Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15977 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 27/07/2020), n.15977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25939/2015 proposto da:

C.R., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIANCARLO DAMIANO;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3286/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/05/2015 r.g.n. 4886/2011.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

che:

con separati ricorsi, successivamente riuniti, proposti nei confronti di Z.R. (quale titolare della omonima ditta) e della s.r.l. Z.R. Couture, l’attrice C.R. chiedeva al giudice del lavoro di (OMISSIS) di accertare la sussistenza un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la stessa ricorrente e Z.R. dal 5 dicembre 2003 al 31 dicembre 2007 in qualità di commessa addetta alle vendite e alla riscossione con il quinto livello del c.c.n.l. del settore commercio e di conseguenza la condanna della convenuta al pagamento di Euro 44.419,78 per differenze retributive oltre accessori, nonchè accertarsi che dal 2 gennaio al 28 giugno 2008 la stessa aveva intrattenuto rapporto di lavoro, avente le medesime caratteristiche del precedente, alle dipendenze della (OMISSIS), con la condanna altresì di quest’ultima al pagamento della somma di Euro 5735,95. Instaurato il contraddittorio nei confronti delle convenute, queste si costituivano in giudizio, resistendo alle pretese avversarie e contestando altresì la dedotta subordinazione. Il giudice adito, espletata prova per testi ed acquisita la documentazione prodotta dalle parti, accoglieva le domande con la condanna di “parte resistente” al pagamento della somma complessiva di Euro 50.155,00 oltre accessori e spese di lite. Avverso la relativa pronuncia, pubblicata il 17 maggio 2011, proponeva tempestivo appello la società (OMISSIS) s.r.l., cui resisteva C.R., mentre non si costituiva Z.R.;

espletato sub procedimento relativo alla richiesta di sospensiva della gravata sentenza (nel corso del quale la appellante società corrispondeva alla C. banco judicis e salvo ripetizione all’esito dell’impugnazione, la somma di Euro 5735,95), la Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 3236 in data 14 aprile – sei maggio 2015, in parziale accoglimento dell’interposto gravame, condannava la S.r.l. (OMISSIS) al pagamento, in favore della C., della somma di 5735,95 Euro, nonchè Z.R. al pagamento, sempre a favore dell’attrice, di 44.419,78 Euro, oltre accessori, per le causali di cui al ricorso introduttivo del giudizio, confermando nel resto l’impugnata pronuncia e dichiarando compensate tra le parti le spese relative al secondo grado del giudizio. Secondo la Corte distrettuale, risultava fondato il primo motivo d’appello, con il quale era stata lamentata l’erroneità della gravata pronuncia, per aver indebitamente unificato le parti convenute di cui ai separati ricorsi introduttivi dei due giudizi, poi riuniti, che non contenevano alcun elemento di fatto o di diritto, da cui fosse possibile desumere la prospettazione di un trasferimento d’azienda. Anzi, la netta formale distinzione e l’autonomia degli accertamenti nonchè delle condanne oggetto delle domande imponevano di ritenere l’estraneità, nelle due fattispecie, della seppure vaga prospettazione di una qualsiasi ipotesi di cessione d’azienda ex art. 2112 c.c.. Di conseguenza, era inibito di 1^ grado d’appello esaminare le questioni poste dall’appellata al fine di sostenere la validità della condanna solidale pronunciata dal giudice adito, attesa la novità delle relative deduzioni, però non consentita in sede di gravame. Peraltro, la convenuta Z.R. non aveva impugnato la condanna che l’aveva investita, donde il passaggio in giudicato nei suoi confronti della sentenza di primo grado, che aveva affermato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la quantificazione, inoltre, dei crediti della lavoratrice nella misura di 44.419,78 Euro, oltre accessori. Per contro, il secondo motivo d’appello, riferito al rapporto di lavoro da gennaio a giugno 2008, per cui erano state accertate differenze retributive a favore dell’attrice in ragione di 5735,95 Euro, veniva disatteso dalla Corte partenopea, attesa in particolare la genericità della doglianza. Parimenti, veniva rigettato il terzo motivo d’appello concernente il regolamento delle spese di primo grado;

avverso la succitata sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la sig.ra C.R., come da atto di cui alla richiesta di notifica all’ufficiale giudiziario in data 26 ottobre 2015, affidato a quattro motivi, contro (OMISSIS) s.r.l., che è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

in via preliminare è del tutto processualmente irrilevante, ai fini di questo giudizio, la missiva qui pervenuta tramite posta elettronica certificata in data 11 maggio 2017, con la quale l’avv. Maria Pia Del Vecchio da Benevento, quale curatrice del fallimento n. (OMISSIS), ha comunicato, ai sensi della L. Fall., art. 43 e art. 300 c.p.c., l’intervenuto fallimento della (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore p.t., con sede in (OMISSIS), come da pure acclusa sentenza del Tribunale di Benevento in data 16/18 febbraio 2016. Ed invero, a parte l’irritualità di una comunicazione pervenuta da parte non costituita in giudizio, ad ogni modo l’intervenuta modifica della L. Fall., art. 43, per effetto del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41, laddove stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Cass. I civ. n. 27143 del 15/11/2017, conforme Cass. lav. n. 21153 del 13/10/2010, sez. 5 n. 14786 del 5/07/2011, sez. lav. n. 8685 del 31/05/2012, sez. 5 n. 17450 del 17/07/2013);

ciò premesso, il primo motivo di ricorso denuncia la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., anche per l’omessa valutazione sugli elementi di continuità aziendale presenti nel giudizio di primo grado, dovendosi invece aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere e all’effettiva volontà della parte, attraverso l’esame complessivo dell’atto, pure alla luce della documentazione allegata ed ivi allegata, nonchè al contenuto dei mezzi istruttori;

con il secondo motivo la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per la violazione dell’art. 97 c.p.c., sussistendo la solidarietà in quanto presunta in base all’art. 1294 c.c., laddove inoltre il suddetto art. 97, contempla l’interesse comune delle parti, non necessariamente indivisibile e sostanziale, potendo esso consistere anche in un identico interesse personale al provvedimento del giudice, avuto riguardo all’identità delle questioni sollevate e discusse ed alla convergenza degli atteggiamenti difensivi – principi e criteri tutti perfettamente riscontrati nel caso in esame;

con il terzo motivo la sentenza qui impugnata viene censurata per la violazione dell’art. 437 c.p.c., in quanto se per le argomentazioni di cui al primo punto del ricorso non potevano considerarsi nuove le motivazioni addotte nella comparsa di costituzione del nuovo difensore, parimenti non potevano considerarsi inammissibili i documenti ad essa allegati. Infatti, l’indispensabilità richiesta ex art. 437 c.p.c., con riferimento all’incolpevole inerzia del richiedente e all’esigenza d’integrare un quadro probatorio già delineato, era evidentemente soddisfatta dall’integrazione prodotta nel giudizio d’appello, tenuto conto che i documenti allegati erano tutti successivi al giudizio di primo grado. Inoltre, tali elementi si inserivano, completandolo, nel quadro probatorio già in esso risultante. Infatti, se era già rinvenibile una chiara continuazione nell’esercizio dell’impresa, tra la ditta individuale Z.R. e la S.r.L. (OMISSIS), dalle nuove allegazioni emergeva che l’attività era proseguita sotto la gestione diretta e non dichiarata della sig.ra Z.R.;

infine, con il quarto motivo è stata lamentata l’omessa motivazione circa la configurabilità di un litisconsorzio unitario tra la ditta individuale Z.R. e la S.r.l. (OMISSIS), tenuto conto delle ragioni della riunione, che il giudice di primo grado aveva correttamente indicato nella connessione soggettiva ed oggettiva dei procedimenti, criterio forte configurante una terza specie di litisconsorzio, collocabile a metà strada tra quello necessario e quello facoltativo, per cui, secondo la ricorrente, le parti dovrebbero essere assoggettate ad un trattamento uniforme e la decisione dovrebbe essere formalmente e sostanzialmente unica, con conseguente superamento del rilievo operato dalla Corte distrettuale, secondo cui la C. aveva prospettato le sue richieste d’accertamento in modo del tutto separato nei confronti della ditta individuale per il periodo dicembre 2003/dicembre 2007 e nei riguardi della s.r.l. relativamente al primo semestre dell’anno 2008;

tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese in base alle seguenti ragioni; invero, del tutto correttamente la Corte di merito ha rilevato l’autonomia delle due pretese creditorie azionate dalla sig.ra C. con i separati ricorsi introduttivi dei giudizi, di cui uno riferito alla ditta individuale facente capo alla sig.ra Z.R., persona fisica, per il periodo 5 dicembre 2003/31 dicembre 2007 in ordine a differenze retributive vantate per la complessiva somma di 44.419,78 Euro oltre accessori, e l’altro relativo alla s.r.l. Z.R. Couture per il periodo due gennaio/28 giugno 2008, limitatamente all’importo di 5735,95 Euro, sicchè, non essendo stata prospettata alcuna ipotesi di trasferimento aziendale, rilevante ai sensi dell’art. 2112 c.c., tale da poter giustificare una responsabilità solidale della cessionaria per i crediti maturati dalla lavoratrice nei confronti della cedente al tempo del trasferimento, ne derivava evidentemente il vizio di ultrapetizione in cui era incorsa la gravata pronuncia per la condanna di “parte resistente” al pagamento della somma pari al totale dei due importi richiesti dall’attrice a ciascuna delle parti convenute (costituitesi, infatti, con separate memorie difensive nei due distinti procedimenti, ancorchè di identico tenore – come sul punto riferito nello stesso ricorso per cassazione a pag. 5, laddove inoltre si accenna anche alla loro riunione, disposta dal primo giudicante, in data 6 ottobre 2009, per connessione soggettiva e oggettiva), dunque in palese violazione dei principi di cui all’art. 112 c.p.c.;

in effetti la mera connessione (parzialmente oggettiva e soggettiva, rilevante ex art. 274 c.p.c. e art. 151, delle relative norme di attuazione, specialmente per le controversie in materia di lavoro e di previdenza) non può, evidentemente, comportare l’individuazione sostanziale, officio judicis, dei due diversi soggetti convenuti in una sola parte, nè tantomeno delle distinte pretese azionate in una sola domanda, in assenza di circostanziate deduzioni di parte tali da poter consentire una diversa qualificazione delle domande, ancorchè separatamente proposte, in termini di obbligazione solidale ex art. 1294 c.c., ovvero in alternativa di litisconsorzio necessario sostanziale ex art. 102 c.p.c., tanto più nel caso di specie in cui le due azioni risultavano distintamente esperite contro due soggetti diversi, dotati di proprie autonome soggettività, come la persona fisica della sig.ra Z., sebbene quale titolare della omonima ditta, e la s.r.l., società di capitali, titolare invece di autonoma personalità giuridica con relativa separazione patrimoniale perfetta rispetto ai titolari delle relative quote (cfr. tra l’altro Cass. I civ. n. 17938 – 08/09/2005 con riferimento alla perfetta autonomia patrimoniale inerente alla personalità giuridica della società, comportante la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci, dalla quale derivano l’esclusiva imputazione alla società stessa dell’attività svolta in suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali passive, mentre gli effetti negativi sull’interesse economico del socio – riduzione del valore della quota e compromissione della redditività dell’investimento – costituiscono mero riflesso di detto pregiudizio.

V. poi Cass. III civ. n. 19373 del 3/8/2017, secondo cui nel litisconsorzio facoltativo improprio le cause riunite conservano la loro autonoma individualità, senza che si verifichi alcuna fusione degli elementi di giudizio e delle prove acquisite nell’una o nell’altra. Parimenti, secondo Cass. V civ. n. 18649 del 13/07/2018, la riunione di procedimenti non fa venir meno l’autonomia delle cause riunite nello stesso processo; pertanto, poichè le vicende processuali proprie di uno soltanto dei procedimenti riuniti non rilevano in ordine all’altro, o agli altri procedimenti, l’inammissibilità dell’appello proposto riguardo ad uno dei processi riuniti, a causa della mancata ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio, non ha alcun effetto per l’altro appello, tempestivamente notificato: “…8.1. La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo condiviso, ritiene che il procedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni (Cass. n. 15954 del 2006; Cass. n. 24026 del 2010). Ne consegue che la declaratoria di inammissibilità di una determinata domanda giudiziale non si estende anche alle domande che sotto il profilo del “petitum” e della “causa petendi” siano connesse, le quali vanno, pertanto, esaminate nel merito. Va, infatti, ribadito il principio secondo cui: “La riunione di procedimenti non fa venire meno l’autonomia delle cause riunite nello stesso processo; pertanto, poichè le vicende processuali proprie di uno soltanto dei procedimenti riuniti non rilevano in ordine all’altro, o agli altri procedimenti, l’inammissibilità dell’appello proposto riguardo ad uno dei processi riuniti, a causa della mancata ottemperanza all’ordine di integrazione del contraddittorio, non ha alcun effetto nell’altro appello, tempestivamente notificato “(Cass. n. 2133 del 2006)….”.

