Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15978 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 27/07/2020), n.15978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27256-2015 proposto da:

TRELLEBORG SEALING SOLUTIONS ITALIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA

D’ANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANROCCO FERRARO;

– ricorrente –

contro

N.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO FERRETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 267/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/05/2015 r.g.n. 352/2014.

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il consigliere relatore:

 

Fatto

RILEVA

che:

con sentenza del 16 ottobre 2013 il giudice del lavoro di Livorno, adito con ricorso del 24 aprile 2012 (previa impugnativa extragiudiziale di cui alla raccomandata a.r. del 5 dicembre 2011) dal sig. N.E. (già avviato al lavoro presso l’utilizzatrice TRELLEBORG SEALING SOLUTION Italia S.p.a. a seguito di contratto di somministrazione a tempo determinato fin dal 28 gennaio 2011), in parziale accoglimento della domanda, ritenuta la validità del contratto di somministrazione, ma la nullità, invece, del termine apposto al contratto del 31 marzo 2011, dichiarava la sussistenza tra le parti di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ordinando quindi la riammissione dell’attore nel posto di lavoro in precedenza occupato ovvero in altro equivalente e condannando la suddetta convenuta società TRELLEBORG al pagamento dell’indennizzo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 determinato in ragione di tre mensilità della retribuzione;

la società impugnava l’anzidetta pronuncia, per cui la Corte d’Appello di Firenze con sentenza n. 267 del 5 – 13 maggio 2015 rigettava l’interposto gravame, con la condanna dell’appellante al pagamento delle ulteriori spese di lite, ritenendo in sintesi: 1) l’applicabilità nella specie del differimento, fino al dicembre 2011, dell’operatività del termine di decadenza di cui al suddetto art. 32, eccepita dalla resistente, proroga prevista dal c.d. Decreto Milleproroghe D.L. n. 225 del 2010, ex art. 2, comma 54, convertito in L. n. 10 del 2011; 2) l’inapplicabilità del mutuo consenso risolutorio opposto da parte convenuta; 3) la nullità della clausola di apposizione del termine finale al contratto in data 31 marzo 2011, attesa la sua genericità, in violazione quindi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nella specie riferita ad esigenze di carattere tecnico, produttivo ed organizzativo consistenti nell’intensificazione temporanea dell’attività lavorativa, di entità tale da non poter essere evasa con i soli lavoratori stabilmente impiegati, giudicata indeterminata e quindi non adeguata a descrivere le specifiche esigenze di parte datoriale, che in quel determinato momento avevano indotto alla decisione di assumere il N.;

avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione TRELLEBORG SEALING SOLUTION ITALIA S.p.a., come da atto notificato a mezzo posta elettronica certificata il 10 novembre 2015 (v. anche notifica tramite servizio postale di cui alla spedizione in data 11/11/2015 – anche l’avviso di ricevimento pervenuto a destinazione il successivo giorno 16), affidato a due motivi, cui ha resistito il sig. N.E. mediante controricorso di cui alla posta elettronica certificata in data 19 dicembre 2015;

memoria difensiva ex art. 378 c.p.c. (rectius: 380-bis.1 – procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice, qui ratione temporis applicabile ex D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, art. 1-bis, comma 2) è stata depositata dalla ricorrente, laddove peraltro, quanto al primo motivo della propria impugnazione, la medesima ricorrente ha preso atto della sentenza n. 4913/14.03.2016, pronunciata nelle more del giudizio dalle Sezioni unite di questa Corte in ordine al contrasto giurisprudenziale formatosi circa l’ambito di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, con adesione alla tesi dell’estensibilità della menzionata proroga anche ai contratti a termine, nulla pertanto di dover aggiungere sul punto, insistendo comunque per l’accoglimento del ricorso (con riferimento, evidentemente, alla seconda censura ivi formulata).

