelidi della sentenza n. 12133/2018, la quale dichiarò improcedibile il ricorso in quanto la IMCONF s.r.l., dopo aver allegato che la sentenza della Corte d’Appello di Messina impugnata le fosse stata notificata a mezzo PEC in data 11 aprile 2017, non aveva tuttavia adempiuto l’onere, imposto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, ai destinatari di notificazione della sentenza eseguita con modalità telematiche, di estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenuto e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 6-2, 22/12/2017, n. 30765; Cass. Sez. U, 27/04/2018, n. 10266).

Da ultimo, Cass. Sez. U, 25/03/2019, n. 8312, ha ulteriormente specificato come il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilrtà ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata, ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art, 23, comma 2. Viceversa, nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga solo intimato (oppure tali rimangono alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio. I medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito di copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata (e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute) senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa.

Nel caso in esame, la sentenza n. 12133/2018 evidenziò altresì come il controricorrente Renato Irrera avesse eccepito l’improcedibilità del ricorso proprio per il mancato deposito di copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata (e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute) con attestazione di conformità del difensore; per di più, G.A., uno dei destinatari della notificazione del ricorso, era rimasto solo intimato.

Il motivo di ricorso per revocazione costruisce, così, l’ipotizzato errore di fatto sulla base di una arbitraria equipollenza tra la produzione di una copia autentica della sentenza della Corte d’Appello di Messina impugnata e il deposito della relazione di notificazione, che si rendeva altrettanto necessaria avendo la ricorrente allegato che la decisione gravata le era stata notificata, limitandosi a produrre. E’ stato invece spiegato da Cass. Sez. U, 02/05/2017, n. 10648, che il tenore letterale dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, che prescrive a pena di improcedibilità il deposito unitamente al ricorso della “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta” non consente di distinguere tra deposito della sentenza impugnata e deposito della relazione di notificazione”.

Come già affermato da Cass. Sez, 6 – 3, 12/02/2013, n. 3494, è comunque inammissibile il ricorso per revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., che suggerisca l’adozione di una soluzione giuridica diversa da quella adottata, relativa, come nella specie, a declaratoria di improcedibilità pronunciata ex art. 369 c.p.c., n. 2, -per omesso deposito di copia della sentenza munita della relata di notifica.

Poichè in questa sede non occorre decidere se il ricorso per cassazione proposto dalla IMCONF s.r.l. in liquidazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Messina fosse, o meno, da dichiarare improcedibile, ex art. 369 c.p.c., n. 2, per il mancato deposito di copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata con attestazione di conformità del difensore, quanto, piuttosto, verificare la configurabilita di un errore revocatorio nel giudizio espresso su questo profilo dalla sentenza della Corte di cassazione, è evidentemente priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale inerente a tale norma. Sempre Cass. Sez. U, 02/05/2017, n. 10648, ha peraltro posto in evidenza che l’onere imposto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, si esaurisce in una “attività elementare, che risale ad esigenza obbiettiva della gestione del processo di cassazione, che non pone soverchi oneri alle parti, che è stata mantenuta dal legislatore e la cui razionalità è stata verificata dalla giurisprudenza di legittimità anche nell’ottica dei principi costituzionali”.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata a rimborsare ai controricorrenti P.M.T. e G.C., nonchè I.R., le spese del giudizio di revocazione, liquidate in dispositivo; non deve al riguardo provvedersi per G.A., che è rimasto intimato senza svolgere attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2O02, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare le spese sostenute nel giudizio di revocazione, che liquida per P.M.T. e G.C. in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi/oltre a spese generali e ad accessori di legge, e per I.R. in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020

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