Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1598 del 27/01/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 1598 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso 26801-2007 proposto da:
TOBALDI IGINO, elettivamente domiciliato ex lege in
ROMA,

presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
APRILE EUGENIO in 39012 MERANO, CORSO LIBERIA’ 184/A,
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

NUOVA GESTIONE BAR GINO DI PERRI MARIA & C S.A.S.;
– intimata

avverso la sentenza n. 227/2006 della CORTE D’APPELLO

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Data pubblicazione: 27/01/2014

DI TRENTO SEZ.DIST.

DI BOLZANO,

depositata il

18/12/2006 R.G.N. 146/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/06/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
TRAVAGLINO;

Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

I FATTI

Nel dicembre del 2003

la s.a.s. Nuova gestione Bar Gino di

Perri Maria & co. convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di
Bolzano, il locatore Igino Tobaldi, chiedendone la condanna alla
restituzione della somma di 10.532 euro, come risultante dalla

dalla ricorrente a titolo di cauzione e quella corrispondente
agli ultimi 4 canoni di affitto dell’azienda, non versati
dall’attrice.
Il convenuto, nel costituirsi tardivamente in giudizio, contestò
la scadenza e lo scioglimento del contratto di affitto di
azienda, negando nel contempo di aver mai ricevuto dalla società
ricorrente la somma di 30 milioni di lire a titolo di cauzione.
Il giudice di primo grado accolse la domanda, ritenendo
raggiunta la prova del versamento, da parte della società
attrice, della somma da essa indicata nell’atto introduttivo
della lite.
La corte di appello di Trento, investita del gravame proposto
dal Tobaldi, lo rigettò.
Per la cassazione della sentenza della Corte altoatesina
quest’ultimo ha proposto ricorso illustrato da 5 motivi di
censura.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

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differenza tra quella di 30 milioni di lire in origine versata

Con il primo motivo,

si denuncia violazione e falsa applicazione

degli artt. 414, 416 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c. ed omessa motivazione al riguardo, in relazione all’art.
360 n. 5 c.p.c..
La censura, che introduce come

thema decidendum

una pretesa

il conduttore nel chiedere la restituzione della cauzione
(“senza indicarne un fondamento giuridico diverso dal naturale
termine dell’affitto”, si legge in ricorso, “mentre, all’udienza
di discussione, la

causa petendi”

sarebbe stata modificata

“attraverso l’indicazione nella anticipata risoluzione
del contratto di affitto il diritto alla restituzione
della cauzione”), è del tutto infondata, avendo la Corte
territoriale correttamente osservato, in proposito (folio 7
della sentenza impugnata) che la prova della risoluzione
consensuale della convenzione d’affitto fosse stata pienamente
quanto legittimamente raggiunta a seguito della “inaspettata
contestazione” del convenuto, tardivamente costituitosi, circa
l’avvenuto scioglimento del contratto.
Con il secondo

motivo,

si denuncia

violazione e

applicazione degli artt. 414, 416, 420, 447

bis c.p.c.,

falsa
2722

c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ed omessa motivazione
al riguardo, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c…
La censura – con la quale si lamenta un indebito ampliamento del
thema decidendum da parte del procuratore della ricorrente che,
all’udienza di comparizione, integrò la domanda con

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violazione del divieto di mutati° libelli in cui sarebbe incorso

produzione di un documento in relazione al quale fu poi chiesta
ed ammessa prova della consensuale risoluzione anticipata del
contratto di affitto – è corredata dai seguenti quesiti:
a) Il giudice può disporre l’ammissione d’ufficio di prove,
consentita dal secondo comma dell’art. 421 c.p.c. e dal terzo

prove si siano verificate decadenze o preclusioni?
b)La disposizione d’ufficio di prove nelle controversie locatizie
regolate dall’art. 447 bis c.p.c. può riguardare anche prove
fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, in particolare
contro il divieto dell’art. 2722 c.c. dedotto dalla controparte?
La censura, prima ancora che infondata nel merito – avendo il
giudice territoriale correttamente motivato in ordine alla
tardività delle eccezioni formulate dall’odierno ricorrente,
costituitosi tardivamente in prime cure, in ordine all’an e al
quantum debeatur

a titolo restitutorio – è inammissibile in

rito.
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso
tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del
tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla
sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia
(Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto 25e sia destinato a

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comma dell’art. 447 bis c.p.c., anche quando riguardo a dette

risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta
(quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di
stabilire se sia stata o meno violata o disapplicata o
erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il
quesito deve, di converso, investire

ex se

la

ratio decidendi

opposto destinata ad una soluzione che, pur trascendendo la
fattispecie concreta sottoposta all’esame del giudice di
legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione: le
stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente
specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve
ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod.
proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione
dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un
quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un
interrogativo circolare, che già presupponga la risposta senza
peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in
esame.
Tali appaiono, nella specie, i quesiti illustrati poc’anzi.
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass.
dapprima indichi in esso la

19892/09), che il ricorrente
fattispecie concreta, poi
tipico, infine formuli,

la rapporti ad uno schema normativo

in forma interrogativa e non (sia pur

implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si
chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)
l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si

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della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno

risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione
sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.
Quanto al tema del cd. “quesito multiplo”, quale quello di
specie, questa Corte ha più volte evidenziato come debba
ritenersi inammissibile il quesito

formulato in termini tali da

accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la
cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente
mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi
procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro
diversificate (Cass. 29 gennaio 2008, n. 1906; 29 febbraio 2008,
n. 5471; 23 giugno 2008, n. 17064). Ebbene, i quesiti formulati
dalla difesa ricorrente appartengono, incontrovertibilmente, a
tale species facti

(in senso ulteriormente specificativo, Cass.

