Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1599 del 23/01/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. 6 Num. 1599 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: ORILIA LORENZO

ORDINANZA
sul ricorso 20895-2016 proposto da:
LO SCIOTTO FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avv.

Giovanni La Malfa ed elettivamente domiciliato in Roma via Paraguay
5 presso l’avv. Maria Virginia Perazzoli

– ricorrentecontro
MERLINO STITANO, MERLINO ROSARIO, elettivamente
domiciliati in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo
studio dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che li rappresenta e
difende;

– controricorrenti nonchè
MI ;JUAN( ) LUCIA;

– intimata-

Data pubblicazione: 23/01/2018

avverso la sentenza n. 357/2016 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA, depositata il 14/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

Ric. 2016 n. 20895 sez. M2 – ud. 26-10-2017
-2-

RICORSO N. 20895/2016

CONSIDERATO IN FATTO
1 Con sentenza 14.6.2016 la Corte d’Appello di Messina, in
parziale accoglimento del gravame principale proposto da Rosario e
Stefano Merlino contro la sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di
Gotto n. 79/13, ha dichiarato l’avvenuto acquisto per usucapione della
servitù di veduta dalle aperture indicate con i nn. 4 e 5 nella relazione

Merlino (in Milazzo, p.11a 448 del foglio 26); ha conseguentemente
respinto la domanda di eliminazione delle suddette vedute proposta
dal Lo Sciotto, confermando nel resto la sentenza gravata e
compensando le spese dell’intero giudizio.
Per giungere a tale soluzione la Corte territoriale – per quanto
ancora interessa in questa sede – ha considerato, sulla scorta dei rilievi
svolti dal CTU, che le aperture distinte con i numeri 4 e 5, per le loro
particolari caratteristiche costruttive, risalivano ai primi decenni del
1900.
2 Contro tale pronuncia il Lo Sciotto ricorre per cassazione con
tre motivi a cui resistono con controricorso Stefano e Rosario Merlino.
Lucia Merlino (avente causa di Elisa Bucca, pure evocata nel
giudizio di merito) non ha svolto difese in questa sede.
Il relatore ha formulato proposta di rigetto del ricorso per
manifesta infondatezza e le parti hanno depositato memorie.
RITENUTO IN DIRITTO
1-2 Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 901, 902 corna 2 , 1158 e 2697 cc in relazione agli artt. 112,
115 e 116 e 360 n. 3 cpc: dolendosi dell’accoglimento della domanda
riconvenzionale di acquisto per usucapione della servitù di veduta, il
ricorrente rileva che nel caso di specie sono stati stravolti tutti i principi
in materia di onere probatorio. Richiama le argomentazioni svolte dal
primo giudice nonché il contenuto delle deposizioni dei testi e osserva
che la perizia di parte esibita in appello, oltre ad essere tardiva, era
anche ininfluente perché non consentiva di ricavare il dato essenziale e

-I

del CTU arch. Bruno poste alla seconda elevazione del fabbricato

RICORSO N. 20895/2016

dirimente: l’esercizio dell’inspicere e prospicere sul fondo alieno.
Col secondo motivo il Lo Sciotto denunzia violazione degli artt.
184 e 345 cpc, 61, 191 e 194 cpc, 901, 902, 1158, 2697 e 2943 cc,
111. Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 cpc. Rimprovera alla Corte
messinese di avere ritenuto ammissibile in appello il nuovo documento
rappresentato dalla perizia di parte e di avere utilizzato la consulenza

dall’onere probatorio su di essi incombenti. Ritiene inoltre non
convincente il ragionamento della Corte d’Appello sull’accertamento
dell’acquisto della servitù di veduta.
Le due censure – che per il comune riferimento alla prova
dell’acquisto della servitù di veduta ben si prestano ad esame
congiunto – sono manifestamente infondate.
Partendo dalla critica sulla produzione in appello della perizia di
parte, osserva il Collegio che la sua manifesta infondatezza sta nel
fatto che essa non si confronta con il principio generale, affermato
anche dall4 sezioni unite, secondo cui la consulenza tecnica di parte
costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico,
priva di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione, in
quanto sottratta al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ., è
ammissibile anche in appello (Sez. U, Sentenza n. 13902 del
03/06/2013 Rv. 626469).
La ulteriore critica all’utilizzo della consulenza tecnica integrativa
da parte della Corte d’Appello (consulenza definita esplorativa) è priva
di consistenza sol che si consideri la regola, anch’essa costantemente
ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui è ammissibile
la consulenza tecnica “percipiente”, vertente cioè su elementi già
allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di
accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone
(v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 1190 del 22/01/2015 Rv. 633974;
Sez. 1, Sentenza n. 20695 del 10/09/2013 Rv. 627911).
Nel caso di specie, l’onere di allegazione sulla vetustà delle

