Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15972 del 20/07/2011

Cassazione civile sez. II, 20/07/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 20/07/2011), n.15972

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29833/2005 proposto da:

F.I. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DEL SEMINARIO 85, presso lo studio dell’avvocato MAGNI

FRANCESCO, rappresentata e difesa dall’avvocato ZIPOLIMI Romano;

– ricorrente –

contro

D.L.G.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato

CARLUCCIO FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato TUCCI

Ermindo;

– controricorrente –

e contro

L.G., L.M., L.S. N.Q.

DI EREDI DEL DOTT. L.R., C.G., L.

G., R.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1422/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 12/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLI UCCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

del ricorso per quanto di ragione gli altri motivi il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.I. esponeva che R.C., C.G., L.R.E., L.G. e D.L.G. R. avevano rialzato il piano di campagna della loro proprietà, erigendo un muro di contenimento appoggiato al terreno di proprietà dell’istante previa eliminazione della fossa di scolo delle acque dividente i fondi delle parti;

pertanto, l’attrice conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lucca i predetti per sentirli condannare al ripristino dei luoghi e al risarcimento dei danni.

I convenuti, costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda.

Con sentenza del 9 luglio 2002 il Tribunale rigettava la domanda.

Con sentenza emessa il primo giugno 2004 la Corte di appello di Firenze respingeva l’impugnazione proposta dall’attrice.

Secondo i Giudici di appello, per quanto concerneva la domanda di danni derivanti dall’eliminazione della fossa e dalla realizzazione del piccolo canale di raccolta delle acque, in primo luogo non era stato possibile accertare in che cosa fosse consentita la modifica denunciata; inoltre, non essendo contestato che l’opera era stata eseguita sulla proprietà degli appellati, la domanda di ripristino postulava la prova dei danni conseguenti all’alterazione che l’attrice avrebbe dovuto dimostrare e che non erano stati provati.

Per quel che concerneva la violazione delle distanze, lamentata dall’attrice con riferimento all’elevazione del terreno confinante, si osservava che il muro che delimita il giardino della proprietà attrice ha natura di muro di cinta, che dunque non può essere considerato ai fini del computo delle distanze fra costruzioni;

d’altra parte, appare discutibile che il rialzamento del terreno con la realizzazione, su di esso, di un lastricato e di un muro di contenimento, potesse configurarsi come costruzione secondo la interpretazione dell’art. 873 cod. civ.: nella specie si era trattato di un intervento di rafforzamento, conseguente all’edificazione dei fabbricati sui fondi degli appellati.

Parimenti era esclusa la violazione del diritto di veduta lamentato dall’attrice, tenuto conto che quella realizzata dai convenuti non poteva essere considerata costruzione, peraltro, insussistente era l’invocato diritto attesa la folta siepe esistente nel giardino della predetta che portava a escludere i presupposti per l’esercizio di una veduta.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione F. I. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso D.L.G.R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 871, 872 e 873 cod. civ., censura la decisione gravata laddove, in violazione dei principi elaborati dalla S.C., aveva escluso con assiomatica asserzione che le opere eseguite dai convenuti costituissero delle costruzioni quando i terreni erano stati sopraelevati con la realizzazione di un terrapieno creato ex novo che, per quanto riguardava il D., aveva comportato un’ intercapedine dannosa essendo costruito a cm. 10 rispetto al muro di contenimento del giardino dell’attrice; si trattava di opere edilizie che erano state edificate in violazione della distanze dal confine e dal predetto muro di contenimento: gli altri convenuti avevano appoggiato il terrapieno al muro dell’attrice. La sentenza impugnata aveva violato la costante giurisprudenza secondo cui quando, nel caso di fondi a dislivello, il muro di cinta ha funzione di sostegno di un terrapieno creato ex novo va considerato come muro di fabbrica ed è assoggettato al rispetto delle distanze legali.

Il motivo è fondato.

