Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15972 del 27/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/06/2017, (ud. 04/04/2017, dep.27/06/2017),  n. 15972

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6170/2015 proposto da:

CDL IRIDE SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO

NICOLA SASSANI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO

ANDREUCCI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati TERESA OTTOLINI e

LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono giusta delega in

atti;

– F.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G.G. BELLI 36, presso lo studio dell’avvocato LUCA PARDINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ELINDO BUONACCORSI, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 73/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 03/02/2015 r.g.n. 1028/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato MARIO ANDREUCCI;

udito l’Avvocato GIOVANNI CASO per delega verbale Avvocato ELINDO

BUONACCORSI;

udito l’Avvocato LUCIA PUGLISI per delega verbale Avvocato LUCIANA

ROMEO.

Fatto

1. La Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato l’Inail a corrispondere a F.M., dipendente della CDL Iride Società Cooperativa a r.l., l’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea in relazione al periodo di malattia insorta il 15.3.2010; ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, intimato il 7.2.2011, per superamento del periodo di comporto, dalla CDL Iride ed ha condannato quest’ultima alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione.

2. La Corte territoriale ha ritenuto che l’appello proposto dal F. conteneva specifica indicazione dei motivi di censura e delle richieste correttive della sentenza impugnata ed ha, conseguentemente, rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla società. Ritenuto provato, sulla scorta delle conclusioni assunte dal CTU, il nesso di causalità tra l’infortunio occorso al F. in data 8.2.2010 e la ricaduta, insorta il 15.3.2010, nella malattia a questo conseguita, ha affermato che questa non era computabile nel periodo di comporto e che trovava applicazione la L. n. 300 del 1970, art. 18, in quanto l’esclusione della qualità di socio era conseguenza del licenziamento.

3. Avverso tale sentenza CDL Iride Società Cooperativa a r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria, al quale hanno resistito con controricorso F.M. e l’Inail.

Diritto

MOTIVI

Sintesi dei motivi.

4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Asserisce che la statuizione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello è fondata su argomentazioni motivazionali tautologiche.

5. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto, sulla scorta delle conclusioni assunte dal CTU, altamente probabile il nesso di causalità tra l’infortunio dell’8.2.2010 e la ricaduta nella malattia già indennizzata e deduce che l'”alta probabilità” non potrebbe farsi coincidere con la dimostrazione della effettiva sussistenza del nesso di causalità.

6. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2110 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto, senza accertare se la malattia fosse addebitabile alla responsabilità di essa datrice di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., che l’assenza dal lavoro iniziata il 15.3.2010 doveva essere esclusa dal computo del periodo di comporto.

7. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 3, e della L. n. 142 del 2001, art. 2, e dell’art. 2553 c.c.. Si duole che la Corte territoriale abbia accordato la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 della L. n. 300 del 1970 nonostante il F., con delibera del 4.2.2011, fosse stato escluso come socio dalla cooperativa e nonostante l’avvenuta restituzione a quest’ultimo della quota di capitale sociale versato. Precisato di avere comunicato unitamente al licenziamento anche la delibera di esclusione dalla cooperativa, deduce che quest’ultima non sarebbe stata impugnata dal F..

8. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., e della L. n. 300 del 1970, art. 18,. Lamenta che la Corte territoriale, ai fini della quantificazione della domanda risarcitoria, non aveva considerato che essa ricorrente aveva fatto affidamento sul fatto che la malattia insorta il 15.3.2010 era stata qualificata come comune sia dall’Inail che dal medico curante del lavoratore.

Esame dei motivi.

9. Il primo motivo è infondato nella parte in cui denuncia violazione dell’art. 434 c.p.c..

10. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 434 c.p.c., comma 1, nel testo introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. c) bis, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 e applicabile “ratione temporis”, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il “quantum appellatum”, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare la idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata (Cass. SSUU 10878/2015; Cass. 9166/2017, 2814/2016, 2143/2015).

11. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati laddove ha rilevato che l’atto introduttivo del giudizio di appello conteneva articolata indicazione delle censure formulate nei confronti della sentenza impugnata e delle richieste correttive di detta pronuncia. Questa affermazione non risulta adeguatamente infirmata dalle argomentazioni svolte a corredo del motivo in esame, nel quale la ricorrente non ha specificato perchè la sentenza impugnata sia in contrasto con l’art. 434 c.p.c., o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. 24028/2016, 635/2015, 20957/2014, 21611/2013, 328/2007).

12. Il profilo è inammissibile nella parte in cui addebita alla sentenza vizi motivazionali.

13. Va osservato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata il 3.2.2015) consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. SSUU 8053/2014, 8054/2014). Ebbene, la ricorrente non indica affatto quale sia il fatto storico decisivo che la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare, ma denuncia “tautologia” della sentenza a fronte della esposizione di un percorso motivazionale che rende chiare e percepibili le ragioni sulle quali è fondata la statuizione di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello.

14. E’ evidente che altro è se il ragionamento espresso sia conforme o meno al diritto, ma si tratta di questione diversa rispetto a quella che rende nulla la sentenza. Va al riguardo osservato che le Sezioni unite di questa Corte nelle sopra richiamate sentenze hanno affermato che l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un “error in procedendo” che comporta la nullità della sentenza solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Questa Corte ha precisato, inoltre, che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. 22232/2016, 8054/2014, 8053/2014).

15. Il secondo motivo è infondato nella parte in cui è denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., e rt. 115 c.p.c..