4

tecnica a fini esplorativi esonerando in tal modo i convenuti-appellanti

RICORSO N. 20895/2016

vedute per le caratteristiche costruttive risultava assolto con la
produzione della perizia di parte (mera difesa ammissibile in appello,
come si è detto) e, prima ancora, con l’articolazione della prova
testimoniale e quindi la Corte di merito non ha affatto errato a
nominare un proprio consulente per le necessarie verifiche tecniche
sulle caratteristiche delle aperture e sull’epoca di realizzazione.

della prova per testi spiegando le ragioni che lo hanno indotto a
scartare le risultanze di tale mezzo istruttorio e a preferire alla
memoria dei testi l’approfondimento tecnico (in proposito la Corte di
merito ha evidenziato l’ulteriore difficoltà di distinguere e differenziare
il ricordo rispetto a numerose aperture con esiti della prova orale
incerti, se non confusionari: v. pagg. 7 e 8 della sentenza). Ancora, la
Corte d’Appello ha esaminato anche la questione dell’epoca di
realizzazione delle aperture, dedicandovi ampie considerazioni nella
parte dedicata all’esame del “falso storico”, a suo dire inverosimile (v.
pagg. 8 e ss.).
Le considerazioni contenute nella memoria del ricorrente
(improntata sull’erroneo utilizzo della consulenza tecnica e sul richiamo
a giurisprudenza relativa a nuove costruzioni a seguito di precedenti
demolizioni e dunque inappropriata al caso in esame) non colgono
dunque nel segno.
Insomma, la Corte siciliana ha fatto corretto uso delle prerogative
ad essa riservata perché – è bene ricordarlo – al giudice di merito
spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (v. la costante giurisprudenza sui
poteri del giudice di legittimità, tra cui Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del

5

Il giudice di merito si è fatto carico anche di valutare la rilevanza

RICORSO N. 20895/2016

04/08/2017 Rv. 645292; Sez. L, Sentenza n. 13485 del
13/06/2014 Rv. 631330; Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007
Rv. 598953).
In definitiva, le due doglianze in esame si risolvono in una critica
tipicamente fattuale, tendente a sollecitare una rivisitazione di elementi
di fatto (come ad esempio le caratteristiche delle aperture che la Corte
d’Appello ha comunque preso in esame soffermandosi su quelle che ha

di atti neppure specificamente trascritti nella parte di rilievo oppure il
riesame della motivazione della sentenza circa il riconoscimento della
servitù per usucapione (motivazione ritenuta “non condivisibile” e “non
convincente”) e che nel giudizio di legittimità non può certamente
trovare ingresso. Insomma le valutazioni fattuali sono state
adeguatamente compiute dal giudice di merito e lo stesso ricorso,
nell’affermare che l’affaccio sarebbe esistito verosimilmente dal 1981
non vale a scalfire il ragionamento della Corte d’Appello.
3 Manifestamente infondato è infine anche il terzo ed ultimo
motivo con cui il ricorrente, denunziando violazione degli artt. 91 e 92
cpc, si duole della compensazione della spese, che a suo dire avrebbero
dovuto essere poste interamente a carico degli appellanti principali.
Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di spese
processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il
principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico
della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere
discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di
compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza
reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (tra le tante,
Sez. 5 – , Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017 Rv. 643477; Sez. 5,
Sentenza n. 15317 del 19/06/2013 Rv. 627183): poiché nel caso di
specie il divieto di condanna della parte vittoriosa certamente non è
stato violato (il Lo Sciuto infatti è risultato parzialmente soccombente e
le spese sono state compensate interamente tra le parti proprio per

6

definito vedute “in senso tecnico”, distinte con i nn. 4 e 5) o il riesame

RICORSO N. 20895/2016

reciproca soccombenza: v. pagg. 12 e 13), la censura ancora
una volta non coglie nel segno.
Il ricorso va dunque respinto con addebito di ulteriori spese alla
parte ricorrente.
Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30 gennaio
2013, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di
stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del testo
unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che si liquidano in C. 2.700,00 di cui C.
200,00 per esborsi oltre accessori di legge e spese generali nella misura
del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art.1,comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Roma, 26.10.2017.
Il Presidente

-7

— 7

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA