Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15980 del 01/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 01/08/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 01/08/2016), n.15980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DORONZO Adriano – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11349-2010 proposto da:

F.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato AMEDEO POMPONIO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANILO GHIA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29, PRESSO

L’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, LUIGI CALIULO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NOMOS SPA, già UNIRISCOSSIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 243/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/04/2009 R.G.N. 802/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

1- Con sentenza del 24 febbraio – 20 aprile 2009 la Corte d’Appello di Torino rigettava il gravame proposto da F.L. avverso la pronuncia del locale giudice del lavoro, che aveva, soltanto in parte accolto l’opposizione della stessa F. avverso la cartella esattoriale, confermata per il minor importo di Euro 8648,90 per contributi, sanzioni e interessi relativi all’attività, che si assumeva prestata dal coniuge dell’opponente, L.R., quale coadiutore della stessa in relazione all’attività di commerciante svolta.

Secondo la Corte torinese, era pacifico che il L. era stato iscritto sino al dicembre 2001 come coadiuvante ed era provato in base alle acquisite testimonianze che il predetto in due diverse occasioni a distanza di venti/trenta giorni l’una dall’altra era stato visto dagli ispettori presso il banco gestito dalla F.. Inoltre, la Corte distrettuale rilevava che l’opponente con le sue dichiarazioni aveva ammesso che l’attività svolta dal marito, prima del dicembre 2001, era sostanzialmente identica a quella espletata dopo tale epoca, allorchè non era stato più iscritto come coadiuvante. Inoltre, andava evidenziato che nelle due occasioni, in cui gli ispettori lo avevano visto al banco, la F. non era presente, pur essendo orario di mercato, sicchè evidentemente non poteva essere che il L. a servire i clienti nei momenti di assenza della moglie. Dunque, doveva ritenersi sufficientemente provata l’attività di coadiutore svolta dal L. anche dopo il dicembre 2001.

La Corte, inoltre, disattendeva le doglianze dell’opponente, siccome infondate, avendo il giudicante fatto legittimo uso dei suoi poteri istruttori di ufficio ex art. 421 c.p.c.. Nè erano decisive le deposizioni dei testi P. e D., trattandosi di colleghi della F., sicchè non potevano fornire utili dichiarazioni per i giorni della settimana in cui non svolgevano attività di lavoro come la F., mentre in base alle dichiarazioni dell’appellante il L. la coadiuvava soltanto due – o tre giorni alla settimana, elemento questo peraltro valorizzato dal giudice di primo grado, attesa la continuità della prestazione dello stesso L. nel tempo. Infine, veniva disattesa la doglianza dell’appellante, relativa all’eventuale necessità di scorporo della contribuzione dovuta dalla stessa opponente, a suo dire regolarmente corrisposta, trattandosi di domanda nuova, non proposta in primo grado, perciò non esaminabile. Avverso la decisione ricorreva per cassazione F.L., con atto notificato il 20 aprile 2010, affidato a tre motivi:

1-2) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittoria e insufficiente motivazione, nonchè violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 421 c.p.c. e art. 2697 c.c., ed ancora, nuovamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa o insufficiente motivazione circa l’acquisizione ex art. 421 citato della dichiarazione rese da essa ricorrente agli ispettori dell’I.N.P.S., documento che l’Istituto non aveva prodotto allorchè si era costituito in giudizio.

Dalle dichiarazioni degli ispettori dell’I.N.P.S. ( P. e D., non già colleghi della F.), non era affatto emerso che il coniuge si trovasse da solo al banco quando era stato da costoro visto. La F., invece, assumeva di essersi limitata a dichiarare agli ispettori che il marito l’accompagnava al mercato, l’aiutava a tirare giù l’ombrellone del banco e a controllare che non fossero commessi furti di merce collocata sul banco stesso (sono state riportate le dichiarazioni dei testi P. e D., però senza indicare la data della loro escussione). Nè rispondeva al vero la circostanza, secondo cui la F. avrebbe detto che il marito continuava a svolgere la medesima attività anche dopo il dicembre 2001 (cancellazione del L. al 31-12-2001 – accertamento ispettivo agosto 2004).

2 segue) VIOLAZIONE dell’art. 421 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e dell’art. 2697 c.c., poichè il documento era già nella diponibilità dell’INPS, che però non lo aveva prodotto al momento della sua costituzione in giudizio.

Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – omessa o insufficiente motivazione circa l’eccepita illegittimità dell’acquisizione ex art. 421 c.p.c. della dichiarazione resa dalla ricorrente medesima agli ispettori I.N.P.S. Quesito di diritto formulato ex art. 366 bis c.p.c.: “E’ legittima l’acquisizione ex affido da parte del giudice, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., di un documento ritenuto decisivo, già nella disponibilità della parte al momento della costituzione in giudizio, che la stessa ha omesso di produrre all’atto del deposito della comparsa costitutiva?”.

3) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 1, art. 345 c.p.c., avendo la Corte di Appello di Torino qualificato come nuova la domanda avanzata da essa ricorrente, volta a dichiarare insussistente la pretesa creditoria dell’I.N.P.S. relativamente la periodo 2002/2005 e falsa applicazione dei principi vigenti in materia di accertamenti ispettivi.

Quesito di diritto posto: “Proposta una domanda ìn forza di specifiche allegazioni e supportata da produzioni documentali, sulla quale il primo giudice ha disposto una specifica indagini istruttoria, la censura posta al modus argomentandi operata dal primo giudice nel respingere la domanda, all’esito della disposta istruttoria, può essere qualificata come domanda nuova, inammissibile ex art. 437 c.p.c., comma 1, e art. 345 c.p.c.?”.

L’I.N.P.S., anche quale mandatario S.C.C.I. S.p.a., ha resistito all’impugnazione avversaria mediante controricorso. Invece, EQUITALIA Nomos S.p.a. è rimasta intimata.

Previ avvisi di rito, in vista della pubblica udienza fissata all’otto marzo 2016, soltanto parte controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile in base alle seguenti considerazioni.

Infatti, a parte indubbi difetti di autosufficienza e di allegazione, rilevanti soprattutto ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nonchè art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, con le conseguenti sanzioni processuali ivi contemplate (il ricorso contiene in calce alle conclusioni ivi rassegnate un indice così sinteticamente formulato: “Si producono: 1) sentenza impugnata; 2) fascicolo di parte del giudizio di prime cure; 3) istanza di trasmissione del fascicolo di ufficio depositata alla Cancelleria della Corte d’Appello di Torino”), alla stregua dei menzionati motivi il ricorso è senz’altro inammissibile per violazione di quanto previsto in materia dall’art. 366 bis c.p.c., norma quest’ultima nella specie di sicuro ancora ratione temporis applicabile, visto che il ricorso de quo riguarda sentenza pubblicata, mediante deposito in cancelleria, il venti aprile 2009.

Ed invero, l’art. 366-bis c.p.c., in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e, per espressa previsione dell’art. 27, comma 2 D.Lgs. cit., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, avvenuta il 2 marzo 2006), è stato in seguito abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d). Tuttavia, per espressa previsione dell’art. 58, comma 5 L. cit.: “Le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”, avvenuta il 4 luglio 2009, di guisa che tale abrogazione non opera nella specie, con riferimento alla sentenza pubblicata il primo aprile, perciò ancor prima del 4 luglio 2009 (cfr. tra le altre Cass. n. 24597 del 19/11/2014, secondo cui l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “rationae temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata in vigore del menzionato decreto, e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47.

V. pure Cass. lav. n. 26364 del 16/12/2009: in tema di quesito di diritto, la L. n. 69 del 2009, art. 47 con il quale è stato abrogato l’art. 366-bis c.p.c., si applica, per effetto della disposizione transitoria contenuta nell’art. 58, comma 5 medesima legge, solo con riferimento alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore fella legge, dovendosi ritenere manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale di tale disposizione per contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto rientra nella discrezionalità del legislatore disciplinare nel tempo l’applicabilità delle disposizioni processuali e non appare irragionevole il mantenimento della pregressa disciplina per i ricorsi per cassazione promossi avverso provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in vigore della novella. Conforme, Cass. 3 civ. n. 15718 del 18/07/2011).

Orbene, il citato art. 366-bis, nella specie ancora applicabile, così testualmente stabilisce: “Nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo sì deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

Nel caso del ricorso per F.L., come già anticipato, gli anzidetti motivi riportano i succitati quesiti unicamente in relazione al punto 2.a circa la legittimità dell’acquisizione ex officio della dichiarazione resa dalla ricorrente agli Ispettore I.N.P.S. (pagine 13 – 14, ma nulla con riferimento al punto 2.b, di cui alle pagine 14/15, in ordine alla omessa o insufficiente motivazione circa la lamentata illegittima acquisizione del documento ex art. 421 c.p.c.), nonchè con riferimento al 3^ motivo, mediante il corrispondente quesito a pagina 19).

