Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15978 del 09/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 09/06/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 09/06/2021), n.15978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6977-2014 proposto da:

P.S., DOLCIDEE DI V.G. E C SAS,

V.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati MARIA SONIA VULCANO, NATALE

MANGANO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 152/2013 della COMM.TRIB.REG. del Piemonte,

depositata il 17/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MELE;

Per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale del Piemonte n. 152/36/13 depositata il 17.9.2013, non

notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12 novembre 2020 dal relatore, cons. Francesco Mele.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Dolcidee di V.G. & C s.a.s., V.G. in proprio e P.S., nella loro qualità di soci, proponevano ricorso avverso avviso di accertamento – nascente da PVC redatto da funzionari dell’Agenzia delle Entrate – avente ad oggetto omessi ricavi e costi non inerenti per l’anno di imposta 2007 afferenti Irap, Iva ed Irpef (quest’ultima con riguardo alle persone fisiche dei soci, V. al 90% e P. al 10%).

L’adita Commissione Tributaria Provinciale di Torino – nel contraddittorio tra le parti, essendosi l’Ufficio costituito in giudizio – pronunciava sentenza con cui rigettava il ricorso sul rilievo della sussistenza di adeguata motivazione rinvenibile all’interno dell’atto impositivo, preceduto altresì da PVC recante l’analitica esposizione delle irregolarità fiscali successivamente contestate, potendosi dal predetto atto evincere “…sia i costi ritenuti non deducibili che le ragioni poste a fondamento della decisione adottata dall’ufficio….i costi esclusi dall’Agenzia hanno ad oggetto un’autovettura di grossa cilindrata – Maserati coupè – che l’Ufficio ha ritenuto come bene non rientrante nella categoria di quelli strumentali all’attività commerciale….l’ufficio applicando il metodo induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) ha operato un’analisi analitica dei singoli componenti dichiarati dalla società, provvedendo a rettificare le voci che sono risultate non coerenti. L’accertamento analitico, assolutamente legittimo, si è reso necessario per carenze nella tenuta della contabilità della contribuente accertate dall’Agenzia…”.

Avverso tale sentenza i contribuenti proponevano appello, per resistere al quale si costituiva l’Agenzia delle Entrate.

Con la sentenza sopra menzionata la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza i contribuenti propongono ricorso affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso si compone di sei motivi che recano: 1) “Nullità della sentenza impugnata per l’omessa considerazione delle censure esposte dall’appellante per la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. n. 212 del 2000, art. 7 nel giudizio concluso con la sentenza stessa, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4”; 2) “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 164 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”; 3) “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”; 4) “Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 5) “Violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. in materia di prova presuntiva, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”; 6) “Motivazione insufficiente, inadeguata ed erronea circa un punto essenziale della controversia, ovverosia la destinazione del caffè consumato e delle quote di ricarico, alle quali è ricorsa l’Agenzia per determinare i maggiori ricavi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Con il primo motivo parte ricorrente si duole che la CTR non abbia colto la carente ed insufficiente motivazione della sentenza pronunciata dai primi giudici.

A parte un difetto di specificità del profilo in esame che si esaurisce nella trascrizione di tutta la parte dell’appello di interesse seguita dalla censura in questione, il collegio rileva la infondatezza dello stesso, dal momento che il richiamo alle motivazioni – condivise dalla CTR – contenute nella sentenza di primo grado e riportate nella parte iniziale della presente decisione soddisfa l’esigenza motivazionale segnalata da parte ricorrente. Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione della legge ivi indicata dal momento che essa “non pone limiti di deducibilità con riferimento alla cilindrata dell’auto”, come erroneamente ritenuto dalla CTP, nè che il veicolo utilizzato doveva essere tale da potere essere definito come bene strumentale necessario al processo produttivo, come affermato nella sentenza impugnata.

Il motivo non è fondato.

Invero, il D.P.R. n. 917 del 1986, all’art. 164, nel testo applicabile ratione temporis richiama il D.P.R. n. 285 del 1992, art. 54 secondo cui il costo dell’auto è deducibile a condizione che il veicolo rientri tra quelli indicati alla lett. a) ovvero alla lett. m) di quest’ultimo articolo, in cui non pare possa ricomprendersi la vettura in parola, che, per le caratteristiche proprie come evidenziato dalla CTR – non può essere adibita al trasporto dei prodotti venduti dalla società.

Con il terzo motivo i ricorrenti riproducono la censura di cui alla prima doglianza, sotto l’aspetto del difetto di motivazione – ancorchè la censura venga formulata con dichiarato riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il motivo è inammissibile – oltre che infondato – per le ragioni esposte a commento del primo mezzo, perchè nel vigente testo del n. 5 non è denunciabile il vizio motivazionale, se non limitatamente alla esistenza ovvero alla intrinseca coerenza della stessa.

Con la quarta censura i ricorrenti lamentano che le presunzioni su cui si basa l’atto impositivo consisterebbero in un semplice calcolo aritmetico e sarebbero quindi prive dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c..

L’argomento è proposto per la prima volta nella presente sede e quindi va giudicato come inammissibile il relativo motivo.

Parimenti inammissibile perchè proposto per la prima volta nella odierna sede è il quinto motivo a tenore del quale la CTR avrebbe dovuto affermare la illegittimità dell’accertamento per essersi l’Ufficio sottratto all’onere della prova su di esso gravante.

– L’ultimo motivo è pure inammissibile perchè attiene alla valutazione della prova, che non spetta alla Corte ma al giudice del merito, risolvendosi le deduzioni in esso contenute in una critica dell’apprezzamento di merito che non può trovare ingresso nel giudizio per cassazione.

– Conclusivamente il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese che liquida in Euro 6.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2021

 

 

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