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo parte ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 54 e della L. n. 604 del 1966, art. 6, commi 1 e 2, come modificati dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 per aver la Corte d’Appello ritenuto applicabile anche al suddetto contratto a tempo determinato il differimento al 31 dicembre 2011, di cui al succitato c.d. Decreto Milleproroghe, del termine di decadenza stragiudiziale di giorni 60;

con il secondo motivo, inoltre, la ricorrente ha lamentato ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per aver la Corte di merito ritenuto la nullità della succitata clausola di apposizione del termine finale apposto al contratto a tempo determinato di cui alla missiva della società datata 31 marzo 2011, intercorso con il sig. N. (dal 4 aprile al 4 giugno 2011, con successiva proroga al sei agosto 2011) per la opinata genericità della espressione “intensificazione temporanea dell’attività lavorativa, di entità tale da non poter essere evasa con i soli lavoratori stabilmente impiegati”, allo scopo richiamando a sostegno taluni precedenti giurisprudenziali in tema di picchi produttivi o di punte di più intea attività, riferibili anche alle punte di intensificazione dell’attività produttiva di carattere gestionale, ritenute sufficientemente esaustive ai fini del valido requisito formale occorrente come per legge. Peraltro, l’effettivo incremento dell’attività emergeva anche dalla documentazione all’uopo prodotta da parte convenuta, oltre che dalle risultanze della espletata prova testimoniale;

tanto premesso, va in primo luogo osservato come, nonostante l’anzidetta presa d’atto di cui alla surriferita memoria illustrativa, depositata in vista dell’adunanza del collegio in camera di consiglio fissata per il 12 novembre 2019, ad ogni modo la ricorrente non abbia rinunciato al primo motivo, nè tanto meno al ricorso, avendo anzi insistito per il suo accoglimento, sicchè anche la prima censura va esaminata nel merito e, di conseguenza, rigettata, dovendo confermarsi anche in questo specifico caso l’orientamento, ormai consolidato preso questa Corte (cfr. in part. Cass. sez. un. 4913 del 14/03/2016), secondo cui la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 sicchè, peraltro, con riguardo ai contratti a termine non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (v. in senso conforme Cass. sez. 6 – L, ordinanza n. 25103 del 14/12/2015. Cfr. altresì, analogamente, Cass. lav. n. 14406 del 10/07/2015 circa tutti gli ambiti di novità di cui al novellato L. n. 604 del 1966, art. 6 dunque, non solo riguardo all’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, con riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con modif. dalla L. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni);

