Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1597 del 23/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1597 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: ORILIA LORENZO

ORDINANZA
sul ricorso 20734-2016 proposto da:
TONIAIU01,0 TOMMASO, elettivamente domiciliato in
MANFREDONIA, C.S0 MANFREDI 163, presso lo studio
dell’avvocato MATTEO CIOCIOLA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente contro
FALLIMENTO BP STAMPI SNC , elettivamente domiciliato in
ROMA VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRIN, presso lo
studio dell’avvocato STEFANO ANIBROSINL che lo rappresenta e
difende;

– controricorrente avverso la sentenza n. 228/2016 della CORTE D’APPELLO di
TORINO, depositata il 16/02/2016;

Data pubblicazione: 23/01/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILL1;

Ric. 2016 n. 20734 sez. M2 – ud. 26-10-2017
-2-

RICORSO N. 20734/2016

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
1 Con sentenza 16.2.2016 la Corte d’Appello Torino ha respinto
il gravame proposto da Tommaso Tomaiuolo (titolare della ditta
Tomoplast) avverso la sentenza n.3430/2013 del locale Tribunale con
cui era stata a sua volta respinta l’opposizione contro il decreto
ingiuntivo per C. 304.589,04 emesso su domanda del Fallimento snc

responsabili in relazione ad una fornitura di merce descritta nelle
fatture n. 67/2000, 07/2006 e 11/2006
2 Contro tale pronuncia il Tomaiuolo ricorre per cassazione sulla
base di due motivi.
Il Fallimento resiste con controricorso.
Il relatore ha formulato proposta di inammissibilità di entrambi i
motivi di ricorso.
3.1

Con il primo motivo si deduce omessa insufficiente e

contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia
criticando la Corte d’Appello per avere ritenuto la rinunzia all’istanza di
esibizione delle scritture contabili relative agli esercizi 2000 e 2006
finalizzata a dimostrare l’esistenza della quietanza apposta sulla fattura
n. 67/2000.
Il motivo è manifestamente infondato.
Come già rilevato in più occasioni da questa Corte, in tema di
nova

in appello, occorre tenere distinto il regime delle istanze

istruttorie da quello delle domande ed eccezioni (come, del resto, è
reso palese dalla struttura dell’art. 345 cod. proc. civ., che
separatamente disciplina le une dalle altre), con la conseguenza che le
istanze istruttorie, non accolte in primo grado e reiterate con l’atto di
appello, le quali non vengano riproposte in sede di precisazione delle
conclusioni, devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni indagine
sulla volontà della parte interessata, così da esonerare il giudice del
gravame dalla valutazione sulla relativa ammissione o dalla
motivazione in ordine alla loro mancata ammissione. Invero la parte

I

B.P. Stampi dei fratelli Boccioli nonché dei soci illimitatamente

RICORSO N. 20734/2016

che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste
istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle
conclusioni, poiché, diversamente, le stesse dovranno ritenersi
abbandonate e non potranno essere riproposte in appello (Sez. 3,
Sentenza n. 16886 del 10/08/2016 Rv. 641423; Sez. 3, Sentenza n.
9410 del 27/04/2011 Rv. 618039).

nella, mancata reiterazione dell’istanza istruttoria in sede di
precisazione delle conclusioni e quindi la soluzione adottata è
giuridicamente corretta, rilevandosi, ma solo per completezza, che dal
ricorso non è dato neppure sapere se il tema della ritenuta rinunzia sia
stato successivamente oggetto di specifica trattazione nella comparsa
conclusionale.
La giurisprudenza a cui si richiama il ricorrente (ispirata al
principio della “presunzione di abbandono”), e che la Corte certamente
non ignora, non è pertinente nel caso di specie perche si riferisce alla
mancata reiterazione, in sede di conclusioni, di domande ed eccezioni
ma non di istanze istruttorie, come invece nel caso di specie.
Inoltre – e il rilievo tronca ogni ulteriore discussione
sull’argomento – l’ordine di esibizione di un documento costituisce una
facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di
merito, che non è tenuto a specificare le ragioni per le quali ritiene di
avvalersene. Il mancato esercizio di detta facoltà non può, pertanto,
essere oggetto di ricorso per cassazione, neppure sotto il profilo del
difetto di motivazione (v. tra le varie, Sez. 1, Sentenza n. 10357 del
17/05/2005 Rv. 581481; Sez. 3, Sentenza n. 2262 del 02/02/2006 Rv.
586567; Sez. 2, Sentenza n. 22196 del 29/10/2010 Rv. 614699).
3.2 Con un secondo motivo si denunzia violazione ed errata

applicazione di norme di diritto criticandosi la Corte d’Appello per avere
ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale di compensazione
col contro-credito risarcitorio per i danni derivanti dai vizi del materiale
fornito.

Li

Nel caso in esame la Corte d’Appello ha ravvisato una rinunzia

RICORSO N. 20734/2016

Anche tale motivo è manifestamente infondato perché non si
confronta con la più recente giurisprudenza di questa Corte secondo cui
l’accertamento dei crediti vantati nei confronti della massa deve aver
luogo, al pari di quello dei crediti concorsuali, con il rito previsto dagli
artt. 93 e ss. della legge fall., non assumendo alcun rilievo la
circostanza che, come nella specie, il credito sia stato opposto in

fallito, in quanto la compensazione, oltre a presupporre l’accertamento
del credito, può essere riconosciuta soltanto in sede fallimentare (cfr.

Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2694 del 10/02/2016 R4 638526; Cass.,
Sez. Il, 4 settembre 2014, n. 18691; v. altresì Cass., Sez. I, 27 marzo
2008, n. 7697).
Con la citata ordinanza n. 2694 del 10/02/2016 si è altresì
precisato che l’applicabilità di tale principio non è esclusa dalla
prededucibilità del credito fatto valere nei confronti del fallimento, dal
momento che, come precisato da questa Corte, la previsione di
un’unica sede concorsuale per l’accertamento del passivo comporta la
necessaria concentrazione delle azioni dirette all’accertamento dei
crediti presso l’organo giudiziario alla stessa preposto e l’inderogabile
osservanza del rito funzionale alla realizzazione del concorso dei
creditori (cfr. Cass., Sez. I, 15 gennaio 2003, n. 515;29 gennaio 2002,
n. 1065).
La Corte di merito torinese ha dunque del tutto correttamente
ritenuto che il controcredito vantato verso la società fallita dovesse
essere accertato in sede fallimentare.
Consegue il rigetto del ricorso con addebito di spese e
considerato che trattasi di ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi dell’art.
1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la

compensazione al curatore in sede di riscossione di un credito del

RICORSO N. 20734/2016

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge
di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 -quater all’art. 13 del
testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 — della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione.
P.Q.M.

spese del giudizio che liquida in C. 8.200 di cui C. 200,00 per esborsi
oltre spese generali in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art.1,comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Roma, 26.10.2017.
Il Presidente

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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