Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15983 del 01/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/08/2016, (ud. 06/04/2016, dep. 01/08/2016), n.15983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6495-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.D., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza u. 6767/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/03/2010 r.g.n. 2174/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega verbale Avvocato FIORILLO

LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con sentenza n. 6767 del 29 settembre 2009 – 4 marzo 2010 la Corte di Appello di ROMA, in riforma (parziale) dell’impugnata pronuncia, emessa il 10 marzo 2005 dal locale giudice del lavoro (con il rigetto della domanda dell’attrice L.D., volta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro a tempo determinato, stipulato con decorrenza dal due al 31 gennaio 2002 ex art. 25 c.c.n.l. 11-01-2001, con conseguenti richiesta di conversione del contratto in rapporto a tempo indeterminato e condanna dell’appellata alla riammissione in servizio, nonchè al risarcimento del danno, contratto individuale peraltro seguito da uno successivo con decorrenza dal sette aprile sino al 30 giugno 2003 per esigenze sostitutive relative al personale addetto al recapito presso la filiale di (OMISSIS), e con diritto alla conservazione del posto), accoglieva per quanto di ragione la domanda, nei confronti della convenuta, POSTE ITALIANE S.p.a., limitatamente all’invalidità del termine finale, a decorrere dal primo aprile 2003, con la condanna altresì della società al pagamento delle retribuzioni maturate dal 19 marzo 2004, allorchè la ricorrente aveva posto a disposizione della società le proprie energie lavorative (commisurate all’ultima retribuzione percepita, spese compensate).

La Corte capitolina riteneva corretta la decisione di rigetto del Tribunale relativamente al primo contratto, ma diversamente opinava in merito al secondo, in base alla disciplina detta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ed alla stregua della direttiva comunitaria n. 1999/70/CE, poichè il contratto de quo era assolutamente generico nell’enunciazione della causale relativa all’apposizione del termine finale siccome ivi indicata. Peraltro, secondo la Corte territoriale, POSTE ITALIANE non aveva fornito idonea prova, il cui onere le incombeva, circa la correlazione tra le ragioni della stipulazione a termine, quale esposte nella scrittura de qua, e quelle sottese alla astratta negoziata ammissibilità della pattuizione stessa. Nè i mezzi istruttori articolati erano idonei a raggiungere lo scopo di spiegare le ragioni della necessità di apporre il termine di durata al rapporto in questione.

POSTE ITALIANE, quindi, ricorreva, per cassazione, con atto (di cui veniva chiesta la notifica in data due marzo 2011, all’ufficiale giudiziario, che quindi vi provvedeva come da relata del 10 marzo 2011), avverso la sentenza della Corte distrettuale, con due motivi, instando ad ogni modo anche per l’applicazione del c.d. jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32.

Ha resistito L.D. mediante controricorso notificato il sette – otto aprile 2011.

E’ stata depositata memoria ex art. 378 c.p.c. soltanto per la controricorrente.

Diritto

MOTIVI della DECISIONE

In via preliminare, va disattesa l’eccezione di asserita tardività del ricorso, dovendosi per contro rilevare che l’impugnata sentenza risulta pronunciata, a seguito di gravame interposto nell’anno 2006 (v. infatti il n. di r.g. 2174/06), il 29-09-2009, con pubblicazione poi avvenuta il 4 marzo 2010, mediante deposito in cancelleria, però mai notificata, sicchè nella specie vale il termine annuale (v. il testo dell’art. 327 c.p.c. nella specie ratione temporis applicabile in virtù del regime transitorio di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1. Orbene, l’anzidetto termine, c.d. lungo, è stato tempestivamente interrotto in data due marzo 2011, con la richiesta di notifica del ricorso de quo, sebbene poi avvenuta il 10 marzo 2011 (cfr. il ricorso agli atti unitamente alla relata ed alle altre annotazioni appostevi dall’ufficiale giudiziario procedente, nonchè Cass. Sez. 6 – 2, ordinanza n. 2320 – 01/02/2011: a seguito della sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale – secondo cui la notifica di un atto processuale si intende perfezionata, per il notificante, al momento della consegna del medesimo all’ufficiale giudiziario – la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione esige che la consegna della copia del ricorso per la notifica venga effettuata nel termine perentorio di legge e che l’eventuale tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non a responsabilità del notificante: Cass. Sez. un. civ. n. 7607 del 30/03/2010, secondo le quali a seguito della sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale la tempestività della proposizione del ricorso per cassazione esige che la consegna della copia del ricorso per la spedizione a mezzo posta venga effettuata nel termine perentorio di legge e che l’eventuale tardività della notifica possa essere addebitata esclusivamente a errori o all’inerzia dell’ufficiale giudiziario o dei suoi ausiliari, e non a responsabilità del notificante; pertanto, la data di consegna all’ufficiale giudiziario non può assumere rilievo ove l’atto in questione sia “ab origine” viziato da errore nell’indicazione dell’esatto indirizzo del destinatario, poichè tale indicazione è formalità che non sfugge alla disponibilità del notificante.

