Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15985 del 25/06/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 15985 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PARZIALE IPPOLISTO

SENTENZA
sul ricorso 12350-2007 proposto da:
BRULLO GIOVANNA TERESA — cod. fisc. BRL GNN 36C64
C612M, domiciliata ex kge in ROMA, presso la cancelleria della Corte
di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIANI
ROBERTO, come da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
TIDONA ANGELO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PIEMONTE 32, presso lo studio dell’avvocato SPADA GIUSEPPE,
rappresentato e difeso dall’avvocato SALLEMI SEBASTIANO, come
da procura speciale a margine del controricorso;

controricorrente

avverso la sentenza n. 814/2006 della CORTE D’APPELLO di
CATANIA, depositata il 04/09/2006;

4

Data pubblicazione: 25/06/2013

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/03/2013 dal Consigliere Ippolisto PARZIALE;
udito l’Avvocato Roberto Giuliani, per la ricorrente, che si riporta agli
atti e alle conclusioni assunte, depositando copia fotostatica di
“autorizzazione di abitabilità” del comune di Ragusa;

ANTONIETTA CARESTIA, che conclude per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con citazione del novembre 1993, la signora Brullo conveniva
avanti al Tribunale di Ragusa il signor Tidona per sentirlo condannare tra l’altro – alla restituzione della somma di 73 milioni di lire,
indebitamente trattenuta all’esito della stipula del contratto definitivo di
acquisto dell’appartamento sito in Ragusa, alla via Cairoli. In sede di
atto preliminare (12 febbraio 1991) il prezzo di acquisto era stato
fissato in 173 milioni di lire, ridotto poi, in sede di atto definitivo, a
100 milioni di lire, anche in conseguenza del mancato rilascio del
certificato di abitabilità da parte del Tidona. Di qui la domanda di
restituzione.
2. Il Tribunale di Ragusa rigettava la domanda sul punto (accogliendo
altre domande per somme di limitato importo) e la Corte di appello di
Catania, adita dalla Brullo, rigettava l’impugnazione, confermando la
sentenza.
3. – La Corte territoriale rilevava che nel preliminare il prezzo di
vendita era stato concordato in 173 milioni di lire, che la parte
acquirente (Brullo) aveva versato circa 28 milioni di lire a titolo di
acconto-caparra e che si era obbligata a corrispondere la restante parte
accollandosi il mutuo residuo. Nell’atto definitivo, stipulato oltre due
anni dopo (il 18 giugno 1993), il prezzo era stato fissato in 100 milioni
di lire, dandosi atto che il venditore aveva ricevuto l’importo di circa 28
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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

milioni di lire e che per la differenza (pari a circa 72 milioni di lire)
l’acquirente si accollava il residuo debito. Rilevava poi la Corte che
l’acquirente, in sede di interrogatorio formale, aveva ammesso di aver
pagato prima della stipula notatile 100 milioni di lire, pari al prezzo
complessivo indicato nel definitivo, circostanza questa provata anche

comprendeva perché, in sede di definitivo, l’acquirente non avesse
fatto valere quanto già pagato, accollandosi anche ulteriori 70 milioni
di lire. Rilevava ancora la Corte che non appariva verosimile che il
prezzo di stipula in sede di atto definitivo fosse stato ridotto di circa 70
milioni di lire in conseguenza del mancato rilascio del certificato di
abitabilità, posto che in sede di preliminare il venditore si era obbligato
a rilasciare tale certificazione dopo il definitivo e che la
documentazione presentata dalla signora Brullo in relazione a vicende
penali a carico del venditore (per costruzioni abusive), non risultava
collegata direttamente all’immobile in questione.
4. La ricorrente articola tre motivi di ricorso e ha depositato in udienza
pubblica “autorizzazione di abitabilità” relativa all’immobile in
questione, rilasciata dal comune di Ragusa. Resiste con controricorso la
parte intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve in primo luogo essere dichiarata l’inammissibilità della
produzione della copia fotostatica della “autorizzazione di abitabilità”
relativa all’immobile di via Fratelli Cairoli n. 18 in Ragusa, effettuata
all’udienza pubblica dell’8 marzo 2013, perché non consentita ai sensi
dell’art. 372 cod. proc. civ.
2. Il ricorso è infondato e va rigettato.
3. I motivi del ricorso.

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dalle copie degli assegni in atti. Rilevava quindi la Corte che non si

4. Col primo motivo di ricorso si deduce: «violazione e falsa applicazione di
norma di diritto articolo 360 c.p.c. n. 3 in relazione all’articolo 1322, 1325,
1321, 1326, 1341, 1343, 1344, 1345, 1346, 1372 codice civile e seguenti;
1418-1427 codice civile».
Assume la ricorrente il mancato rispetto della volontà delle parti che

