Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15978 del 27/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 27/06/2017, (ud. 02/03/2017, dep.27/06/2017),  n. 15978

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1849-2016 proposto da:

SEA PLAIA S.R.L. – C.F. e P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DELLE BELLE ARTI 6 presso lo studio dell’avvocato ANDREA

PALAZZOLO che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2651/17/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI PALERMO – SEZIONE DISTACCATA DI CATANIA, depositata il

17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 2651/17/2015, depositata il 17 giugno 2015, la Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania – rigettò l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate dalla Sea Plaia S.r.l. avverso la sentenza di primo grado resa tra le parti dalla CTP di Ragusa, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente, esercente attività alberghiera, avverso avviso di accertamento che aveva accertato, in base a studio di settore, un maggior imponibile per l’anno 2004, con conseguenti maggiori imposte per IRES, IVA ed IRAP, irrogazione di sanzioni ed applicazione d’interessi sui maggiori importi dovuti.

Avverso la pronuncia della CTR la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, invocando in ogni caso, con riferimento alle sanzioni, lo ius supeveniens più favorevole.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione dell’art. 53 Cost, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, e della L. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo che l’Ufficio avrebbe, nella motivazione dell’avviso di accertamento fondato su studio di settore, totalmente omesso di valutare i chiarimenti offerti dalla contribuente idonei a far rilevare l’inapplicabilità dei dati statistici dallo stesso desumibili alla situazione concreta della contribuente con riferimento all’anno oggetto dell’accertamento in esame.

Con il secondo motivo la ricorrente, sotto altro profilo, formula analoga doglianza per “omessa valutazione di un fatto decisivo della controversia”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il primo motivo è manifestamente infondato, laddove parte ricorrente prospetta il vizio della sentenza per non aver considerato l’accertamento basato su studi di settore nullo per violazione del contraddittorio, confermando, in parte qua, la stessa società in ricorso di essere stata previamente invitata a far valere le proprie osservazioni in ordine alle risultanze emergenti dall’accertamento fondato su studi di settore.

Lo stesso motivo risulta invece inammissibile per difetto di autosufficienza, allorchè riporta l’ambito effettivo della doglianza di cui sopra al fatto che l’avviso di accertamento non abbia tenuto in alcun conto le giustificazioni addotte dalla contribuente in sede di contraddittorio. Dovendo, infatti, propriamente detta censura ricondursi, in generale, alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, oltre che, specificamente, in relazione alle imposte dirette, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e, quanto all’IVA, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione al dedotto mancato rilievo, da parte della sentenza impugnata, del difetto di motivazione dell’atto impositivo, era onere di parte ricorrente di riprodurre il contenuto dell’atto impositivo (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14676; Cass. sez. 5, 17 ottobre 2014, n. 22003; Cass. sez. 5, 19 aprile 2013, n. 9536), al fine di porre la Corte in condizione di esercitare compiutamente il sindacato richiesto.

Non avendo la ricorrente ottemperato a detto onere, la doglianza risulta riguardo a tale profilo inammissibile.

Analoghe ragioni possono essere esposte in relazione al secondo motivo, strettamente connesso al primo, non senza rilevare un ulteriore profilo d’inammissibilità della censura, rilevandosi dall’impugnata pronuncia che l’accertamento di fatto compiuto dal giudice tributario d’appello si esprime in doppia conforme a quello espresso dalla CTP, nel valutare inidonea a superare l’accertamento presuntivo la sola circostanza di fatto della vicinanza dell’insediamento alberghiero ad un’azienda agricola dalla quale si diffondono odori sgradevoli (cfr., in proposito, Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053).

Ciò nonostante, la Corte, nel pronunciare sul ricorso della contribuente, ne deve accogliere l’istanza, in esso formulata, di applicazione, con riferimento all’irrogazione delle sanzioni di cui all’avviso di accertamento impugnato, del trattamento più favorevole di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, normativa sopravvenuta alla pronuncia in esame, la cui applicabilità in pendenza del presente giudizio, è consentita dall’art. 32, comma 1 del citato decreto, come modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 133, in conformità all’indirizzo di questa Corte, secondo cui, in applicazione del principio del favor rei, trova applicazione il trattamento più favorevole assicurato dallo ius superveniens, a condizione che, come nella fattispecie in esame, vi sia un giudizio ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia quindi divenuto definitivo (cfr. Cass. sez. 5, 21 dicembre 2016, n. 26479; Cass. sez. 5, 9 agosto 2016, n. 16679; Cass. sez. 5, 24 luglio 2013, n. 17972; Cass. sez. 5, 31 marzo 2008, n. 8243). Rispetto a ditto orientamento il precedente indicato in senso contrario nella proposta del relatore (Cass. sez. 5, 7 ottobre 2016, n. 20141), secondo cui non sarebbe all’uopo sufficiente la mera deduzione in sede di legittimità dello ius superveniens, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, ad imporre la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, appare minoritario e non idoneo a restringere con adeguato supporto l’ambito di applicazione del principio del favor rei.

Nei termini sopra indicati il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, con riferimento all’irrogazione delle sanzioni e rinvio alla CTR della Sicilia – sezione staccata di Catania – in diversa composizione, per l’applicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole derivante dall’entrata in vigore, in pendenza del giudizio, del D.Lgs. n. 158 del 2016.

PQM

 

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa e rinvia alla CTR della Sicilia – sezione staccata di Catania – in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2017

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