Cass. 1civ. n. 10693 del 10/05/2007: a seguito delle decisioni della Corte costituzionale n. 477 del 2002, nn. 28 e 97 del 2004 e 154 del 2005, ed in particolare dell’affermarsi del principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario, deve ritenersi che la notificazione si perfeziona nei confronti del notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, con la conseguenza che, ove tempestiva, quella consegna evita alla parte la decadenza correlata all’inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata: e ciò anche nell’ipotesi in cui l’atto sia stato tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica, ma questa non sia stata effettuata per mancato completamento della procedura notificatoria nella fase sottratta al potere d’impulso della parte. Conformi: n. 24702 del 2006, nonchè Sezioni unite n. 10216 del 2006. Cass. 5civ. n. 6547 del 12/03/2008: se la notifica dell’atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, non si perfeziona per cause non imputabili al notificante, questi non incorre in alcuna decadenza ove provveda con sollecita diligenza, da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza, a rinnovare la notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame; principio affermato dalla S.C. in una fattispecie in cui la prima notificazione non si era perfezionata. Conformi Sezioni unite n. 10216/06 cit.).

Inoltre, contrariamente alle osservazioni in proposito svolte da parte controricorrente, almeno il primo motivo di ricorso appare sufficientemente enunciato, ove peraltro rapportato pure al tenore -per certi versi invero astratto, poichè senza alcun riferimento a circostanze precise della sentenza impugnata, secondo cui, in particolare, relativamente al secondo contratto in parola il primo giudicante aveva ritenuto la clausola appositiva del termine conforme alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 avendo la società provato la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’apposizione del termine mediante la produzione degli accordi collettivi, ai quali aveva fatto riferimento lo stesso contratto individuale. Ebbene, la Corte capitolina riteneva che al – fine di conformarsi al dettato normativo occorra la specificazione, già nell’accordo scritto, delle ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che possano giustificare l’apposizione del termine. Di conseguenza, per assolvere all’onere di specificazione, ad avviso dei giudici dell’appello, è necessario che dalle ipotesi generali indicate dal legislatore, in via astratta nella prima parte della norma, si passi alla determinazione delle esigenze che nel caso concreto legittimano e motivano l’assunzione a termine, così da rendere controllabile da parte del giudice la sussistenza delle stesse…. Peraltro, l’anzidetta specificazione può avvenire anche per rinvio a fonti collettive che la contengano.

Qualora dette ragioni non siano state specificate (ovvero siano state insufficientemente o tautologicamente esplicitate) nel testo contrattuale, ne deriva la invalidità della clausola per carenza di un suo essenziale elemento di carattere formale.

Il contratto scritto nel caso di specie conteneva la sola enunciazione della causale dell’apposizione del termine, che non soddisfaceva però in alcun modo il requisito di specificità voluto dalla legge…. E ciò anche tenendo conto del riferimento agli accordi collettivi copiosamente richiamati nel contratto, che comunque non assolvevano al requisito di specificità, proprio dell’atto scritto dal quale direttamente le ragioni dell’assunzione a tempo determinato dovevano risultare; e riguardavano, secondo le stesse allegazioni della società, la procedura di mobilità da essa posta in essere e quindi una situazione che lungi dall’integrare sotto alcun profilo il paradigma di cui al cit. art. 1, comma 1 ne rappresentava piuttosto la negazione, esprimendo un surplus di personale da eliminare, ma non la necessità di nuove assunzioni a termine.