previsto nel preliminare, nonostante la mancata proposizione ed
accoglimento di una domanda del venditore di simulazione o il
mancato annullamento.
Viene formulato il seguente quesito di diritto: «il principio di diritto che
andava applicato era quello di rispettare l’autonomia contrattuale delle parti
(articolo 1322 codice civile; in presenza dei requisiti del contratto previsti dagli
(articoli 1325 codice civile accordo-causa-oggetto-forma); così come previsto nella
nozione di contratto (art. 1321 codice civile); con l’accordo delle parti (articolo
1326 codice civile); con la concorde pattuizione di tutte le clausole contrattuali
(articolo 1341 codice civile) senza alcuna causa illecita (articolo 1343 codice civile);
né frode alla legge (articolo 1344 codice civile; né motivo illecito (articolo 1345
codice civile); con la presenza di tutti i requisiti di legge possibile-lecito-determinato
(articolo 1346 codice civile); con efficacia di forza di legge (articolo 1372 codice
civile); non nullo per mancanza di cause di nullità previste dall’articolo 1418 codice
civile e senza vizi (articolo 1427 codice civile). Tutti questi requisiti erano presenti.
Se la Corte si fosse tenuta al rispetto delle superiori norme avrebbe dovuto
immancabilmente a ermare la validità del contratto di vendita intervenuto tra le
parti ed accogliere la domanda di parte attrice appellante. Questo non è stato fatto.
La Corte d’appello non ha mai fatto riferimento ad una norma di legge cui abbia
fatto rifèrimento e decide la causa!».
4.1 Ti motivo è inammissibile, perché formulato in violazione dell’art.
366-bis cod. proc. civ. ratione temporis applicabile.
Il quesito, infatti, è generico, perché consiste nella mera
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avevano concordato nel definitivo un prezzo inferiore a quello

affermazione che, in presenza di tutti gli elementi costitutivi del
contratto ed in assenza di cause di invalidità dello stesso, il principio di
autonomia contrattuale delle parti imponeva il rispetto della volontà da
essi manifestata nel contratto definitivo. Va aggiunto che lo stesso
ricorrente assume che il venditore nel costituirsi aveva sollevato

sentenza ha ribadito la fondatezza di tale eccezione, affermando che
“emerge con ragionevole certezza che il prezzo della compravendita …
era stato pattuito dalle parti contraenti in 173 milioni di lire come
indicato nel preliminare”. Va ancora aggiunto, quanto alla prova della
simulazione del prezzo, che, se è vero che la stessa ex articolo 2722
codice civile non poteva essere fornita per testi o presunzioni o
ricavata da elementi indiziari (Cass. Sezioni unite n. 7246 del 2007),
l’inammissibilità di tale prova, non attenendo all’ordine pubblico ma
alla tutela di interessi privati, non poteva essere rilevata d’ufficio e non
è dedotto che la stessa è stata eccepita dalla parte interessata, entro il
termine previsto dall’articolo 157, secondo comma, cod. proc. civ.,
nella prima istanza o difesa successiva al suo configurarsi (Cass. n.
7765 del 2010).
5. Col secondo motivo di ricorso si deduce: «omessa-insufficiente
contraddittoria moh.vnione circa un punto decisivo della controversia prospettato
dalle parti e rilevabile d’ufficio ex articolo 360 cp.c• n. 5 c.p.c. in relnione all’art.
1414- 1417 codice civile».
La ricorrente, dopo aver precisato che mancava una
controdichiarazione ed una domanda dì simulazione (vedi
considerazioni nel motivo che precede), lamenta il disconoscimento in
base agli elementi raccolti che il prezzo di vendita dell’immobile era
stato ricontrattato a seguito degli abusi edilizi commessi dal venditore

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l’eccezione di simulazione del prezzo di vendita ai fini fiscali e che la

ed al minor valore dell’immobile conseguente all’impossibilità di
rilascio del certificato di abitabilità
5.1 — Il motivo è inammissibile per la mancanza del necessario
momento di sintesi richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. per i
motivi che deducano la censura ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. In ogni

caso il motivo è infondato, perché attinge una valutazione delle
acquisizioni processuali sufficientemente e logicamente motivata,
limitandosi a contrapporre a detta valutazione la possibilità di un
diverso apprezzamento di dette acquisizioni.
6. Col terzo motivo di ricorso si deduce: «violazione e falsa applicazione di
norme di diritto ex articolo 360 n. 2 c.p.c. in relazione agli articoli 1414 e
seguenti; 1417 codice civile».
La ricorrente assume che, ai fini del rigetto della domanda dell’attrice,
non era sufficiente un’eccezione di simulazione, ma occorreva la
formulazione di una domanda di simulazione, che non era stata
proposta e che, da un lato, la prova della simulazione non esisteva e,
dall’altro la domanda sarebbe stata prescritta.
6.1 Il motivo, ai limiti dell’ammissibilità quanto alla pertinenza del
quesito, è infondato. La stessa ricorrente assume che il venditore nel
costituirsi aveva sollevato una eccezione di simulazione del prezzo di
vendita ai fini fiscali e nessun impedimento sussiste a far valere in
giudizio la simulazione in termini di eccezione se diretta a perseguire il
solo fine di provocare il mero rigetto della domanda avversaria (vedi
Cass. n. 11232 del 1997). Per quanto attiene alla prova (o ai mezzi di
prova) della simulazione è sufficiente qui richiamare quanto esposto al
primo motivo. Per quanto alla prescrizione, la ricorrente non deduce di
avere formulato la relativa eccezione e in ogni caso il termine di
prescrizione dell’azione di simulazione relativa è decennale e non
quinquennale come prospettato (Cass. n. 14562 del 2004).
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Ne

7. Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di
giudizio, liquidate in 4.300,00 (quattromilatrecento) euro per compensi
e 200,00 (duecento) euro per spese, oltre accessori di legge.

L’apRE

IL PRESIIlTE

Così deciso in Roma, Camera di Consiglio dell’8 marzo 2013

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