Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15973 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 27/07/2020), n.15973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13927/2014 proposto da:

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

degli avvocati ROBERTO PESSI e FRANCESCO GIAMMARIA, che la

rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, DE ROSE EMANUELE, CARLA

D’ALOISIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 305/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/06/2013 R.G.N. 7127/2009.

 

Fatto

RILEVATO

che:

l’Inps impugnò innanzi alla Corte d’appello di Roma la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in accoglimento dell’opposizione proposta dalla Banca di Roma s.p.a., aveva annullato la cartella esattoriale notificata il 20.4.2007 per intervenuta prescrizione in relazione al recupero, da parte dell’istituto di previdenza, degli sgravi ottenuti dalla società bancaria per la stipula di contratti di formazione e lavoro nel periodo novembre 1995 – maggio 2001;

la Corte adita (sentenza del 7.6.2013) accolse parzialmente il gravame, annullando l’opposta cartella e dichiarando la nullità della domanda volta alla condanna al pagamento delle somme aggiuntive;

la Corte territoriale spiegò, per quel che qui interessa, che la prescrizione applicabile in materia di recupero di somme concesse per aiuti di Stato risultati illegittimi per effetto della decisione 2000/128/CE della Commissione Europea dell’11.5.1999, era quella decennale e che il credito contributivo azionato dall’Inps non si era prescritto, avendo l’istituto interrotto il relativo termine, decorrente dalla data di notificazione della predetta decisione allo Stato Italiano, con la lettera pervenuta alla banca il 14.1.2005;

inoltre, la stessa Corte escluse che nella fattispecie potesse trovare applicazione il principio di legittimo affidamento invocato dalla banca appellante in ordine all’asserita legittimità degli sgravi fruiti, non avendo la medesima dedotto alcunchè in merito alla sussistenza di circostanze eccezionali sulle quali fondare il legittimo affidamento circa la regolarità dell’aiuto di Stato e la possibilità di opporsi al suo recupero;

per la cassazione della sentenza ricorre la società bancaria UNICREDIT s.p.a. con quattro motivi, cui resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 87 e 88 del Trattato CE, art. 14 del Regolamento n. 659/1999 del Consiglio delle Comunità Europee, artt. 2933 c.c. e segg. e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 (art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la contraddittorietà del ragionamento della Corte d’appello che, dapprima, ha ritenuto inapplicabile alla fattispecie la normativa nazionale della prescrizione per affermare, poi, che la normativa nazionale ostacolerebbe l’esecuzione della decisione della Commissione Europea;

2. ritiene, al contrario, la ricorrente che nella specie il termine prescrizionale di cinque anni, di cui alla L. n. 335 del 1995, sia congruo e certamente ragionevole, secondo la definizione fornita dalla Corte di Giustizia in diverse pronunzie, come tale idoneo a garantire adeguatamente il principio di effettività del diritto comunitario;

3. col secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 87 e 88 del Trattato CE, art. 14 del Regolamento n. 659/1999 del Consiglio delle Comunità Europee, artt. 2933 c.c. e segg. e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 (art. 360 c.p.c., n. 3), contestando il fatto che la Corte territoriale, pur avendo ritenuto inapplicabile il regime della prescrizione, ha affermato che, comunque, non potrebbe applicarsi il termine di prescrizione quinquennale, in quanto la pretesa dell’Inps non potrebbe essere ricondotta nella categoria delle obbligazioni contributive, mentre la stessa rientrerebbe nell’azione volta a porre rimedio alla violazione del diritto comunitario attraverso il ripristino della situazione di parità fra imprese concorrenti, con conseguente applicazione del termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c.;

4. in tal modo, secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe confuso il piano dei rapporti tra Comunità Europea e Stati membri con quello dei rapporti tra singolo Stato e contribuente, finendo per escludere erroneamente l’applicabilità della prescrizione quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, in materia di omissione contributiva, che invece, ove considerata, avrebbe comportato nella fattispecie l’estinzione di tutte le pretese avversarie;