16. La correlazione tra l’infortunio occorso al F. l'(OMISSIS) e la malattia iniziata il 15.3.2010, pur costituendo un fatto ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, richiedeva cognizioni extragiuridiche (origine lavorativa o meno della ricaduta nella malattia conseguita all’infortunio del febbraio 2010), in quanto tali estranee alla formazione professionale esigibile dal giudice. Essa, pertanto, ben poteva essere oggetto di consulenza tecnica al fine di valutare fatti che non avrebbero potuto essere verificati diversamente (“consulenza percipiente”, Cass. 8717/2017, 1190/2015, 20695/2013, 6155/2009). Va rilevato che la ricorrente non ha contestato che il F. avesse allegato la correlazione della malattia insorta il 15.3.2010 e l’evento infortunistico di origine lavorativa occorso nel precedente mese di febbraio dello stesso anno ma assume che detta correlazione non sarebbe stata provata dal lavoratore.

17. Il motivo è inammissibile laddove la ricorrente critica l’esito della consulenza tecnica d’ufficio senza evidenziare quali fatti e quali circostanze sarebbero stati trascurati e/o male interpretati dall’Ausiliare del giudice di merito o dallo stesso giudice e che, se invece fossero stati considerati, avrebbero escluso che la patologia del 15.3.2010 potesse essere qualificata come ricaduta ovvero recidiva della malattia conseguita all’infortunio occorso l'(OMISSIS). La ricorrente, invero, nel dedurre che la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare l’affermazione del CTU, secondo il quale il caso sottoposto al suo esame presentava notevoli elementi di incertezza, e non attestarsi sulle conclusioni formulate dallo stesso CTU, che aveva ritenuto che fosse altamente probabile che la patologia del 15.3.2010 potesse correlarsi all’infortunio occorso al F. in data (OMISSIS), sollecita il riesame del merito della controversia non ammissibile in sede di legittimità (Cass. SSU 24148/2013, 8054/2014; Cass. 1541/2016, 15208/2014, 24148/2013, 21485/2011, 9043/2011, 20731/2007, 181214/2006, 3436/2005, 8718/2005).

18. Il terzo motivo è fondato.

19. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale sono riconducibili, in linea di principio, all’ampia e generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., comprensiva anche di dette specifiche categorie di impedimenti dovuti a cause di lavoro, e sono, pertanto, normalmente computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro previsto nel citato art. 2110, la cui determinazione è da questa norma rimessa alla legge, alle norme collettive, all’uso o all’equità. E’ stato precisato che non è sufficiente, perchè l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, che si tratti di malattia di origine professionale, meramente connessa cioè alla prestazione lavorativa, ma è necessario che in relazione a tale malattia e alla sua genesi sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. (Cass. 24028/2016, 26037/2014, 7037/2011, 5413/2004, 3351/1996).

20. Questa Corte ha anche affermato che l’art. 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, e che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi (Cass. 22710/2015, 18626/2013, 2038/2013, 13956/2012).

21. In particolare è stato ritenuto che gli oneri probatori spettanti al datore di lavoro ed al lavoratore sono diversamente modulati nel contenuto a seconda che le misure di sicurezza omesse siano espressamente e specificamente definite dalla legge (o da altra fonte ugualmente vincolante), in relazione ad una valutazione preventiva di rischi specifici, oppure debbano essere ricavate dallo stesso art. 2087 c.c., che impone l’osservanza del generico obbligo di sicurezza: nel primo caso, riferibile alle misure di sicurezza cosiddette “nominate”, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore, ossia nel riscontro dell’insussistenza dell’inadempimento e del nesso eziologico tra quest’ultimo e il danno; nel secondo caso, relativo a misure di sicurezza cosiddette “innominate”, la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è invece generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che, ancorchè non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standards” di sicurezza normalmente osservati o trovino riferimento in altre fonti analoghe (Cass. 34/2016, 15082/2014, 19826/2013, 8855/2013).

22. La Corte territoriale ha disatteso i principi innanzi richiamati perchè ha ritenuto che il periodo di malattia iniziato il 15.3.2010 dovesse essere escluso dal periodo di comporto in ragione della affermata origine professionale della malattia senza compiere alcun accertamento in ordine alla addebitabilità della ricaduta/recidiva della malattia conseguita all’infortunio sul lavoro dell'(OMISSIS) alla responsabilità della società datrice di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., e senza indagare se quest’ultima omise di adottare le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del F..

23. La sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione che dovrà, alla luce delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, fare applicazione del seguente principio di diritto “In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.”.

24. Il quarto motivo è inammissibile.

25. La ricorrente, in violazione delle disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (Cass. SSUU 8077/2012 e 22726/2011; Cass. 13713/2015, 19157/2012, 6937/2010), ha, infatti, omesso di riprodurre nel ricorso la delibera di esclusione del F., gli atti relativi alla comunicazione di quest’ultima e i documenti attestanti la avvenuta restituzione al lavoratore della quota di capitale sociale, atti ai quali la ricorrente attribuisce valore decisivo per escludere la possibilità di applicare la tutela reintegratoria reale di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18″.

26. Il quinto motivo, correlato al quantum della statuizione di condanna al risarcimento del danno, resta assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.

27. Sulla scorta delle considerazioni svolte vanno rigettati il primo ed il secondo motivo, va dichiarato inammissibile il quarto motivo e, in accoglimento del terzo motivo, assorbito il quinto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che, dovrà, alla luce delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, fare applicazione del seguente principio di diritto “In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.”, e dovrà provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

Rigetta il primo ed il secondo motivo.

Dichiara inammissibile il quarto motivo.

Accoglie il terzo motivo e dichiara assorbito il quinto motivo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2017

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