La giurisprudenza ha delineato la portata dell’art. 366-bis in vario modo. Così le Sezioni civili di questa Corte hanno ritenuto che il principio di diritto, che, ai sensi dell’art. 366 codice di rito la parte ha l’onere di formulare espressamente nel ricorso per cassazione a pena di inammissibilità, deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (Cass. sez. un. n. 20360 del 28/09/2007, conforme Cass. n. 16002 del 2007.

V. ancora Cass. sez. un. n. 19444 del 10/09/2009: il quesito di diritto va formulato anche quando la censura sia affidata ad un unico motivo, trattandosi di obbligo del tutto indipendente dal dato formale dell’unicità o pluralità di motivi, poichè in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 – bis c.p.c. consiste proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della corte di legittimità.

Cass. lav. n. 7197 del 25/03/2009: il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito, la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

Cass. sez. un. n. 5624 del 09/03/2009: in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione.

Cass. lav. n. 4556 del 25/02/2009: l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa. disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione – e formalità espressiva – va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “ditta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata, è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Cass. 3 civ. n. 4044 del 19/02/2009: il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto.

Cass. lav. n. 28280 del 26/11/2008: la formulazione del quesito di diritto prevista dall’art. 366 bis c.p.c. postula l’enunciazione, da parte del ricorrente, di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione assunta dal giudice di merito; ne consegue che non è ammissibile un motivo di ricorso che si concluda con un quesito non corrispondente al contenuto del motivo stesso. Conformi Sezioni unite n. 6530 del 2008.

Parimenti, secondo le Sezioni unite di questa Corte, di cui alla sentenza n. 27347 del 18/11/2008, è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 “bis” c.p.c., il motivo di ricorso attinente alla giurisdizione nel caso in cui il relativo quesito di diritto venga formulato in modo non pertinente rispetto alla fattispecie concreta sottoposta alla cognizione del giudice.

V. ancora Cass. sez. un. civ. n. 26020 del 30/10/2008: il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “reputa iuris” suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366-bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie).

inoltre, le Sezioni unite con la sentenza n. 23732 del 16/11/2007 reputavano necessaria, a pena di inammissibilità, la formulazione del quesito di diritto anche nei ricorsi per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non potendosi ritenersi sufficiente la possibilità che il quesito di diritto sia implicitamente desumibile dal motivo di ricorso, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., che ha introdotto, anche per l’ipotesi di ricorso in esame, il rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte (cfr. ancora Cass. sez. un. civ. n. 20603 in data 01/10/2007, secondo cui avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Conforme Cass. n. 16002/07 cit.).

Invero, poi, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo, ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass. V civ. n. 3530 del 07/03/2012.

V. altresì Cass. 1 civ. n. 24553 del 31/10/2013, secondo cui il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Di conseguenza, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione; tuttavia, allorchè sia formulato un mero “momento di sintesi” adeguato al vizio di cui al n. 5, il motivo è inammissibile, ove sia applicabile “ratione temporis” l’art. 366 bis c.p.c.. Conformi Cass. sez. un. civ. n. 17931/2013.

V. altresì Cass. 5 civ. n. 16345 del 28/06/2013: in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati. Conformi Cass. sez. un. civ. n. 5264 del 2009.

V. pure Cass. 3 civ. n. 12248 del 20/05/2013, secondo cui è inammissibile la congiunta proposizione di doglianze ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, salvo che non sia accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del quesito di diritto, nonchè, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice previsione di cui all’art. 366-bis c.p.c..

Cass. 5 civ. n. 10758 – 08/05/2013: il motivo di ricorso per cassazione, soggetto al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve in ogni caso concludersi con la formulazione di un quesito di diritto idoneo, cioè tale da integrare il punto di congiunzione tra l’enunciazione del principio giuridico generale richiamato e la soluzione del caso specifico, anche quando un “error in procedendo” sia dedotto in rapporto alla affermata violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendovi spazio, in base al testo dell’art. 366-bis c.p.c., per ipotizzare una distinzione tra i motivi d’impugnazione associati a vizi di attività a seconda che comportino, o meno, la soluzione di questioni interpretative di norme processuali. Conformi: Cass. n. 4329 del 2009 e n. 4146 del 2011. Inoltre, secondo Cass. sez. un. civ. n. 1707 del 24/01/2013, anche la prospettazione di una questione di costituzionalità, essendo funzionale alla cassazione della sentenza impugnata e postulando la prospettazione di un motivo che giustificherebbe tale effetto una volta accolta la questione medesima, suppone necessariamente che, a conclusione dell’esposizione del motivo così finalizzato, sia indicato il corrispondente quesito di diritto previsto dall’abrogato art. 366-bis c.p.c., ove applicabile “ratione temporis”, indipendentemente dalla rilevabilità d’ufficio della questione di costituzionalità e dall’ammissibilità del ricorso che prospetti soltanto un dubbio di costituzionalità. In senso conforme Cass. sez. un. n. 28050/2008.