5. i primi due motivi, che per ragioni di evidente connessione possono essere esaminati congiuntamene, sono infondati per le seguenti ragioni: – Questa Corte (Cass. sez. lav. n. 6671 del 3.5.2012) ha già statuito che “Agli effetti del recupero degli sgravi contributivi integranti aiuti di Stato incompatibili col mercato comune (nella specie, sgravi per le assunzioni con contratto di formazione e lavoro, giudicati illegali con decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999), vale il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italiana della decisione comunitaria di recupero, atteso che, ai sensi degli artt. 14 e 15 del regolamento (CE) n. 659/1999, come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria, le procedure di recupero sono disciplinate dal diritto nazionale ex art. 14 cit., nel rispetto del principio di equivalenza fra le discipline, comunitaria e interna, nonchè del principio di effettività del rimedio, mentre il “periodo limite” decennale ex art. 15 cit. riguarda l’esercizio dei poteri della Commissione circa la verifica di compatibilità dell’aiuto e l’eventuale decisione di recupero. Nè si può ritenere che si applichi il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c., perchè lo sgravio contributivo opera come riduzione dell’entità dell’obbligazione contributiva, sicchè l’ente previdenziale, che agisce per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non agisce in ripetizione di indebito oggettivo. Nè, infine, è applicabile il termine di prescrizione quinquennale della L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10, poichè questa disposizione riguarda le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale, mentre l’incompatibilità comunitaria può riguardare qualsiasi tipo di aiuto, senza che si possa fare ricorso all’applicazione analogica della norma speciale, in quanto la previsione dell’art. 2946 c.c., esclude la sussistenza di una lacuna normativa” (in senso conforme sull’applicabilità della prescrizione decennale e sulla sua decorrenza dalla notifica della decisione della Commissione allo Stato membro, essendo solo da quel momento l’aiuto erogato qualificabile come illegale. V, anche Cass. Sez. 5, sentenza n. 15207 del 12.9.2012);

6. nella stessa sentenza di questa Corte n. 6671/2012 (confermata anche da Ord. sez. 6-Lav. n. 16581/2013 e n. 2555/2016) si è affermato che il dies a quo della decorrenza della prescrizione non può essere collocato in data anteriore a quella di notifica alla Repubblica Italiana (4.6.1999) della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999 che, sancendo l’incompatibilità con il mercato comune – nei limiti indicati – degli sgravi configuranti aiuti di Stato ha imposto l’azione diretta al loro recupero;

7. si è, altresì, precisato (Cass. Sez. Lav. n. 6756 del 4.5.2012) che “In tema di sgravi contributivi illegittimi, in quanto costituenti aiuti di Stato vietati dalla Commissione Europea, l’azione dell’ente previdenziale volta al recupero degli sgravi non costituisce azione di restituzione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., ma azione volta al pagamento della contribuzione differenziale, pari alla misura dell’aiuto di Stato recuperabile. Ne consegue che tale azione – alla cui proposizione è legittimato direttamente l’ente istituzionalmente deputato alla riscossione dei contributi – è soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c. e non a quello previsto per l’indebito, nè a quello della L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10, attesa l’autonomia giuridica dell’azione di recupero degli aiuti in questione (che è disciplinata da regole specifiche, è finalizzata al mero ripristino dello “status quo ante” e che prevede – a differenza dell’azione volta al pagamento dei contributi omessi l’applicazione di interessi nella misura stabilita dalla Commissione e non anche delle sanzioni specifiche previste per l’omissione contributiva)”;

8. quindi, correttamente la Corte capitolina, una volta ritenuta l’applicabilità al caso di specie del termine decennale di prescrizione ed individuata quale data di decorrenza quella di notificazione allo Stato Italiano della decisione 200/128/CE adottata l’11.5.1999, ha tratto la conclusione che i crediti azionati dall’Inps non si erano prescritti, avendo l’istituto interrotto il relativo termine con la lettera inviata alla banca e a questa pervenuta (per sua stessa ammissione) il 14 gennaio 2005;

9. col terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del principio del legittimo affidamento, dell’art. 88 del Trattato CE, degli artt. 21 quinquies e nonies della L. n. 241 del 1990 (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5), contestando, con riferimento all’eccezione di legittimo affidamento sollevata dalla Banca di Roma in entrambi i gradi del giudizio di merito, il fatto che la Corte territoriale abbia affermato che la Commissione aveva informato i potenziali beneficiari degli aiuti di Stato della precarietà di questi ultimi;

10. in pratica, secondo la ricorrente, la sentenza sarebbe errata per le seguenti ragioni: – Anzitutto, per il fatto di condizionare l’applicazione dell’istituto del legittimo affidamento alla regolarità procedurale dell’originario aiuto di Stato; inoltre, per il fatto di omettere la valutazione dell’elemento temporale rappresentato dal decorso del tempo tra la data di emanazione della legge sugli sgravi contributivi di cui trattasi e quella in cui l’Inps aveva avanzato, per la prima volta, la richiesta di pagamento dei contributi non versati; infine, per il fatto di ritenere esistenti nel caso di specie gli elementi di certezza dell’illegittimità degli sgravi, in epoca anteriore alla suddetta decisione dell’11.5.1999;

11. col quarto motivo, attraverso il quale si deducono i vizi di nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4), oltre che dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si censura la sentenza nella parte in cui si afferma, sempre a proposito del dedotto legittimo affidamento, che l’istituto di credito appellato avrebbe argomentato solo in punto di esistenza di una normativa vigente nel periodo interessato che lo abilitava a richiedere gli aiuti di Stato di cui trattasi;

12. al contrario, secondo l’assunto difensivo dell’odierna ricorrente, la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso l’esame e la valutazione delle ampie argomentazioni svolte in entrambi i gradi di giudizio a sostegno dell’invocata applicazione dell’istituto del cosiddetto legittimo affidamento, quali la lunga durata del periodo di vigenza della norma sulla quale si fondava lo sgravio, senza intervento alcuno da parte della Comunità Europea, l’inesistenza di direttive e normative Europee che, prima della decisione dell’11.5.1999, definissero in maniera difforme dalla legge italiana le condizioni per la legittima stipula dei contratti di formazione e lavoro e la mancata pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’avvertimento specifico di cui all’art. 93, paragrafo 3 (informativa del carattere precario dell’aiuto di Stato);

13. il terzo ed il quarto motivo, che per ragioni di intima connessione possono esaminarsi congiuntamente, denotano profili di infondatezza e di inammissibilità per le seguenti ragioni:- Anzitutto, non sussiste la lamentata omessa motivazione, avendo la Corte d’appello chiaramente spiegato le ragioni che l’hanno indotta a respingere il relativo motivo, così come rappresentate, tra l’altro, dalla stessa ricorrente; infatti, si legge nell’impugnata sentenza che data la natura imperativa dell’azione amministrativa ex art. 88 del Trattato CE (ora art. 108 T.F.U.E.), la situazione di legittimo affidamento può essere invocata dal privato in sede nazionale solo se l’aiuto in questione sia stato regolarmente erogato nel rispetto delle norme processuali del Trattato e ciò in quanto si ritiene che costituisca dovere di un operatore economico diligente l’essere normalmente in grado di verificare se la procedura suddetta sia stata rispettata o meno; nella fattispecie la società opponente si era limitata ad evidenziare che gli sgravi oggetto di recupero da parte dell’Inps erano stati legittimamente fruiti in virtù di un’espressa normativa vigente in materia nel periodo interessato, senza nulla dedurre in merito alla sussistenza di quelle ragioni eccezionali che sole avrebbero potuto impedire la restituzione dell’aiuto di Stato;

14. inoltre, tale conclusione è in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte essendosi già affermato (Cass. Sez. Lav. n. 6756 del 4.5.2012) che “In tema di recupero di aiuti di Stato, in ragione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione Europea ai sensi dell’art. 88 TCE, le imprese beneficiarie di un aiuto non possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell’aiuto ove lo stesso sia stato concesso senza il rispetto della procedura o prima della sua regolare conclusione, nè possono invocare a sostegno di tale affidamento l’eventuale incertezza degli orientamenti comunitari in materia (nella specie, di aiuti all’occupazione), dovendosi altresì considerare irrilevanti sia l’esistenza di eventuali disposizioni legislative nazionali che disciplinato gli aiuti, poi giudicati illegittimi, sia eventuali pronunce dei giudici nazionali, ivi inclusa la Corte costituzionale, in quanto la valutazione di compatibilità degli aiuti con il mercato comune di portata comunitaria è di spettanza esclusiva della Commissione”;

15. si è, altresì, chiarito (Cass. Sez. Lav. n. 13479 del 30.6.2016) che “In tema di recupero di aiuti di Stato, pur in presenza nell’ordinamento italiano di norme istitutive di esenzioni analoghe a quelle ritenute contrastanti con il diritto comunitario e nella conseguente difficoltà di comprendere quali in concreto possano costituire aiuti di stato illegittimi, le imprese che ne siano beneficiarie non possono fare legittimo affidamento sulla loro fruizione ove gli stessi siano stati concessi senza previa notifica alla Commissione, rientrando nella diligenza dell’operatore economico accertare che la procedura prevista per il controllo di regolarità degli aiuti da parte della Commissione sia stata rispettata”;

16. da ultimo si è ribadito (Cass. Sez. 1, sent. n. 4860 del 19.2.2019) che “Le imprese beneficiarie di un aiuto di Stato possono fare legittimo affidamento sulla sua regolarità solo quando sia stato concesso nel rispetto dell’art. 108 del TFUE, gravando sulle stesse l’onere di informazione e vigilanza circa l’osservanza della procedura di controllo della sua conformità al diritto Eurounitario, ciò rientrando nella normale diligenza di ogni operatore economico agente sul mercato interno. Ne consegue che si presume legale e compatibile solo l’aiuto rispettoso della procedura prevista dalla norma Eurounitaria in quanto l’obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile con il Trattato è assoluto e ne comporta la necessaria restituzione da parte del beneficiario cosi che venga meno l’indebito vantaggio acquisito a danno dei suoi concorrenti nel mercato comune”;

17. infine, non può non evidenziarsi che nel sistema l’intervento di modifica della norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, comporta un’ulteriore sensibile restrizione, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto, posto che si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma della predetta norma processuale, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, situazioni, queste, non riscontrabili nella fattispecie, avendo la Corte di merito adeguatamente illustrato le ragioni del suo convincimento in ordine alla rilevata insussistenza di un legittimo affidamento nel senso invocato dalla ricorrente, per le ragioni sopra richiamate;

18. pertanto, il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente, la quale va altresì condannata, ricorrendone i presupposti, al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 9.200,00, di cui Euro 9.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

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