Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15987 del 01/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/08/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 01/08/2016), n.15987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 943-2013 proposto da:

M.G., CF (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEL CORSO 160, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO

ALESSANDRINI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SANPAOLO INVEST SIM S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA N. 318, presso lo studio degli avvocati DIEGO CORAPI e

FABRIZIO FIORAVANTI, che la rappresentano e difendono giusta cura

speciale notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1150/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 28/12/2011 r.g.n. 244/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato ALESSANDRINI RAFFAELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale di Rimini la società SANPAOLO INVEST SIM spa chiedeva condannarsi M.G., già agente della società, al pagamento della indennità sostituiva del preavviso, contestando la esistenza della dedotta giusta causa del suo recesso nochè alla restituzione degli anticipi provvigionali rimasti senza titolo.

L’agente proponeva domanda riconvenzionale chiedendo, sul fondamento della esistenza della giusta causa del recesso, la condanna della società mandante al pagamento della indennità sostituiva del preavviso, della indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. o, in subordine, della indennità sostitutiva di clientela nonchè di provvigioni e bonus asseritamente maturati.

Il Tribunale, con sentenza del 13.2.2007 (nr. 82/2007), accoglieva il ricorso, rigettando la domanda riconvenzionale dell’agente.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 20.12- 28.12. 2011 (nr. 1150/2011), rigettava l’appello del M..

Riteneva insussistenti gli inadempimenti imputati dall’agente alla casa mandante, consistenti:

1. nella unilaterale variazione della disciplina della “valorizzazione del portafoglio”;

2. nella revoca dell’incarico aggiuntivo di responsabile di punto operativo (con conferimento di quello di “divisional manager”);

3. nella esistenza di disfunzioni imputabili alla preponente;

4. nella omessa corresponsione del premio di migrazione;

5. nella circostanza che gli accantonamenti presso il FIRR fossero parametrati al regime dell’agente plurimandatario e non a quello spettante come agente monomandatario.

In relazione ai pretesi inadempimenti della società mandate il giudice dell’appello rispettivamente rilevava:

1. la indennità di valorizzazione non era mai divenuta esigibile in corso di rapporto, per mancata verificazione dei relativi presupposti (recesso o revoca di incarico accessorio senza pattuizione entro un determinato arco di tempo di altro contratto con impresa concorrente); la stessa era stata modificata nel sistema di calcolo e non risultava specificamente dedotto un pregiudizio dell’agente per effetto della modifica; in ogni caso, la condotta di eventuale inadempimento non avrebbe rivestito caratteri di gravità nella complessiva economia del rapporto;

2. la questione della revoca dell’incarico aggiuntivo era nuova e comunque infondata, atteso che a tenore del contratto di agenzia l’incarico era revocabile unilateralmente; non era inoltre specificamente dedotto il contenuto peggiorativo del nuovo incarico di “divisional manager”;

3. il giudice del primo grado, con motivazione coerente, aveva valutato il carattere fisiologico – o comunque non grave – delle disfunzioni lamentate, dando rilievo, piuttosto, al rilevante esodo di agenti della società verso una impresa concorrente sicchè la reale motivazione del recesso doveva ravvisarsi nella possibilità di stipulare analogo contratto di agenzia con un soggetto – terzo a condizioni più vantaggiose.

4. il contratto sottoscritto escludeva la corresponsione del premio di migrazione per i responsabili di punto operativo, posizione rivestita dal ricorrente.

5. La questione relativa al FIRR era nuova, perchè allegata solo con le note di discussione e comunque infondata non trattandosi di agente monomandatario (ovvero di agente obbligato a non ricevere mandato anche da imprese non – concorrenti).

La Corte di merito esaminava e respingeva, altresì, le censure mosse alla consulenza tecnica d’ufficio svolta nel primo grado perchè generiche ed infondate, come dettagliatamente esposto in motivazione.

Per la Cassazione della sentenza ricorre M.G., articolando sei motivi.

Resiste con controricorso la società SANPAOLO INVEST SIM spa.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura è relativa alla statuizione sulla indennità di valorizzazione del portafoglio, disciplinata dall’art. 10 del contratto di agenzia. Il ricorrente denunzia il contrasto logico tra il punto della sentenza in cui il giudice del merito asseriva che la indennità di valorizzazione del portafoglio non era stata eliminata – essendo stato modificato soltanto il sistema di calcolo – e la successiva attestazione del fatto che l’indennità era stata ristretta alle sole ipotesi di cessazione qualificata del rapporto.