deve, ugualmente, rigettarsi il secondo motivo, tenuto conto di quanto motivatamente apprezzato dalla Corte di merito a proposito della genericità della causale in base alla quale veniva motivato, nel contratto in data 31 marzo 2011, con decorrenza dal successivo 4 aprile, il ricorso al contratto a tempo determinato fino al 4 giugno 2011, termine finale in sede di proroga poi differito al sei agosto 2011, in quanto le espressioni adoperate risultavano prive dell’indefettibile requisito di specificità occorrente a norma del D.Lgs. n. 368 del 2001, nulla di preciso, sotto il profilo oggettivo, potendosi desumere dalla mera indicazione dell’intensificazione temporanea dell’attività lavorativa di entità tale da non potere essere soddisfatta con i soli lavoratori stabilmente impiegati, quindi in difetto di qualsiasi riferimento, ancorchè extratestuale e/o chiaramente connesso ad una particolare tipologia produttiva (cfr. tra le altre Cass. lav., sent. n. 10033 del 25/03 – 27/04/2010, secondo cui l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e l’utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto. In motivazione, in part., la succitata pronuncia 10033/10 così condivisibilmente si è espressa: “… 2.1 Deve, al riguardo, innanzi tutto ribadirsi, quale necessario punto di partenza per la soluzione dei problemi posti nel caso in esame, che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, (applicabile nella fattispecie ratione temporis) ha senz’altro confermato (per come già affermato da questa Suprema Corte con le sentenze n. 12985/2008 e 2279/2010), pur anteriormente alla novellazione operata dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, (“Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”), il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo, pur sempre, l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria rispetto al suddetto principio, anche in presenza di un sistema imperniato sulla previsione di una clausola generale (“ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo”), che ha sostituito il precedente assetto normativo, fondato prima su un elenco tassativo e tipico di ipotesi autorizzative, ai sensi della L. n. 230 del 1962, e successivamente sulla “delega” alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23. Il che porta ad escludere, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, che le esigenze ” di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (o, in altri termini, le esigenze aziendali) richiamate nella norma siano “sempre individuabili nel normale andamento dell’attività aziendale”, con la conseguenza che al datore di lavoro “non (sarebbe) più richiesto di motivare l’assunzione a termine fornendo una giustificazione diversa e ulteriore rispetto a quella che normalmente conduce all’assunzione”. Ed, in realtà, per poter ritenere che il contratto a termine ed il contratto a tempo indeterminato risultino pienamente sovrapponibili e fungibili nella funzionalità tipologica e giuridica, rendendo puramente nominale la configurazione del contratto a termine come contratto speciale, si dovrebbe dimostrare che tale esito risulti compatibile con la portata letterale della disposizione del D.Lgs. n. 368, art. 1, ed, ancor prima, che la norma risulti isolabile dal contesto comunitario, e cioè dai principi posti dalla direttiva 1999/70/Ce e dall’allegato accordo quadro e dall’interpretazione che degli stessi ha fornito il giudice comunitario, pur assumendo, nel caso, l’interpretazione “comunitaria” valenza anche costituzionale ex art. 76 Cost., per essere la delega al governo (L. n. 422 del 2000, art. 1) strumentale e limitata all’emanazione delle norme necessarie – a dare attuazione alla direttiva medesima. Sotto il primo aspetto, tuttavia, l’asserita “acausalità” del contratto a termine, pur nel nuovo quadro normativo, si pone in contrasto già con il tenore letterale stesso delle parole usate dal legislatore, che, per come ha già evidenziato questa Corte e lo stesso giudice delle leggi, ha inteso stabilire a carico del datore di lavoro un onere di puntuale specificazione delle ragioni che obiettivamente presiedono alla apposizione del termine, perseguendo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (così Corte Cost. n. 214/2009; Cass. n. 2279/2010). Ed, in realtà, la previsione di specifici presupposti economici ed organizzativi e la necessità di una espressa motivazione in ordine alle ragioni che presiedono all’apposizione del termine resterebbero un mero flatus vocis ove il datore di lavoro potesse discrezionalmente determinare le cause di apposizione del termine, a prescindere da una specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata ad attuare. L’adozione di un diverso punto di vista interpretativo imporrebbe, del resto, di dimostrare la sua idoneità a garantire, alla luce delle precisazioni progressivamente offerte dalla Corte di giustizia, il risultato imposto dal diritto comunitario, che, fermo restando la discrezionalità di ciascun Stato membro nell’elaborazione della norma equivalente di diritto, obbliga, quale che sia la misura in concreto adottata, a realizzare l’effettiva prevenzione dell’utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (così Corte giust. sentenza 23 aprile 2009, cause riunite da C – 378/07 a C – 380/07, Angelidaki e a., punti 80, 83,84, 94; sentenza 4 luglio 2006, causa C – 212/04, Adeneler e a., punto 101). In tal contesto, si è precisato che “la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della clausola 5, n. 1 lett. a) dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad essi inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro” (sentenza Angelidaki, punto 96; v. anche sentenza Adeneler e a., punti 69, 70; sentenza 13 settembre 2007, causa C – 307/2005, Del Cerro Alonso, punto 53).