Più in generale, le Sezioni unite civili di questa Corte, con altre successive di segno analogo, con la sentenza n. 3519 del 14/02/2008, hanno affermato che affinchè il quesito di diritto, di cui all’art. 366 “bis” c.p.c., abbia i requisiti idonei ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, è necessario, con riferimento al ricorso per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, che risulti individuata la discrasia tra la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che deve essere indicata, e il principio di diritto da porre a fondamento della decisione invocata, che deve essere enunciato, non essendo sufficiente che il ricorrente si limiti a prospettare genericamente la violazione dei limiti esterni della giurisdizione; e, con riferimento al ricorso per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che siano enunciati gli errori di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, richiamando le relative argomentazioni.

V. altresì Cass. 5 civ. n. 24255 del 18/11/2011, secondo cui è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito.

D’alto canto, secondo Cass. 5 civ. n. 24253 del 18/11/2011, è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto, pur prospettando il vizio di violazione di legge, non sia pertinente rispetto al motivo di censura in concreto rivolto alla sentenza, concernente invece doglianze riferite alla motivazione ed al valore probatorio attribuito agli elementi posti a base della decisione, in quanto non è consentito confondere i profili del vizio logico della motivazione e dell’errore di diritto.

Nel caso di specie, gli anzidetti quesiti (“E’ legittima l’acquisizione ex officio da parte del giudice, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., di un documento ritenuto decisivo, già nella disponibilità della parte al momento della costituzione in giudizio, che la stessa ha omesso di produrre all’atto del deposito della comparsa costitutiva ?”…. “Proposta una domanda in forza di specifiche legazioni e supportata da produzioni documentali, sulla quale il primo giudice ha disposto una specifica indagini istruttoria, la censura posta al modus argomentandi operata dal primo giudice nel respingere la domanda, all’esito della disposta istruttoria, può essere qualificata come domanda nuova, inammissibile ex art. 437 c.p.c., comma 1, e art. 345 c.p.c.?”) non soddisfano, evidentemente, le condizioni richieste dall’art. 366-bis c.p.c., nei sensi di cui alla ricordata giurisprudenza, e ad ogni modo per quanto censurato dalla ricorrente in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, manca del tutto il momento di sintesi, anch’esso richiesto dalla seconda parte dell’art. 366-bis cit. (cfr. Cass. 5 civ. n. 5858 – 08/03/2013, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto alla illustrazione del motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del ricorso stesso. Tale sintesi non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ma assume l’autonoma funzione, volta alla immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente. Conforme Cass. n. 8897 del 2008. Parimenti, secondo Cass. sez. un. civ. n. 20603 del 1/10/2007: in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Conforme Cass. n. 16002 del 2007.

V. ancora Cass. 5 civ. n. 24255 del 18/11/2011, secondo cui è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito.

Cfr. pure Cass. 3 civ. n. 27680 del 30/12/2009: è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 7, Cost. – relativa all’art. 366-bis c.p.c., nella parte in cui sancisce l’obbligo, a pena di inammissibilità, in ordine alla proposizione di ciascun motivo riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5, di indicare -in modo sintetico, evidente ed autonomo, secondo l’univoca interpretazione della S.C. – chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, poichè la suddetta norma di cui all’art. 366-bis, applicabile nella specie “ratione temporis”, come interpretata costantemente dalla stessa giurisprudenza di legittimità – non discrimina, in alcun modo, i cittadini, non lede il loro diritto di agire in giudizio e, infine, non impedisce il ricorso per cassazione).

Pertanto, alla luce di tali lacune e carenze, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della soccombente alle spese in favore della sola parte controricorrente, laddove la società, concessionaria del servizio di riscossione, è rimasta intimata, non avendo svolto alcuna attività difensiva in suo favore.

PQM

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso e condanna la ricorrente F. al rimborso delle relative spese, in favore di parte controricorrente, liquidandole in complessivi 3.600,00 (tremilaseicento/00) Euro, di cui 3500,00 per compensi professionali e 100,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali al 15%, nonchè accessori come per legge. NULLA per spese nei riguardi di EQUITALIA NOMOS S.p.a., rimasta intima.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2016

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