Da tale ultimo dato risultava la soppressione dell’ipotesi di riconoscimento della indennità in costanza del rapporto di agenzia per il caso di riduzione del portafoglio (art. 10, lett. B, nr. 3 del contratto di agenzia).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. da 1362 a 1368 c.c. in riferimento al contenuto della variazione contrattuale di cui alla comunicazione della Sanpaolo Invest del 7.12.2001, concernente le condizioni della indennità di valorizzazione del portafoglio.

Espone che in virtù della originaria previsione del contratto (art. 10, lett. B, n. 2 del contratto di agenzia) egli avrebbe potuto proseguire nel rapporto di agenzia percependo la indennità o in caso di riassegnazione, per iniziativa propria, dei promotori coordinati o a seguito della revoca da parte della preponente del mandato manageriale. A seguito della modifica, decorrente dal gennaio 2002, era stata eliminata la possibilità di fruire della indennità in costanza del rapporto di agenzia e limitato il suo riconoscimento ai casi di recesso, decesso o invalidità permanente.

La Corte di merito – in violazione del canone della interpretazione letterale nonchè dell’art. 2697 c.c. e artt. 112 e 115 c.p.c. – non aveva colto il pregiudizio derivante dalla modifica ed il grave inadempimento ascrivibile alla banca.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c. nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa,insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Espone che nella valutazione complessiva operata nella sentenza impugnata non vi era alcun riferimento alla limitazione del proprio diritto a percepire la indennità di valorizzazione del portafoglio.

4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione:

degli artt. 1363, 1366, 1321, 1372, 1453, 1455, 1175, 1375 e 2043 c.c. in relazione agli interessi dedotti in contratto ed alle intenzioni delle parti stipulanti;

dell’art. 2119 c.c., in relazione agli artt. 1742 e 1750 c.c. ed ai principi regolatori del contratto di agenzia.

Deduce altresì – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Le censure investono il capo della sentenza che esclude la ricorrenza della giusta causa del recesso dell’agente, assimilando la nozione di giusta causa a quella individuata dall’ art. 2119 c.c. per il rapporto di lavoro subordinato.

Il ricorrente sostiene la applicabilità al contratto di agenzia anche dei principi generali sulla risoluzione per inadempimento, da valutare con esclusivo riguardo alle obbligazioni assunte e non anche, come nel rapporto di lavoro subordinato, sulla base di fattori esterni, relativi alla coscienza sociale e desumibili dall’ordinamento generale e dai principi costituzionali.

Rileva che la indennità di cui all’art. 10 del contratto di agenzia aveva lo scopo di riequilibrare il potere della mandante di revocare a propria discrezione l’incarico manageriale accessorio (art. 6.5 del contratto) sicchè la modifica della pattuizione – oltre a privare l’agente di una componente dei compensi nel corso del rapporto di agenzia – alterava l’equilibrio complessivo dei patti: l’agente perdeva ogni potere ontrattuale in punto di stabilità degli incarichi accessori, giacchè la indennità era dovuta nei soli casi di risoluzione del rapporto, fermo restando, invece, il potere di revoca della mandante.

Il ricorrente deduce che la modifica unilaterale della clausola contrattuale era avvenuta in violazione degli artt. 1372 e 1321 cc., trattandosi peraltro di pattuizione oggetto di doppia sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c..

La condotta della mandante era vieppiù aggravata dalla revoca dal gennaio 2002 dell’incarico di responsabile di punto operativo laddove la revocabilità dell’incarico, di cui al punto 6 del contratto, era strettamente connessa – ai sensi degli artt. 1363 e 1366 c.c. – alla pattuizione dell’art. 10, che prevedeva il riconoscimento all’agente in detta eventualità della indennità di valorizzazione del portafoglio.

Il comportamento della preponente era avvenuto in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.

La Banca aveva comunicato la modifica del 7.12.2000, decorrente dal gennaio 2002, solo alla vigilia di Natale e la revoca del ruolo manageriale trenta giorni dopo, impedendo una corretta valutazione dei fatti e l’esercizio consapevole del diritto di contestazione ex art. 2 AEC; del nuovo incarico attribuito non erano precisati, invece, i contenuti.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. da 1362 a 1368 c.c., in riferimento alla interpretazione dell’art. 10 del contratto di agenzia.

La censura investe il punto della sentenza in cui la Corte territoriale afferma non essere mai maturato in favore dell’agente il diritto alla indennità di valorizzazione del portafoglio.