Ed analogamente, secondo Cass. I civ. n. 15860 del 10/07/2014, il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni. Ne consegue che la congiunta trattazione lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise, mentre la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione a ciascun giudizio, atteso che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza, non potendo essere coinvolti in quest’ultima soggetti che non sono parti in causa. Conforme Cass. n. 15954 del 2006.

V. ancora Cass. lav. n. 19937 del 6/10/2004: nell’ipotesi di domanda proposta, sia pure con un medesimo atto, da diversi lavoratori nei confronti del medesimo datore di lavoro – c.d. litisconsorzio facoltativo improprio, pur nell’identità delle questioni, permane l’autonomia dei rispettivi titoli e dei rapporti, con la conseguenza che le cause, per loro natura scindibili, restano distinte, con una propria individualità rispetto ai legittimi contraddittori, e con l’ulteriore conseguenza che la sentenza che le definisce, sebbene formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite, le quali conservano la propria autonomia ai fini delle successive impugnazioni; ne consegue che queste ultime possono svolgersi separatamente le une dalle altre, senza che la tempestiva impugnazione proposta da alcune soltanto delle parti coinvolga la posizione delle parti non impugnanti o determini la necessità di integrazione del contraddittorio nei loro confronti. In senso analogo anche Cass. H civ. n. 11386 del 13/05/2013. Id. n. 24086 del 26/11/2010, secondo cui la riunione di più cause originariamente separate, in ragione della connessione di “petitum” e “causa petendi” propri di ciascuna di esse o della identità delle questioni da trattare, non comporta il venir meno dell’autonomia dei singoli giudizi e dei rispettivi titoli, di modo che la sentenza che li definisce, pur se formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite);

vanno pertanto respinti i due primi motivi, tra loro connessi e riferiti alla pretesa falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., error in procedendo peraltro nemmeno ritualmente denunciato ex art. 360 c.p.c., n. 4, univocamente in termini di nullità, laddove d’altro canto la parziale riproduzione degli atti processuali e della documentazione menzionati alle pagine da 13 a 15 del ricorso de quo appare del tutto insufficiente, ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, per poter desumere la pretesa continuità aziendale già dedotta in primo grado, ma che non sarebbe stata debitamente valutata dalla Corte di merito. Invero, la sentenza qui impugnata evidenziava espressamente come l’oggetto dei due ricorsi introduttivi non contenesse in alcun modo elementi di fatto e di diritto dai quali fosse possibile trarre il convincimento che la lavoratrice avesse prospettato la sussistenza di un trasferimento d’azienda, anzi contraddetto proprio dalla netta separata instaurazione (peraltro contestuale) dei due contenziosi, donde la ritenuta estraneità della seppur vaga prospettazione di una qualsiasi ipotesi di cessione d’azienda ex art. 2112 c.c., a parte, evidentemente, la pacifica diversità dei due soggetti di diritto evocati in giudizio;

assolutamente inconferente, poi, si appalesa la pur ipotizzata violazione dell’art. 97 c.p.c., norma quest’ultima chiaramente non pertinente in ordine all’asserita solidarietà, siccome relativa al solo regolamento delle spese processuali per l’ipotesi di più soccombenti, ciò che non implica affatto la necessaria sussistenza di obbligazione in solido, sotto il profilo sostanziale, ai sensi degli artt. 1292 c.c. e segg. (cfr. del resto anche Cass. II civ. n. 17281 del 12/08/2011, secondo cui la condanna solidale al pagamento delle spese processuali nei confronti di più parti soccombenti può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui vi sia una comunanza di interessi la cui sussistenza, ai fini della ripartizione delle spese o della condanna solidale, non può che essere apprezzata dal giudice di merito con una valutazione non censurabile in sede di legittimità – principio enunciato in riferimento a due cause autonome riunite per connessione. Conforme Cass. 24757 del 2007. V. parimenti Cass. III civ. n. 27562 del 20/12/2011: ai sensi dell’art. 97 c.p.c., al fine della condanna in solido di più soccombenti alle spese di giudizio, il requisito dell’interesse comune non postula la loro qualità di parti in un rapporto sostanziale indivisibile o solidale, ma può anche discendere da una mera convergenza di atteggiamenti difensivi rispetto alle questioni oggetto di causa, ovvero da identità di interesse personale con riguardo al provvedimento richiesto al giudice. Conforme Cass. sez. un. civ. n. 1536 del 12/02/1987);