La sentenza, dopo avere affermato che il rialzamento del terreno non integra gli estremi della costruzione rilevante ai sensi dell’art. 873 cod. civ., ha poi ritenuto che quella realizzata dai convenuti non poteva considerarsi un’opera autonoma e suscettibile di diversa utilizzazione, atteso che si era trattato di un intervento di rafforzamento del terreno determinato dai lavori effettuati nell’immobile dei medesimi, così evidentemente escludendo che potesse ipotizzarsi la creazione di un terrapieno artificiale.

Occorre premettere che anche un rialzamento del terreno può integrare gli estremi della costruzione secondo quanto previsto dall’art. 873 cod. civ., tenuto conto che ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali di origine codicistica o prescritte dagli strumenti urbanistici in funzione integrativa della disciplina privatistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità, ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazione dell’opera. Orbene, l’indagine al riguardo compiuta dai Giudici appare assolutamente insufficiente, atteso che la sentenza non ha in alcun modo spiegato perchè si fosse trattato di un mero intervento di rafforzamento del terreno quando poco prima aveva fatto riferimento a un rialzamento del terreno (e – seppure nella narrativa e con riferimento a quanto dedotto con i motivi di gravame – era stata indicata in cm. 50 la misura massima del rialzamento accertato dal consulente d’ufficio) con la creazione su di esso di un lastricato e di un muro di contenimento: allora sarebbe stato necessario verificare e dare conto della effettiva natura del manufatto, descrivendone le caratteristiche e l’altezza, in modo da specificare le ragioni per le quali – in considerazione della obiettiva struttura e dello stato dei luoghi – non sarebbe stata possibile la creazione di intercapedini dannose di guisa tale da escludere che l’opera potesse essere considerata quale costruzione secondo la normativa di cui all’art. 873 cod. civ..

Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, censura la sentenza gravata che aveva ritenuto non provata l’entità e le condizioni originarie della fossa: a) omettendo di procedere a una nuova valutazione delle deposizioni escusse e non ammettendo le prove articolate e i testi indicati dall’attrice; b) fraintendendo le dichiarazioni dell’attrice la quale – contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici di appello – aveva contestato che la fossa si sarebbe trovata tutta sul terreno dei convenuti e ignorando le norme di diritto (art. 897 cod. civ.) in materia di presunzione della comunione del fosso interposto fa due fondi. Gli interventi edilizi effettuati dai convenuti, secondo quanto effettivamente accertato dal consulente d’ufficio, pur avendo stravolto i luoghi, non avevano fatto scomparire ogni traccia della fossa che infatti era stata mantenuta nella sua funzionalità.

Il motivo va disatteso.

In primo luogo, le censure difettano di autosufficienza laddove si lamenta il mancato esame delle deposizioni escusse e la mancata ammissione delle richieste istruttorie, atteso che in relazione al vizio di motivazione per omesso esame della prova o per la mancata ammissione delle richieste istruttorie, il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, le circostanze riferite dai testi e non esaminate ovvero le circostanze capitolate e comunque l’oggetto specifico delle richieste istruttorie non ammesse in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura(Cass. 14973/2006; 12984/2006; 7610/2006;

10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove essi fossero stati presi in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa: tali oneri non sono stati assolti dalla ricorrente.

Ciò posto, oltre ad affermare che non era risultata provata la collocazione e le dimensioni dell’originaria fossa, la sentenza ha ritenuto, con motivazione di per sè idonea a sorreggere al riguardo la decisione gravata, che non era controverso che la realizzazione del canale con sostituzione dell'(eventuale) fossa preesistente sarebbe avvenuta in proprietà esclusiva e che l’attrice non aveva offerto la prova di un pregiudizio derivante dallo scarico per la sua proprietà. Al riguardo, la ricorrente afferma che i Giudici avrebbero frainteso quanto dichiarato nell’atto di citazione, riportandone al riguardo uno stralcio: nella sostanza la ricorrente denuncia l’interpretazione della domanda.