Il ricorrente evidenzia che le condizioni di esigibilità della indennità erano realizzate dalla revoca dell’incarico di responsabile di punto operativo; nè appariva preclusiva la contestuale offerta dell’incarico di DIVISIONAL MANAGER, di cui non venivano previsti nè i contenuti nè il corrispettivo (che neppure erano conoscibili, trattandosi di figura di nuova istituzione) sicchè non era configurabile una proposta contrattuale. La proposta neppure si era concretizzata nei tre mesi successivi, fino alla cessazione del rapporto sicchè la indicazione del nuovo incarico doveva ritenersi avvenuta allo scopo di precludere al M. l’esercizio dei diritti di cui all’art. 10 del contratto.

6. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 -.

violazione e falsa applicazione degli artt. 1358, 1359, 1176, 1375, 1460 e 2043 c.c..

Il ricorrente espone di avere maturato alla data dell’1 gennaio 2002 i requisiti per il riconoscimento della indennità di valorizzazione del portafoglio, requisiti costituenti conndizione di efficacia della obbligazione a carico della mandante.

In pendenza della condizione, con la comunicazione del 7.12.2001 la banca aveva modificato la pattuizione per motivi pretestuosi (pretese difficoltà di applicazione dell’istituto laddove le variazioni apportate non riguardavano le modalità di calcolo della indennità ma i suoi destinatari) in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede. Aggiunge parte ricorrente che la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede era evidente nel fatto che la modifica contrattuale aveva decorrenza dalla stessa data della revoca unilaterale di numerosi incarichi manageriali, nell’ambito di una riorganizzazione che vedeva ridotti a tre precedenti cinque livelli manageriali.

In conclusione, sussistevano le condizioni per ritenere comunque avverata, ex art. 1359 c.c. la condizione sospensiva per il pagamento della indennità di valorizzazione.

La circostanza della mancata conclusione da parte dell’agente di un mandato di promozione di affari con altra impresa concorrente non costituiva, invece, una condizione del diritto ma una ipotesi di decadenza dal diritto già maturato; tale ipotesi non ricorreva nella fattispecie di causa per il grave inadempimento della mandante consistente nella modifica dell’art. 10, tale da legittimare l’agente a non adempiere, ex art. 1460 c.c..

I motivi, tutti relativi alle conseguenze della unilaterale variazione da parte della casa mandante della disciplina contrattuale sulla indennità cd. “di valorizzazione del portafoglio”, possono essere esaminati congiuntamente.

Il ricorrente impugna – sia sotto il profilo del vizio della motivazione sia sotto il profilo della violazione di norme di diritto – la statuizione con cui la Corte di merito ha ritenuto che tale variazione non costituisse grave inadempimento della casa mandante e, dunque, non legittimasse il recesso per giusta causa dell’agente.

Il ricorso è inammissibile.

In questa sede il ricorrente muove censure alle sole statuizioni della Corte di merito inerenti alla indennità di valorizzazione del portafoglio e non anche alle statuizioni che hanno ritenuto del pari insussistenti ulteriori inadempimenti imputati nei gradi di merito dall’agente alla società mandante, quale giustificazione del suo recesso (in particolare: la revoca dell’incarico di responsabile di punto operativo, le disfunzioni organizzative, l’omessa corresponsione del “premio migrazione”, la inadeguatezza degli accantonamenti presso il FIRR). Nell’esaminare l’addebito di disfunzioni la sentenza impugnata ha affermato:

“Il primo giudice, v. sentenza gravata, ha dato in sostanza rilievo al “grosso esodo” degli agenti verso Banca della Rete spa, (circa 200, v. teste G.), al fatto che incontestatamente anche parte appellata (rectius: appellante ndr) nel mese di marzo 2002 e, quindi, subito dopo il recesso, a tale nuova preponente sia approdato, all’ingente compenso provvigionale, incontestatamente Euro 163.389,47 nell’ultimo anno, senza che sia stato anche solo allegato una sua diminuzione o inadempimenti o ritardi nelle relative liquidazioni.

Ne ha dedotto, presuntivamente, che alla stregua dell’elevato numero dei clienti e delle relative operazioni, alla genericità o remotezza degli episodi peraltro o risolti o via di risoluzione, v. testi G. e B., una sostanziale fisiologicità o comunque, non gravità nella guisa sopra precisata delle allegate disfunzioni, ritenendo,in sostanza, la vera ragione del recesso la possibilità di stipulare un contratto analogo, presumibilmente più vantaggioso, con altra preponente del settore.

Trattasi, ad avviso della Corte, di motivazione nè illogica nè giuridicamente viziata sulla base delle prove precostituite e testimoniali raccolte”.

Il giudice del merito nell’esaminare uno dei pretesi inadempimenti della mandante, ha dunque affermato, con statuizione avente portata generale e rilievo autonomamente decisivo, che la vera causa del recesso dell’agente era da individuarsi nella possibilità di assumere un altro incarico vantaggioso presso una impresa concorrente.

Tale ratio decidendi non è stata oggetto di impugnazione.

Ove la sentenza impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (ex plurimis: Cassazione civile, sez. lav., 11/02/2011, n. 3386; sez. 3, 20/11/2009, n. 24540; Cass. 11 gennaio 2007 n. 389; Cass. 18 settembre 2006 n. 20118).

In ogni caso gli specifici motivi di censura articolati in ricorso non superano – anche singolarmente considerati – il vaglio di ammissibilità.

Con il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso si vuole evidenziare che a seguito della modifica unilaterale comunicata dalla preponente in data 7 dicembre 2001 la indennità di valorizzazione del portafoglio non sarebbe più spettata all’agente, diversamente da quanto in precedenza previsto, nel caso di riduzione del portafoglio in costanza del rapporto di agenzia.

Di ciò, tuttavia, la sentenza impugnata tiene conto laddove afferma che con la modifica in esame la indennità veniva ristretta alle sole ipotesi di cessazione qualificata del rapporto.

Le censure appaiono, dunque, prive di decisività rispetto al complessivo tenore della decisione impugnata, che ricostruisce l’ambito di operatività e gli effetti della suddetta comunicazione del 7 dicembre 2001 in conformità agli stessi assunti della parte ricorrente.

Con il quinto ed il sesto motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza per avere affermato che la indennità di valorizzazione del portafoglio non era mai divenuta esigibile in corso di rapporto.

A tal fine ipotizza:

– con il quinto motivo, la maturazione del diritto alla indennità in data 1 gennaio 2002, per effetto della retroattività alla stessa data della revoca dell’incarico di responsabile di punto operativo, come dalla comunicazione della mandante del successivo 15 gennaio 2002;

– con il sesto motivo, la qualificazione della revoca dell’incarico manageriale come “condicio facti” del diritto alla indennità, condizione che si sarebbe avverata in applicazione della fictio iuris di cui all’art. 1359 c.c. (mancato avveramento della condizione per causa imputabile alla parte a ciò interessata).

Con i suddetti motivi, tuttavia, piuttosto che denunziare un vizio della motivazione o la falsa applicazione di norme di diritto il ricorrente propone direttamente a questa Corte una diversa ricostruzione dei fatti, rispettivamente in punto di momento di revoca dell’incarico accessorio e di qualificazione delle clausole dell’art. 10 del contratto di agenzia (prevedente il diritto alla indennità di valorizzazione del portafoglio).

Si sollecita con ciò un esame di merito inammissibile in questa sede.

Da ultimo, quanto al vizio di sussunzione denunziato con il quarto motivo di ricorso deve puntualizzarsi che la applicazione delle norme di diritto viene in rilievo soltanto in ragione del fatto accertato in sentenza, negli esatti termini in cui è esso è accertato e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente.

La ricostruzione del fatto costituisce invero un prius rispetto alla applicazione delle norme di diritto ed è censurabile in sede di legittimità nei limiti del vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, evidenziando le omissioni ed i vizi logici della decisione (e non già contrapponendo al fatto accertato un fatto diverso).

Nella fattispecie di causa la Corte territoriale ha accertato che la indennità di valorizzazione non era mai divenuta esigibile nè era stata richiesta e che la stessa indennità era stata conservata, seppure con ambito ridotto; ha valutato la economia complessiva del rapporto di agenzia ed in particolare l’elevato ammontare delle provvigioni maturate dall’agente nell’ultimo anno.

Sulla base dei fatti così accertati ha ritenuto che un eventuale inadempimento della preponente non avrebbe comunque configurato una giusta causa delle dimissioni.

Con il motivo il ricorrente piuttosto che denunziare un vizio della sentenza in punto di diritto introduce nuove circostanze di fatto (interpretazione complessiva della clausole del contratto di agenzia, al fine della individuazione dell’interesse delle parti contraenti; violazione da parte della preponente degli obblighi di correttezza e buona fede, in ragione di una pretesa connessione tra la previa modifica del regime della indennità di valorizzazione e la successiva revoca dell’incarico manageriale) alla luce delle quali pretende di individuare la giusta causa del suo recesso.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per esborsi ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2016

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