Orbene, appare fondato il primo motivo posto a sostegno del ricorso principale, per la parte in cui è stata denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 degli artt. 1362 c.c. e ss., in relazione al contratto individuale di cui è causa, stipulato ai sensi del citato decreto n. 368, per ragioni di carattere sostitutivo del personale inquadrato nell’area operativa e addetto al servizio recapito presso la filiale di (OMISSIS), assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo dal sette aprile al 30 giugno 2003. Peraltro, con lo stesso primo motivo la società ha lamentato, anche, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, contraddittoria e omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Pertanto, l’assunto della Corte distrettuale merito, secondo cui il contratto non avrebbe specificato la tipologia di assenze legittimante la sostituzione era del tutto inconferente, atteso che la motivazione era compatibile con quanto previsto in astratto dalla norma di legge, così da non consentire altro sindacato di merito in ordine alle enunciate esigenze sostitutive. Peraltro, anche l’ambito territoriale, cui le menzionate esigenze sostitutive risultava sufficientemente indicato.

Dunque, ad avviso della ricorrente, nella specie l’obbligo di specificità era stato assolto poichè nella lettera di assunzione erano stati precisati il luogo/ufficio di applicazione, la ragione sostitutiva dovuta all’assenza del personale, le mansioni cui veniva adibita l’attrice e la durata del contratto. Tali elementi consentivano di verificare il nesso di causalità tra l’assunzione a termine e l’esigenza sostitutiva posta a giustificazione della medesima.

Orbene, l’anzidetta preliminare, e assorbente, denuncia di violazione di legge appare fondata alla luce del testo normativo in questione (D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES. – Testo dell’art. 1, in vigore dal 24-102001 al 31-12-2007, nella specie ratione temporis applicabile, secondo cui “1. E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. 2. L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1. 3. Copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. 4. La scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni”. Articolo, peraltro successivamente abrogato dal D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 – con l’art. 55, comma 1, lett. b – fermo restando quanto disposto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 9, comma 28, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122).

Anche di recente questa Corte (sezione lavoro, sentenza n. 1246 del 5/11/2015 – 25/01/2016), ha affermato il principio, secondo cui in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, l’onere di specificazione è soddisfatto, nelle situazioni aziendali complesse, oltre che dall’enunciazione delle predette esigenze, dall’indicazione di elementi ulteriori, quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto, che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, e di verificare la sussistenza del prospettato presupposto di legittimità, tanto alla luce sia della sentenza della Corte cost. n. 107 del 2013, che ha rigettato la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 11 sia della sentenza della Corte di Giustizia UE del 24 giugno 2010, in C-98/09, che ha riconosciuto la compatibilità comunitaria della stessa normativa con la clausola 8.3 dell’accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE…Osserva il Collegio che, in base al principio più volte affermato da questa Corte, che va qui ribadito (v. in particolare, fra le altre, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576), “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro), che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità”.

In particolare, sulla scia di Cass. n. 1576/2010, questa Corte ha ripetutamente accolto i ricorsi della società avverso le sentenze di merito che, disattendendo il criterio di elasticità dettato da tale principio, avevano ritenuto non specifica la causale sostitutiva indicata in contratto (v. fra le altre, Cass. 17-1-2012 n. 565, Cass. 4-6-2012 n. 8966, Cass. 20-4-2012 n. 6216, Cass. 30-5-2012 n. 8647 e, con riguardo al Polo Corrispondenza Lombardia, Cass. 26-7-2012 n. 13239, Cass. 2-52011 n. 9602, Cass. 6-7-2011 n. 14868). In base allo stesso principio, d’altro canto, Cass. 1577/2010 ha confermato la decisione della Corte territoriale che aveva ritenuto esistente il requisito della specificità con l’indicazione nell’atto scritto della causale sostitutiva, del termine iniziale e finale del rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine, dell’inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire, e, quanto al riscontro fattuale del rispetto della ragione sostitutiva, ha ritenuto correttamente motivato, e come tale incensurabile, l’accertamento effettuato dal giudice di merito che, con riferimento all’ambito territoriale dell’ufficio interessato, aveva accertato il numero dei contratti a termine stipulati in ciascuno dei mesi di durata del contratto a termine, confrontandolo con il numero delle giornate di assenza per malattia, infortunio, ferie, etc. del personale a tempo indeterminato, pervenendo alla valutazione di congruità del numero dei contratti stipulati per esigenze sostitutive.