Orbene, l’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza della domanda dell’attore, come pure delle eccezioni e delle difese del convenuto, anche al fine di rilevare la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto azionato, integra un tipico accertamento in fatto, sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 cod. civ., ovvero del vizio di motivazione che nella specie non sono stati specificamente dedotti.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando violazione art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 878 cod. civ., censura la sentenza per avere ritenuto come muro di cinta quello che delimita il giardino dell’attrice, dovendo considerarsi che lo stesso non era muro isolato su entrambe le facce ma aveva la funzione di sostegno di un terrapieno artificiale da sempre sopraelevato, atteso che il muro di sostegno è muro di fabbrica che, come tale, va calcolato ai fini del computo del distanze legali.

Il motivo è fondato.

La sentenza ha ritenuto che il muro che delimita il giardino dell’attrice è un muro di cinta, perchè isolato e perchè ha la funzione di recingere la proprietà della ricorrente e, di conseguenza, ha escluso che lo stesso potesse essere ritenuto quale costruzione da considerare al fine del calcolo delle distanze legali.

Orbene, la motivazione con cui i Giudici sono pervenuti a tale conclusione appare del tutto insufficiente, essendo stato in modo apodittico affermato che il muro de quo, essendo isolato e avendo la funzione di recingere il terreno, debba essere considerato muro di cinta, atteso che la sentenza avrebbe dovuto verificare e dare conto delle obiettive caratteristiche del muro in relazione allo stato dei luoghi in modo che fossero descritte e accertate la struttura e la funzione dello stesso rispetto al giardino così da chiarire se lo stesso fosse o meno un muro di contenimento di un terrapieno sopraelevato e se questo fosse naturale o artificiale, dovendo qui ricordarsi che in tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l’andamento altimetrico del piano di campagna – originariamente livellato sul confine tra due fondi – sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato “ex novo” dall’opera dell’uomo, e vada, per l’effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali tra costruzioni (Cass. 13628/2010; 9998/2003).

Il quarto motivo, denunciando violazione art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione agli artt. 905 e 907 cod. civ., deduce che le opere realizzate dai convenuti avevano invertito i rapporti di altezza esistenti fra i fondi delle parti, posto che mentre prima era l’attrice a godere di un diritto di veduta dal suo soprastante terreno, ora erano i convenuti ad avere costituito una servitù di veduta sul sottostante fondo attoreo; mentre era priva di pregio e neppure vera l’affermazione secondo cui l’attrice non avrebbe diritto a vedere tutelato il diritto di veduta, la Corte aveva confuso i principi di cui all’art. 905 cod. civ., con quelli di cui all’art. 907 cod. civ..

Il motivo va accolto nei limiti di cui si dirà.

La sentenza ha escluso che i convenuti abbiano immutato i luoghi creando una veduta esercitata dal proprio fondo su quello dell’attrice sul rilievo che quella realizzata non poteva considerarsi costruzione, mentre ha escluso la violazione del diritto di servitù esercitato dall’attrice ritenendo che, per la presenza della siepe,la medesima non avesse la facoltà di inspicere e prospicere. Orbene, mentre tale affermazione non è stata oggetto di specifica e argomentata censura (tale evidentemente non può considerarsi la deduzione che si trattava di affermazione “priva di pregio quanto neppure vera”,) i rilievi sopra formulati in occasione dell’esame del primo motivo sulla natura delle opere realizzate dai convenuti nel loro fondo comportano che anche la questione circa la violazione o meno dell’art. 907 cod. civ., andrà necessariamente riesaminata dal giudice di rinvio all’esito dell’indagine da compiersi secondo quanto sopra detto.

Il ricorso va accolto limitatamente ai motivi primo, terzo e quarto per quanto in motivazione; la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo, terzo e quarto, per quanto in motivazione, del ricorso rigetta il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA