Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15981 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/07/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 27/07/2020), n.15981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12890-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.G. COSTRUZIONI SRL, oggi in liquidazione, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DELLA GIULIANA 82, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

RUSSO, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO FALLARINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10317/16/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 30/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/03/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

RITENUTO CHE:

S.G. Costruzioni s.r.l., oggi in liquidazione, impugnava il silenzio-rifiuto formatosi in relazione ad una richiesta di rimborso afferente un credito Iva per l’importo di Euro 56.642,49 riguardante l’annualità 2004 riportato nella dichiarazione Unica 2006.

La CTP di Benevento, con sentenza n. 1082/2016, riteneva fondata la pretesa di rimborso alla luce della decisione resa da altra CTP di Benevento n. 472/2014 sul ricorso proposto dalla medesima società avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS).

Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate proponeva appello che veniva rigettato con sentenza n. 10317/2018 della CTR della Campania.

Osservava il Giudice di appello che il diritto al rimborso doveva ritenersi assoggettato al termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, u.p., vertendosi in tema di dichiarazione contestata.

Rilevava che il predetto credito non può farsi valere fino a che non sia divenuto definitivo l’accertamento del rimborso cui accede e cioè sino al passaggio in giudicato della sentenza sulla condictio indebiti non essendo certo prima di questo momento se e in quale misura il credito sia dovuto, certezza che nella specie era conseguita all’esito della sentenza della CTR n. 2664/2015 depositata in data 173.2015 con la quale era stata confermata la sentenza della CTP che aveva rideterminato i redditi 2004 ai fini Ires, Iva ed Irap, ed era pertanto divenuto certo il credito Iva nella sua esistenza e nel suo ammontare. Avverso tale pronuncia l’Amministrazione finanziaria propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui resiste con controricorso, illustrato da memoria la società S.G. Costruzioni s.r.l., oggi in liquidazione.

Diritto

CONSIDERATO CHE:

Con l’unico articolato motivo l’Ufficio denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostiene il ricorrente che la decorrenza del termine per la presentazione dell’istanza di rimborso sarebbe iniziato a decorrere dalla sentenza della CTP n. 76/2010 e mai impugnata.

Sostiene infatti che detta sentenza, che costituiva l’esito del contenzioso instaurato dal contribuente sulla cartella esattoriale derivante dal controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, avrebbe costituito il presupposto per la restituzione perchè in essa sarebbe stato definito l’ammontare del credito interamente ricavabile dagli importi riportati in cartella.

Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla stessa indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 2018; conf. Cass. n. 20694 del 2018). Il ricorrente ha, dunque, l’onere (che nella specie non risulta esser stato assolto) di indicarne nel ricorso il contenuto rilevante, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (a pena di improcedibilità del ricorso) (Cass. n. 17168 del 2012).

Il ricorrente dunque deve indicare – mediante anche la trascrizione, ove occorra, di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e/o non valutata, o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012).

Nella specie, la ricorrente, pur facendo richiamo nel corpo del ricorso ad alcuni passaggi della sentenza della CTP n. 76/2010 di cui contesta la valutazione- di tale atto, non ha riportato il contenuto completo o quello necessario e sufficiente onde poterne riscontrare (nei limiti dell’apprezzamento riservato al giudice di merito) l’asserita portata.

Analoghe considerazioni vanno svolte con riferimento alla sentenza della CTR n. 2564/2015 su cui il giudice di appello ha fondato il suo convincimento.

Va altresì rilevato che, così come articolato, il motivo si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto, come emerse nel corso del procedimento e come argomentate dalla parte, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata.

In conclusione dichiarato inammissibile il ricorso l’Agenzia delle Entrate deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che si liquidano, in ragione delle tabelle ratione temporis applicabili in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 4500,00 oltre il 15% per spese generali, IVA e C.N.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

 

 

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