le precedenti considerazioni assorbono, evidentemente, anche il terzo motivo circa la pretesa violazione dell’art. 437 c.p.c., atteso peraltro non solo il già menzionato difetto di autosufficienza, unitamente per giunta all’irritualità della denuncia di un error in procedendo – per cui ad ogni modo l’accesso diretto agli atti da parte del giudice di legittimità pure nell’ipotesi di vizio rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 4, resta subordinato al rigoroso rispetto delle formalità prescritte dall’art. 366 c.p.c., comma 1) – comunque non dedotto univocamente in termini di nullità, ma avuto altresì riguardo alla rilevata carenza di compiute allegazioni, segnatamente ex art. 366, n. 6 cit., circa la sussistenza di elementi di continuità aziendale desumibili dagli atti dei giudizi di primo grado. Peraltro, va pure richiamato il principio, ribadito da Cass. lav. n. 17176 del 29/07/2014, secondo cui nel c.d. rito del lavoro, la disciplina della fase introduttiva del giudizio – e a maggior ragione quella del giudizio d’appello – risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., non sono ammesse domande nuove, nè modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al “petitum” che alla “causa petendi”, neppure nell’ipotesi di accettazione del contraddittorio ad opera della controparte, e non è, pertanto, consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, anche quando il bene richiesto rimanga immutato, essendo nella fase di appello precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantitative) che comportino anche solo una “emendatio libellì, permessa solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge (conforme Cass. n. 15886 del 2002. V. parimenti Cass. lav. n. 1743 del 6/3/1990, secondo cui nel rito del lavoro non è consentito in appello il mutamento della causa petendi della domanda originaria, ancorchè esso non involga una trasformazione obiettiva del contenuto intrinseco della domanda stessa, essendo in detta fase precluse anche modifiche – salvo quelle meramente quantitative – che comportino non una mutatio ma solo una emendatio libelli, la quale è permessa solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e nella ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge ex art. 420 c.p.c.. Cfr. inoltre Cass. lav. n. 12764 del 17/12/1997: nel rito del lavoro esiste la preclusione in appello della domanda nuova e diversa da quella fatta valere in primo grado allorquando la “causa petendi” dedotta, essendo fondata su elementi e circostanze non prospettate in precedenza, importi il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato in giudizio ed introduca nel processo un nuovo tema di indagine che alteri l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia. Il divieto dello “ius novorum” è rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, essendo contrario ai principi ispiratori dell’anzidetto rito speciale l’ammissibilità in appello di domande ed eccezioni la cui proposizione sarebbe già stata preclusa in primo grado ai sensi dell’art. 416 c.p.c.. Nè la tardività della nuova domanda può essere sanata dall’accettazione del contraddittorio sulla medesima ad opera della controparte come nel rito ordinario. In senso conforme Cass. nn. 1506, 6720 e 9874 del 1995);

inammissibile risulta, altresì, il quarto motivo di ricorso circa la omessa motivazione del c.d. litisconsorzio unitario tra le due convenute, atteso che dal complesso delle argomentazioni svolte dalla Corte di merito non emerge, evidentemente, la violazione del c.d. minimo costituzionale occorrente a norma dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., n. 4, la cui inosservanza quindi è denunciabile esclusivamente mediante rituale allegazione del corrispondente error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, comunque univocamente in termini di nullità, ciò che non emerge dalle tesi sostenute da parte ricorrente alle pagine 19 e 20 c.p.c.. Per altro verso, si rimanda a quanto in precedenza osservato circa la persistente autonomia delle due domande, separatamente proposte dall’attrice, ancorchè poi riunite, sotto il profilo processuale e sostanziale, donde l’assoluta irrilevanza dell’asserito litisconsorzio unitario, questione peraltro espressamente presa in considerazione dalla Corte distrettuale, che tuttavia la giudicava, al pari delle altre sollevata dall’appellata, inammissibile, siccome dedotta per la prima volta in secondo grado;

pertanto, il ricorso va respinto, tuttavia senza alcun provvedimento in tema di spese, essendo rimasta ad ogni modo intimata la società (OMISSIS) S.r.l., nei sensi sopra precisati;

sussistono, però, i presupposti di legge in ordine al versamento dell’ulteriore contributo unificato, atteso l’esito completamente negativo dell’impugnazione qui proposta.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

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