Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15972 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 27/07/2020), n.15972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8203/2014 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, DE ROSE EMANUELE, CARLA

D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

GERIT S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1058/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/03/2013 R.G.N. 10430/2008.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma la società Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (d’ora in avanti R.F.I. s.p.a.) propose opposizione avverso la cartella esattdrialè (notificata il 13.4.2007) per il pagamento di contributi non corrisposti e pretesi dall’Inps;

il giudice adito rigettò l’opposizione e la Corte d’appello di Roma (sentenza del 21.3.2013), investita dall’impugnazione della società ferroviaria, riformò la gravata decisione, rigettando l’opposizione nei limiti della domanda di cui al ricorso di primo grado, ossia relativamente alle sole pretese della sede Inps di (OMISSIS);

la Corte territoriale spiegò che era fondato solo il primo motivo di gravame, cioè quello attraverso il quale R.F.I. s.p.a. aveva lamentato il vizio di ultrapetizione rappresentato dal fatto che il primo giudice aveva deciso sull’intera cartella esattoriale che comprendeva pretese di diversi soggetti (svariati comuni, polizia municipale, consorzio parmigiano), nonchè i contributi omessi per i contratti di formazione e lavoro richiesti da diverse sedi provinciali dell’Inps ((OMISSIS)), mentre l’opposizione riguardava, in realtà, la sola parte di cartella relativa ai contributi per le sedi Inps della provincia di (OMISSIS), per un importo pari ad Euro 890.274,73 (contributi per il periodo 1996 – 1999 coi relativi interessi);

così circoscritta l’indagine, la Corte capitolina spiegò che il recupero del credito contributivo operato dalle sedi Inps della provincia di Roma era legittimo, in quanto eseguito in forza della Decisione della Commissione Europea 2000/128/CE adottata l’11.5.1999, che aveva stabilito le condizioni in base alle quali gli aiuti di Stato concessi per le assunzioni di lavoratori mediante contratti di formazione e lavoro potevano ritenersi compatibili col mercato comune;

per la cassazione della sentenza ricorre R.F.I. s.p.a. con quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, la ricorrente ritiene erronea la decisione con la quale la Corte d’appello ha considerato applicabile nella fattispecie il termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale che, invece, a suo giudizio, avrebbe dovuto essere preso come riferimento, vertendosi in ipotesi di omissione contributiva e non di restituzione di indebito;

2. in pratica, secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto farsi carico di constatare l’inapplicabilità nella fattispecie del Regolamento CEE n. 659/1999, preso dalla stessa come riferimento per affermare il carattere doveroso del recupero contributivo, in quanto tale Regolamento entrato in vigore in un periodo successivo alla vicenda di cui ci si occupa;

3. infine, in base al presente assunto difensivo, la soluzione decisa dalla Corte territoriale comporterebbe che, ferma restando la fattispecie di omissione contributiva, il termine di prescrizione dovrebbe considerarsi quinquennale in caso di omissione derivante da inosservanza di leggi nazionali, mentre lo stesso sarebbe decennale nell’ipotesi di omissione scaturente da inosservanza di leggi comunitarie, con conseguente violazione del principio di uguaglianza cui si ispira l’art. 3 Cost.;

4. il motivo è infondato, posto che questa Corte (Cass. sez. lav. n. 6671 del 3.5.2012) ha già statuito che “Agli effetti del recupero degli sgravi contributivi integranti aiuti di Stato incompatibili col mercato comune (nella specie, sgravi per le assunzioni con contratto di formazione e lavoro, giudicati illegali con decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999), vale il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dalla notifica alla Repubblica Italiana della decisione comunitaria di recupero, atteso che, ai sensi degli artt. 14 e 15 del regolamento (CE) n. 659/1999, come interpretati dalla giurisprudenza comunitaria, le procedure di recupero sono disciplinate dal diritto nazionale ex art. 14 cit., nel rispetto del principio di equivalenza fra le discipline, comunitaria e interna, nonchè del principio di effettività del rimedio, mentre il “periodo limite” decennale ex art. 15 cit. riguarda l’esercizio dei poteri della Commissione circa la verifica di compatibilità dell’aiuto e l’eventuale decisione di recupero. Nè si può ritenere che si applichi il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c., perchè lo sgravio contributivo opera come riduzione dell’entità dell’obbligazione contributiva, sicchè l’ente previdenziale, che agisce per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non agisce in ripetizione di indebito oggettivo. Nè, infine, è applicabile il termine di prescrizione quinquennale della L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10, poichè questa disposizione riguarda le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale, mentre l’incompatibilità comunitaria può riguardare qualsiasi tipo di aiuto, senza che si possa fare ricorso all’applicazione analogica della norma speciale, in quanto la previsione dell’art. 2946 c.c., esclude la sussistenza di una lacuna normativa” (in senso conforme sull’applicabilità della prescrizione decennale e sulla sua decorrenza dalla notifica della decisione della Commissione allo Stato membro, essendo solo da quel momento l’aiuto erogato qualificabile come illegale, v. anche Cass. Sez. 5, sentenza n. 15207 del 12.9.2012);

5. nella stessa sentenza di questa Corte n. 6671/2012 (conf. anche da Ord. sez. 6-Lav. n. 16581/2013 e n. 2555/2016) si è affermato che il dies a quo della decorrenza della prescrizione non può essere collocato in data anteriore a quella di notifica alla Repubblica Italiana (4.6.1999) della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999 che, sancendo l’incompatibilità con il mercato comune nei limiti indicati – degli sgravi configuranti aiuti di Stato ha imposto l’azione diretta al loro recupero;

6. si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. n. 6756 del 4.5.2012) che “In tema di recupero di aiuti di Stato, la normativa nazionale riguardante gli effetti del decorso del tempo sui rapporti giuridici (sia in tema di prescrizione che di decadenza) deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione Europea divenuta definitiva. (Fattispecie in tema di recupero di sgravi contributivi, fruiti per assunzioni con contratto di formazione e lavoro, incompatibili con il diritto comunitario, in quanto aiuti di Stato, secondo la decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999, ritenuti recuperabili dalla S.C. senza il limite del termine decadenziale per l’iscrizione a ruolo di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25)”;

7. infine, si è ulteriormente chiarito (Cass. Sez. Lav. n. 6756 del 4.5.2012) che “In tema di sgravi contributivi illegittimi, in quanto costituenti aiuti di Stato vietati dalla Commissione Europea, l’azione dell’ente previdenziale volta al recupero degli sgravi non costituisce azione di restituzione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., ma azione volta al pagamento della contribuzione differenziale, pari alla misura dell’aiuto di Stato recuperabile. Ne consegue che tale azione – alla cui proposizione è legittimato direttamente l’ente istituzionalmente deputato alla riscossione dei contributi – è soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c. e non a quello previsto per l’indebito, nè a quello della L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10, attesa l’autonomia giuridica dell’azione di recupero degli aiuti in questione (che è disciplinata da regole specifiche, è finalizzata al mero ripristino dello “status quo ante” e che prevede – a differenza dell’azione volta al pagamento dei contributi omessi – l’applicazione di interessi nella misura stabilita dalla Commissione e non anche delle sanzioni specifiche previste per l’omissione contributiva)”;

8. quindi la Corte territoriale ha correttamente escluso che il credito oggetto di causa si fosse prescritto, una volta accertato che il suo recupero era avvenuto nell’arco temporale del decennio decorrente dalla notifica, eseguita il 4.6.1999, della Decisione della Commissione Europea resa l’11.5.1999, posto che la cartella esattoriale era stata notificata nel mese di aprile del 2007;

9. nè è condivisibile il dubbio di incostituzionalità sollevato dalla ricorrente, in quanto non sussiste la disparità di trattamento dalla medesima prospettata, dal momento che nella fattispecie trova applicazione il termine generale di cui all’art. 2946 c.c., la qual cosa esclude in radice la sussistenza di una lacuna normativa;