Nello stesso senso, questa Corte si è, poi, più volte pronunciata, rilevando che i giudici di merito correttamente avevano accertato il numero dei contratti a termine stipulati in ciascuno dei mesi di durata del contratto a termine e lo avevano confrontato con il numero delle giornate di assenza per malattia, infortunio, ferie, ecc. del personale a tempo indeterminato, ravvisando congruo il numero dei contratti stipulati per esigenze sostitutive (v., da ultimo, Cass. 15- 122011 n. 27052, Cass. 16-12-2012 n. 27217).

Non va, poi, sottaciuto, che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 107/2013 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, artt. 1 e 11 sollevate in relazione all’art. 3 Cost. e art. 77 Cost., comma 1, ed ha osservato che: anche nell’ordinamento previgente la regola dell’indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non era assoluta e inderogabile; il D.Lgs. n. 368 del 2001 ha introdotto una disciplina generale in materia di cause giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto di lavoro destinata a subentrare a quella risultante dalla combinazione della L. n. 230 del 1962, art. 1 con la L. n. 56 del 1987, art. 23, comma 1, mentre già quest’ultima disposizione, ammetteva che, per il tramite delle clausole della contrattazione collettiva, potessero essere stipulati contratti a tempo determinato per esigenze sostitutive senza la necessità d’indicare nel documento negoziale il nominativo del dipendente sostituito; cosicchè l’interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 come accreditata dalla Corte di Cassazione nel solco dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale, non segna una inversione di tendenza neppure rispetto alla disciplina precedente ed anzi si giustifica in quell’ottica di armonizzazione e coerenza sistematica cui risponde l’inserimento delle esigenze sostitutive nella nuova previsione generale delle ragioni a fronte delle quali il contratto di lavoro subordinato può essere stipulato a tempo determinato.

Va inoltre rimarcato che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, esprimendosi sulla compatibilità comunitaria della normativa in oggetto – sentenza del 24 giugno 2010, in causa C98/09 -, ha riaffermato il principio che anche il primo ed unico contratto a termine rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE e dell’accordo quadro ad essa allegato; correlativamente, la stessa Corte di Giustizia ha riconosciuto che un intervento del legislatore nazionale come quello in questione, ancorchè elimini l’obbligo datoriale d’indicare nei contratti a tempo determinato, conclusi per sostituire lavoratori assenti, il nome di tali lavoratori e i motivi della loro sostituzione e prescriva, in sua vece, la specificazione per iscritto delle ragioni del ricorso a siffatti contratti, non solo è possibile, ma neppure viola la clausola della direttiva n. 8.3., che vieta una riduzione del livello generale di tutela già goduto dai lavoratori.

Dal complesso del quadro normativo di riferimento come definito alla luce degli approdi giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo, può desumersi che, nel contratto di lavoro a termine D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1 la legittimità dell’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti è correlata all’indicazione di elementi ulteriori quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro che consentano di verificare la sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità.

… Non è infatti rilevante, ai fini qui considerati, la sussistenza o meno di titolarità della zona cui sia stato assegnato il personale per esigenze sostitutive – ciò rientrando nell’ambito delle prerogative garantite alla parte datoriale dall’art. 41 Cost. – ma la adeguata specificità della causale, corredata dagli indici innanzi enunciati, in quanto idonei a consentire una verifica delle effettività delle ragioni sottese alla apposizione del termine alla pattuizione negoziale de qua.

L’impugnata pronuncia non si è attenuta agli anzidetti principio di diritto, ritenendo soprattutto non sufficienti le indicazioni contenute neJW contratto individuale in parola, pretendendo anche specifiche indicazioni circa la esigenze sostitutive ivi menzionate.

Pertanto, la sentenza va cassata in relazione al primo e preliminare motivo del ricorso principale, risultando evidentemente assorbito il secondo, inerente all’aspetto risarcitorio del diritto azionato, di modo che la causa deve essere rimessa davanti al giudice di merito, anche ai fini del regolamento delle spese di questo giudizio, perchè si pronunci in ordine alle questioni di cui è processo – ovviamente nei limiti in cui risultino essere state ritualmente devolute al giudice di secondo grado con l’interposto gravame – adeguandosi però ai succitati principi.

PQM

la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo.

Cassa, in relazione al motivo accolto, l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2016

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