Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1599 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. II, 20/01/2017, (ud. 21/10/2016, dep.20/01/2017),  n. 1599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12222-2012 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GULLI, 11,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO GRECO, rappresentata e difesa

dagli avvocati SISTO MANZI, ANTONIO FARGIORGIO;

– ricorrente –

contro

M.G., M.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA G SACCONI 19 PAL F INT 4, presso lo studio dell’avvocato DANIELA

PERRONE, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALINO MAGLIUZZI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1482/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato FARGIORGIO Antonio difensore della ricorrente che si

riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato MAGLIUZZI Pasqualino, difensore dei resistenti che

si riporta agli atti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento secondo motivo

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Latina, con sentenza emessa l’8/11/2005, dichiarata aperta la successione di Ma.Ad., accolta la domanda di riduzione proposta da M.L., assegnando a costei la quota di 2/9 del compendio ereditario, condannò i fratelli M.G. e A. a versare alla germana, conguagli in denaro.

Con sentenza depositata il 5/4/2011 la Corte d’appello di Roma, accolse l’appello principale avanzato da M.A. e M.G., rigettò la domanda di riduzione proposta da M.L., la cui domanda incidentale provvide, inoltre, a disattendere.

In estrema sintesi, la Corte del merito, tratto il convincimento dagli atti di altro giudizio civile definito, che vedeva contrapposti Ma.Ad. alla figlia, che l’appellata aveva beneficiato, a titolo di donazione indiretta, della somma di Lire 15.000.000, costituente parte del prezzo pagato per l’acquisto di un immobile, messagli a disposizione dal de cuius, escluso il bis in idem, ed effettuata la rivalutazione dal 1980 al 1994, giunse ad escludere che si fosse verificata la denunziata lesione.

M.L. ricorre per cassazione chiedendo l’annullamento della statuizione d’appello.

Resistono con controricorso M.A. e M.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorso deduce violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 12 preleggi, per essere stato disatteso il divieto del bis in idem.

Secondo la ricorrente la Corte aveva errato nel riprendere il passaggio di altra sentenza, oramai passata in giudicato e riguardante altre parti, per affermare che il padre aveva voluto “favorire l’acquisto dell’appartamento, dove egli, rimasto vedovo e privo di assistenza, avrebbe dovuto convivere con la figlia”, aveva omesso di accertare se si fosse trattato di una liberalità remuneratoria o di altro tipo, non rientrando un tale vaglio nell’oggetto di quel giudizio. Cosicchè, travalicando il limite del giudicato, si era dato a quella sentenza un significato affatto peculiare non previsto dalla legge, in quanto “attribuendo a quella dazione di denaro la valenza di donazione, si perviene a sconvolgere il corretto assetto della definizione dei rapporti tra le parti, in spregio a tutti i principi che regolano la materia successoria”.

La censura è radicalmente destituita di fondamento giuridico. La Corte capitolina sul punto, invero, ha reso motivazione corretta e fatto puntuale applicazione dei principi elaborati in sede di legittimità.

L’oggetto del presente giudizio è affatto diverso rispetto a quello che a suo tempo vide contrapposto Ma.Ad. alla figlia L.; inoltre, le parti sono diverse. Infine, da quel giudizio non si è tratto il decisum, coperto dal giudicato, ma un elemento probatorio, costituito dalla ammissione della odierna ricorrente di aver ricevuto dal padre la somma di Euro 15.000.000, onde favorire l’acquisto da parte di costei di un appartamento.

In ogni caso, non può negarsi che, più in generale, la sentenza passata in giudicato può avere la efficacia riflessa di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell’accertamento giudiziale e tale efficacia indiretta può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e valutarne liberamente il contenuto, anche in relazione agli altri elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa (cfr. Sez. 3, n. 19492 del 21/9/2007, Rv. 598979; Sez. L, n. 19499 del 10/09/2009, Rv. 609827; Sez. L, n. 3377 del 11/02/2011, Rv. 616049; Sez. 3, n. 4241 del 20/02/2013, Rv. 626549).

Con il secondo motivo viene denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 769, 770, 782 e 783 c.c..

In ogni caso non si era trattato di una donazione remuneratoria, mancando il rispetto della forma solenne previsto dalla legge, dovendosi escludere si trattasse di somma modica. Inoltre, la circostanza che il genitore avesse intentato causa per la restituzione, avrebbe dovuto far escludere la sussistenza dello spirito di liberalità, che deve necessariamente sussistere per potersi affermare l’animus donandi.

Trattasi di doglianza infondata.

Costituisce principio di diritto consolidato quello secondo il quale, nel rispetto delle prescrizioni normative, la donazione indiretta, quale che ne sia il valore economico, non richiede la forma solenne prevista per la donazione (Sez. 2, n. 3819 del 25/2/2015, Rv. 634473; Sez. 1, n. 14197 del 5/6/2013, Rv. 626631).

Di poi, palesemente incongruente deve stimarsi il secondo profilo di censura mosso con il motivo al vaglio. Non è dubbio, infatti, che lo spirito di liberalità, che connota la donazione indiretta, deve sussistere al momento dell’atto, a nulla rilevando che, successivamente, per fatti sopravenuti, i rapporti fra le parti possano essersi deteriorati.

Con il terzo motivo la M.L. assume la sussistenza di vizio motivazionale su un fatto controverso e decisivo.

La Corte territoriale, nonostante la denunziata lacunosità ed insufficienza della CTU, evidenziata dai due distinti elaborati dei consulenti di parte, specie a riguardo delle stime dei valori immobiliari, che non avevano tenuto conto del mercato locale, aveva omesso di procedere a rinnovazione dello strumento.

Anche quest’ultima doglianza non può essere accolta.

In ordine all’apporto di sapere proveniente dalla CTU va ribadito che se, per un verso, il giudice del merito, ove dia mostra, come nella specie, di aver conosciuto e apprezzato le conclusioni del consulente, non è tenuto a fornire alcuna ulteriore motivazione, è altrettanto evidente che il ricorrente non può limitarsi a dissentire dalle predette conclusioni in sede di legittimità, ricadendo su di lui l’onere di puntualmente controdedurre, riportando i singoli passaggi della relazione e le specifiche ragioni poste a suo tempo in contrapposizione. In altri termini, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità. La parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (cfr., Sez. 1, n. 11482 del 03/06/2016,Rv. 639844; Sez. 1, n. 16368 del 17/07/2014, Rv. 632050; Sez. 1, n. 3224 del 12/02/2014, Rv. 630385). Nella specie, addirittura, la ricorrente si limita ad evidenziare i differenti valori attribuiti ai cespiti dal consulente di parte, pretendendo che esse stime siano più attendibili di quelle formulate dal consulente del giudice.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese della ricorrente, nella misura, stimata congrua, di cui in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore della parte resistente, spese che si liquidano nella complessiva somma di Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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