14 giugno 2011, n. 12950, stabilisce che va qualificato come
quesito multiplo

quello che sia formulato in modo tale da

rendere necessaria una molteplicità di risposte da parte della
Corte, e tale altresì che le relative risposte risultino tra
loro differenziate),

onde l’impossibilità, per il collegio, di

applicare quella diversa (e condivisa) giurisprudenza (Cass. 31
agosto 2011, n. 17886) secondo la quale, specularmente, il
motivo di ricorso deve ritenersi ammissibile volta che il
ricorrente, pur avendo formulato

distinti e plurimi quesiti di

diritto corrispondenti alle diverse articolazioni di cui si
compone la censura mossa alla sentenza di merito, abbia pur
tuttavia denunciato la violazione di diverse norme di legge con

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richiedere una previa attività interpretativa della Corte, come

riferimento ad un’unica, eventualmente fondamentale questione di
diritto oggetto della richiesta decisione.
Quanto,

infine,

al denunciato vizio di motivazione,

va

rammentato come il tema della sintesi necessaria per il relativo
esame sia stato ancora affrontato dalle sezioni unite di questa

l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto
controverso” in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione: si è così affermato che la relativa
censura deve contenere

un momento di sintesi omologo del

quesito di diritto (cd. “quesito di fatto) – che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità.
Con 11 terzo motivo,

si denuncia violazione e falsa applicazione

degli artt. 414, 416 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c. ed omessa motivazione al riguardo, in relazione all’art.
360 n. 5 c.p.c..
La censura è corredata dai seguenti quesiti:
a) Se, nel termine di cinque giorni concesso, ai sensi del comma
VII dell’art. 420 c.p.c. per dedurre mezzi di prova alla parte,
sia consentito alla parte anche proporre opposizione
all’ammissione delle prove avversarie;

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Corte, che hanno all’uopo specificato (Cass. ss.uu. 20603/07)

b) Se, nell’ipotesi di risposta negativa al primo quesito, in
difetto della deduzione della tardività della detta opposizione,
essa possa essere rilevata d’ufficio dal giudice.
La censura, prima ancora che (anch’essa) infondata nel merito avendo la Corte territoriale correttamente rilevato

alle prove riguardanti la cauzione -, è inammissibile in rito,
per patente inammissibilità dei quesiti che la sorreggono, alla
luce dei principi poc’anzi esposti nell’esaminare il motivo che
precede.
Con il quarto motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione del secondo coma dell’art. 416 c.p.c. con
riferimento al secondo comma dell’art. 167 c.p.c. e agli artt.
157 e 205 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ed
omessa motivazione al riguardo, in relazione all’art. 360 n. 5
c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito:
Nel rito locatizio l’opposizione all’ammissione di prove
costituisce un’eccezione processuale, che, a norma dell’art. 416
c.p.c., deve essere a pena di decadenza proposta nella memoria
difensiva depositata dieci giorni prima dell’udienza di
discussione?
La censura è infondata.
La corte territoriale ha fatto buon governo dei principi
processuali che disciplinano la questione dell’osservanza dei
limiti della prova testimoniale,

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che costituisce

(Cass.

l’inammissibilità delle eccezioni di parte convenuta afferenti

10206/1991 tra le molte conformi) oggetto di eccezione in senso
proprio, come tale soggetta, nel rito del lavoro, al regime
decadenziale di cui all’art. 416 c.p.c., senza che il relativo
limite possa essere rimosso dal giudice nell’esercizio dei suoi
poteri istruttori di cui all’art. 421 stesso codice.

tardiva costituzione del convenuto nel giudizio di primo grado,
la sentenza impugnata si sottrae alle censure mossele con il
motivo in esame.
Con il quinto motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione degli artt. 2697, 1571 e 1608 c.c. in relazione
all’art. 360 n. 3 c.p.c. e omessa motivazione al riguardo, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c…
La censura è corredata dal seguente quesito:
Se incombe all’affittuario, per avere diritto alla restituzione
del deposito cauzionale, dare prova di avere pagato i canoni di
affitto che il locatore assume di non aver ricevuto.
IL motivo è inammissibile, prima ancora che per patente
inammissibilità del quesito che ne conclude l’esposizione, per
altrettanto evidente novità della questione sottoposta al vaglio
di questa Corte – questione della quale non v’è traccia alcuna
nella motivazione della sentenza impugnata senza che il
ricorrente, in spregio al principio di autosufficienza del
ricorso, indichi a questa Corte in quale fase del giudizio di
merito essa sarebbe stata tempestivamente sollevata
illegittimamente pretermessa.

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Non essendovi mai stata contestazione sulla circostanza della

Il ricorso va pertanto rigettato.
Sulla

disciplina delle spese, la Corte non ha necessità di

adottare alcun provvedimento, non avendo la parte intimata
svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.

Così deciso in Roma, li 19.6.2013

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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