10. col secondo motivo la ricorrente censura l’applicabilità diretta della decisione C.E. ed il diritto di agire dell’Inps, nonchè l’insufficienza della motivazione, assumendo che la Corte di merito ha errato nel ritenere che l’efficacia diretta delle norme comunitarie nell’ordinamento interno si estende anche alle decisioni della Commissione Europea in materia di aiuti di Stato e a tal riguardo evidenzia che l’art. 11 Cost., prevede che l’Italia limiti la propria sovranità in funzione dell’adesione alle organizzazioni internazionali che hanno come fine quello di assicurare la pace e la giustizia tra gli Stati; invece, secondo il presente assunto difensivo, nella fattispecie la decisione della Commissione Europea richiamata nell’impugnata sentenza non contiene tutti i requisiti essenziali (obbligo sufficientemente chiaro nei confronti degli Stati membri, natura incondizionata di tale obbligo e mancanza di una previsione presupponente un potere discrezionale degli Stati membri quanto alle modalità di attuazione dello stesso obbligo) per la sua immediata e diretta applicazione;

11. il motivo è infondato, in quanto questa Corte (Cass. Sez. 1, sent. n. 15980 del 6.7.2010) ha già avuto modo di statuire che “L’efficacia diretta delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, prevista dall’art. 93 (ora art. 88) del Trattato CEE, si estende anche alle decisioni con cui la Commissione, nell’esercizio del controllo sulla compatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l’incompatibilità o ne ordini la restituzione, e comporta l’invalidità e/o l’inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata” (in senso conforme v. anche Cass. Sez. 5 n. 22318 del 3.11.2010 in cui si è ribadito che il vincolo derivante dalla decisione della Commissione, avendo come destinatario non solo lo Stato membro, ma anche i soggetti dell’ordinamento interno, ivi comprese le autorità nazionali, amministrative e giurisdizionali, e traducendosi nell’obbligo di dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso, rende viziata da errore di diritto la sentenza del giudice interno che abbia ritenuto irrilevante la decisione con cui la Commissione abbia disposto la sospensione di una misura di aiuto fino all’esito della procedura di verifica);

12. al riguardo si è, altresì, statuito (Cass. Sez. 5 n. 2428 del 3.2.2010) che “Le decisioni adottate dalla Commissione delle Comunità Europee, nell’ambito delle funzioni ad essa conferite dal Trattato CE, ai sensi dell’art. 211 (ex art. 155), sull’attuazione e lo sviluppo della politica della concorrenza nell’interesse comunitario, in forza degli artt. 88 e 87 (ex artt. 93 e 92) dello stesso Trattato, ancorchè prive dei requisiti della generalità e dell’astrattezza, costituiscono fonte di produzione di diritto comunitario, sia pure limitatamente ai rapporti giuridici tra privati e pubblici poteri (cosiddetta efficacia verticale) e, quindi, vincolano il giudice nazionale nell’ambito dei giudizi portati alla sua cognizione”;

13. l’importanza delle decisioni della Commissione delle Comunità Europee come parametri di riferimento nel giudizio di legittimità è stata poi evidenziata nella sentenza n. 115207 del 12.9.2012 della Sez. 5 di questa Corte in cui si è ben chiarito che “In tema di ricorso per cassazione, le decisioni della Commissione dell’Unione Europea in materia di recupero di aiuti di Stato sono idonee ad assurgere a diretto parametro del sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, quando siano dotate dei caratteri di precisione e chiarezza, poichè esse – nel vincolare lo Stato membro tanto alla pronuncia di incompatibilità dell’aiuto di Stato, quanto alla esecuzione dell’obbligo di recupero dei vantaggi illegalmente erogati alle imprese – incidono anche sul piano normativo dell’ordinamento statuale, in quanto richiedono l’adozione degli interventi normativi indispensabili e la disapplicazione delle norme statuali incompatibili con il ripristino dello “status quo ante””;

14. inoltre, nella materia del recupero degli aiuti di Stato illegittimamente concessi alla luce della normativa comunitaria, si è, altresì, spiegato (Cass. Sez. Lav., Ord. n. 15385 del 21.6.2017) che “L’ordinamento comunitario e l’ordinamento interno sono configurati come sistemi normativi autonomi e distinti, ancorchè coordinati, secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dai Trattati, di talchè, sebbene le disposizioni derivanti dalla fonte comunitaria vengano a ricevere, ex artt. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, diretta applicazione nel territorio italiano, esse rimangono estranee al sistema delle fonti interne e, se munite di efficacia diretta, precludono al giudice nazionale di applicare la normativa interna con esse ritenuta inconciliabile, previo, ove occorra, rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia; ne consegue che non è consentita all’interprete l’interpolazione di comandi provenienti da fonti normative appartenenti ad ordinamenti che restano diversi, pur essendo coordinati, trattandosi di operazione viziata sotto il profilo logico e giuridico. (In applicazione del principio enunciato, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che, ritenendo “le assunzioni avvenute al di fuori della normativa italiana incompatibili con la normativa comunitaria”, aveva realizzato un’indebita interpolazione tra disposizioni normative appartenenti ad ordinamenti differenti ed alterato la “causa petendi” dell’azione promossa dall’INPS, trasformando un’azione di recupero di aiuti di Stato, illegittimamente concessi secondo il diritto comunitario, in una di recupero di sgravi contributivi indebitamente fruiti secondo il diritto interno)”;

15. attraverso il terzo motivo la R.F.I. s.p.a. si duole del fatto che la Corte, d’appello ha omesso di indicare il ragionamento logico-giuridico che l’aveva condotta a rigettare la censura incentrata sulla dedotta situazione di legittimo affidamento in cui essa ricorrente versava all’epoca della fruizione degli aiuti di Stato, allorquando non poteva nutrire alcun ragionevole dubbio sulla loro regolarità; nel contempo, la medesima contesta l’affermazione della stessa Corte di merito secondo la quale la situazione di legittimo affidamento poteva essere invocata solo se l’aiuto in questione era stato regolarmente erogato nel rispetto delle norme procedurali del Trattato Europeo, evidenziando che aveva tempestivamente offerto di provare la legittimità delle agevolazioni fruite sui contratti di formazione e lavoro del periodo oggetto di causa e facendo, altresì, presente che l’affidamento del quale si chiedeva tutela risultava essere stato leso non da disposizioni di legge retroattiva, bensì da provvedimenti di una pubblica amministrazione che pretendeva di recuperare le agevolazioni contributive godute sulla base di disposizioni di legge in periodo assai risalente;

16. il motivo denota profili di inammissibilità e di infondatezza per le seguenti ragioni: anzitutto, non sussiste la lamentata omessa motivazione, avendo la Corte d’appello chiaramente spiegato le ragioni che l’hanno indotta a respingere il relativo motivo, così come rappresentate, tra l’altro, dalla stessa ricorrente; infatti, si legge nell’impugnata sentenza che data la natura imperativa dell’azione amministrativa ex art. 88 del Trattato CE (ora art. 108 T.F.U.E.), la situazione di legittimo affidamento può essere invocata dal privato in sede nazionale solo se l’aiuto in questione sia stato regolarmente erogato nel rispetto delle norme processuali del Trattato e ciò in quanto si ritiene che costituisca dovere di un operatore economico diligente l’essere normalmente in grado di verificare se la procedura suddetta sia stata rispettata o meno;

17. inoltre, tale conclusione è in linea con l’orientamento consolidato di questa Corte essendosi già affermato (Cass. Sez. Lav. n. 6756 del 4.5.2012) che “In tema di recupero di aiuti di Stato, in ragione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione Europea ai sensi dell’art. 88 TCE, le imprese beneficiarie di un aiuto non possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell’aiuto ove lo stesso sia stato concesso senza il rispetto della procedura o prima della sua regolare conclusione, nè possono invocare a sostegno di tale affidamento l’eventuale incertezza degli orientamenti comunitari in materia (nella specie, di aiuti all’occupazione), dovendosi altresì considerare irrilevanti sia l’esistenza di eventuali disposizioni legislative nazionali che disciplinato gli aiuti, poi giudicati illegittimi, sia eventuali pronunce dei giudici nazionali, ivi inclusa la Corte costituzionale, in quanto la valutazione di compatibilità degli aiuti con il mercato comune di portata comunitaria è di spettanza esclusiva della Commissione”;

18. si è, altresì, chiarito (Cass. Sez. Lav. n. 13479 del 30.6.2016) che “In tema di recupero di aiuti di Stato, pur in presenza nell’ordinamento italiano di norme istitutive di esenzioni analoghe a quelle ritenute contrastanti con il diritto comunitario e nella conseguente difficoltà di comprendere quali in concreto possano costituire aiuti di stato illegittimi, le imprese che ne siano beneficiarie non possono fare legittimo affidamento sulla loro fruizione ove gli stessi siano stati concessi senza previa notifica alla Commissione, rientrando nella diligenza dell’operatore economico accertare che la procedura prevista per il controllo di regolarità degli aiuti da parte della Commissione sia stata rispettata”;

19. da ultimo si è ribadito (Cass. Sez. 1, sent. n. 4860 del 19.2.2019) che “Le imprese beneficiarie di un aiuto di Stato possono fare legittimo affidamento sulla sua regolarità solo quando sia stato concesso nel rispetto dell’art. 108 del TFUE, gravando sulle stesse l’onere di informazione e vigilanza circa l’osservanza della procedura di controllo della sua conformità al diritto Eurounitario, ciò rientrando nella normale diligenza di ogni operatore economico agente sul mercato interno. Ne consegue che si presume legale e compatibile solo l’aiuto rispettoso della procedura prevista dalla norma Eurounitaria in quanto l’obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile con il Trattato è assoluto e ne comporta la necessaria restituzione da parte del beneficiario cosi che venga meno l’indebito vantaggio acquisito a danno dei suoi concorrenti nel mercato comune”;

20. col quarto motivo, dedotto per inesistenza delle condizioni per il recupero, per errato riparto dell’onere della prova e per insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che la Corte territoriale ha errato laddove ha asserito che l’onere della prova incombeva esclusivamente alla società opponente, la quale avrebbe omesso di fornire idonea prova circa le argomentazioni e le deduzioni svolte;

21. nel contempo, la ricorrente lamenta la contraddittorietà della decisione laddove si è affermato che essa appellante nulla aveva dedotto in merito alla sussistenza delle ragioni eccezionali che avrebbero potuto impedire la restituzione dell’aiuto, omettendo, come era suo onere, di indicare nominativamente i lavoratori assunti nel periodo 1996/1999 per i quali sussisteva il diritto agli aiuti di Stato, nonchè la relativa causale tra quelle enunciate dalla Commissione, allegazioni, queste, assolutamente necessarie e non evincibili dalla documentazione prodotta;

22. la prima parte del motivo è infondata in quanto per costante giurisprudenza di questa Corte nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per applicazione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l’onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr., tra le tante, Cass. n. 21898 del 2010, nonchè Cass. Sez. Lav., Ord. n. 1157 del 18.1.2018); nè la circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio e la sua conseguente non recuperabilità siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie può alterare i termini della questione, spettando pur sempre al datore di lavoro dimostrare la sussistenza delle condizioni, stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale, per poter legittimamente usufruire degli sgravi (Cass. n. 6671 del 2012; in senso conf. V. Cass. Sez. lav. n. 23654/2016);

23. è, invece, inammissibile la seconda parte del quarto motivo, cioè quella incentrata sul dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione, in quanto nel sistema l’intervento di modifica della norma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, comporta un’ulteriore sensibile restrizione, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto, posto che si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma della predetta norma processuale, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, situazioni, queste, non riscontrabili nella fattispecie, avendo la Corte di merito adeguatamente illustrato le ragioni del suo convincimento in ordine alla rilevata insussistenza delle ragioni eccezionali atte ad impedire la restituzione dell’aiuto di Stato;

24. pertanto, il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente, la quale va altresì condannata, ricorrendone i presupposti, al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

 

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