Con la conseguenza, fra l’altro, che deve ritenersi incompatibile con le finalità della direttiva il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato solo sulla base di una disposizione generale, in assenza di alcuna relazione con il contenuto concreto dell’attività considerata, che non consentirebbe di stabilire criteri oggettivi e trasparenti, idonei a verificare se la clausola di durata corrisponda ad un’esigenza reale e sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e necessario a tale effetto (v. oltre alle già citate sentenze Adelener e a., punto 74, Del Cerro Alonso, punto 55, Angelidaki, punto 100, anche l’ordinanza 12 giugno 2008, causa C – 364/07, Vassilakis e a., punto 93), così come appare egualmente incompatibile con tali finalità che le esigenze cui rispondono i contratti a termine abbiano di fatto un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, “permanente e durevole” (così fra le altre la sentenza Angelidaki, punti 103 e 106). Ciò in quanto il principio, ora introdotto pure espressamente nel testo del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per cui “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato” (principio che è arduo concepire come una norma priva di “reale contenuto”) corrisponde, in realtà, con la premessa su cui si fonda l’accordo quadro stesso, vale a dire “che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, mentre i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività” e che, pertanto, il beneficio della stabilità dell’impiego deve essere inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori (così Corte giust. sentenza 22 novembre 2005, causa C – 144/04, Mangold, punto 64; sentenza Angelidaki, punto 104), laddove i contratti di lavoro a termine sono idonei a rappresentare sia le esigenze dei datori di lavoro che dei lavoratori “soltanto in alcune circostanze”. 2.2…. Nè a diverse conclusioni è possibile pervenire a seguito dell’integrazione apportata all’originario testo del D.Lgs. n. 368, art. 1, dalla L. n. 133 del 2008, art. 21, con la precisazione che la clausola di durata è apponibile anche quando le ragioni che ne costituiscono fondamento sono “riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”, dal momento che la norma vale ad escludere che l’apposizione del termine sia consentita solo in presenza di circostanze connotate da eccezionalità ed imprevedibilità, e non anche di ragioni riferibili all’ordinaria e fisiologia attività dell’impresa, fermo restando la necessità che queste ultime evidenzino esigenze aziendali, puntualmente specificate nel contratto di assunzione, che possono essere soddisfatte, sulla base di criteri di normalità tecnico – organizzativa, con il ricorso alla clausola di durata, piuttosto che con l’ordinario contratto di lavoro. 2.3 In tal contesto, rilievo centrale assume l’obbligo della motivazione dell’assunzione a termine, che, a differenza di quanto avveniva con la disciplina previgente, si estende anche all’individuazione ed espressa enunciazione delle relative ragioni giustificatrici, con la previsione di un onere probatorio a carico del datore di lavoro, che, per essere funzionale ad assicurare la trasparenza e veridicità dell’opzione contrattuale, non può risolversi in formule pleonastiche o puramente ripetitive degli enunciati legali e contrattuali.

Ciò, tuttavia, non esclude, per come ha già ritenuto questa Suprema Corte in analoga fattispecie (cfr. Cass. n. 2279/2010), che l’esplicitazione di tali ragioni possa risultare anche indirettamente dal contratto di lavoro, attraverso il riferimento ad altri testi scritti accessibili dalle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessità e la articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è a base della esigenza di assunzione a termine, questo risulti analizzato in specifici documenti, specie a contenuto concertativi, richiamati nella causale di assunzione….”.

V. ancora, parimenti, Cass. lav. n. 2680 – 11/02/2015, secondo cui in tema di assunzioni a termine, il datore di lavoro ha l’onere di specificare in apposito atto scritto, in modo circostanziato e puntuale, le ragioni oggettive, ossia le esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano l’apposizione del termine finale. Ne consegue che compete al giudice di merito accertare la sussistenza di dette ragioni, valutando ogni elemento idoneo a darne riscontro. Nella specie, veniva, quindi, cassata con rinvio la sentenza impugnata, che non aveva adeguatamente valutato, al fine di verificare la sussistenza della adeguata specificazione delle ragioni, gli accordi collettivi richiamati dai contratti individuali.

Peraltro, va ancora appena osservato come del tutto inconferente e incomprensibile risulti nel suddetto contratto in data 31 marzo 2011 il riferimento pure al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 10, comma 7, lett. c tenuto conto del testo di tale norma in vigore dal 133-2008 fino al 12-7-2011: “Art. 10 Esclusioni e discipline specifiche 1. Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto legislativo in quanto già disciplinati da specifiche normative: a) i contratti di lavoro temporaneo di cui alla L. 24 giugno 1997, n. 196, e successive modificazioni; b) i contratti di formazione e lavoro; c) i rapporti di apprendistato, nonchè le tipologie contrattuali legate a fenomeni di formazione attraverso il lavoro che, pur caratterizzate dall’apposizione di un termine, non costituiscono rapporti di lavoro….

7. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato stipulato ai sensi dell’art. 1, comma 1, è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Sono in ogni caso esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi; a)…; c) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi”);

pertanto, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della società soccombente al rimborso delle relative spese, con attribuzione all’avv. Massimiliano Ferretti, procuratore anticipatario, avendo soltanto costui sottoscritto il controricorso con relativa dichiarazione di fatta anticipazione;

atteso, infine, l’esito negativo dell’impugnazione de qua, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge, con attribuzione all’avv. Massimiliano Ferretti, procuratore anticipatario, costituito per il sig. N..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

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