Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15969 del 20/07/2011

Cassazione civile sez. II, 20/07/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 20/07/2011), n.15969

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.A. (OMISSIS), R.V.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MICHELE

MERCATI 5, presso lo studio dell’avvocato BRIGUGLIO ANTONIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato MONTELEONE GTROLAMO;

– ricorrenti –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA IN PERSONA DEL LEGLE RAPPRESENTANTE

P.T;

– intimati –

contro

R.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo studio dell’avvocato PURITANO

CECILIA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCATAJO GIORGIO PEER PROCURA NOTARILE DEL 27/10/2 010;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 1083/2007 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avv. Briguglio Girolamo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Girolamo Monteleone difensore dei ricorrenti che si riporta

agli atti;

udito l’Avv. Furitano Cecilia difensore del resistente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza indicata in epigrafe – pronunciata nella causa promossa da R.V. e R.A. nei confronti del loro zio R.E., relativamente alla successione mortis causa di P.R., nonna dei primi e madre del secondo – è stata determinata in 402.104,88 Euro la somma che il convenuto è tenuto a portare in collazione in conseguenza di una donazione indiretta a luì destinata dalla de cuius mediante un atto pubblico del 9 febbraio 1968; è stata rigettata l’ulteriore domanda di collazione proposta dagli attori, con riguardo a due rogiti del 14 febbraio 1983.

V.R. e R.A. hanno proposto ricorso per cassazione, in base a cinque motivi, poi illustrati anche con memoria. R.E. non si è costituito con controricorso, ma ha nominato un difensore che ha partecipato alla discussione in udienza. Non ha svolto attività difensive in sede di legittimità la s.p.a. Banca Nazionale del Lavoro, che era stata evocata in giudizio quale depositarla di denaro e titoli intestati alla defunta.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I primi due motivi di impugnazione attengono al quantum della somma che nella sentenza impugnata è stata calcolata come dovuta in collazione da R.E., per la donazione indiretta compiuta in suo favore nel febbraio del 1968 dalla de cuius, mediante il pagamento di 9/10 (anzichè di 1/2) del prezzo delle quote dell’eredità del defunto suo marito R.A., cedute in quote uguali a lei stessa e a R.E. da R.G., padre dei ricorrenti.

L’errore che questi ultimi attribuiscono alla Corte d’appello è di aver detratto dal valore di un’azienda tipografica, che era compresa nella suddetta eredità, la somma di L. 308.713.570, pari a quella dei crediti inerenti all’impresa, ceduti da R.A., due giorni prima della sua morte avvenuta nel settembre 1967, alla moglie e ai figli, per il corrispettivo di L. 300.000.000.

La doglianza non può essere accolta, poichè si risolve nell’assiomatica affermazione dell’assurdità del risultato cui i consulenti tecnici di ufficio sono pervenuti, nel calcolare in un importo negativo il valore dell’azienda in questione al momento della donazione indiretta, pur se appunto la consistenza di quei crediti, secondo i ricorrenti, denotavano una notevole entità sia del volume di affari sia della capacità produttiva dell’impresa.

Dovendosi escludere – in mancanza di ogni allegazione e prova al riguardo – l’eventuale carattere simulato della cessione del settembre 1967, correttamente con la sentenza impugnata si è negato che l’ammontare dei crediti di cui si tratta, ormai trasferiti a terzi, potesse essere computato ai fini della stima di ciò che R.E. aveva ottenuto dalla madre, mediante la liberalità del febbraio 1968. Nè i ricorrenti formulano alcuna concreta e puntuale critica agli argomenti esposti dal giudice di secondo grado per motivare la sua adesione alle conclusioni della relazione peritale, basate sull’unico elemento certo disponibile, che era costituito, stante la carenza di documentazione contabile, dai valori definitivi accertati ai fini dell’imposta di successione, sulla scorta del computo delle attività, delle passività, dei mutui in essere, dei debiti bancari.

Neppure si può accedere alla tesi dei ricorrenti, secondo cui l’assenza della notificazione della cessione ai debitori e la conseguente loro facoltà di adempiere nei confronti del creditore originario, implica la necessità di includere la suddetta somma di L. 308.713.570 nel patrimonio aziendale. L’assunto va disatteso, per l’assorbente ragione che si basa sulla pura ipotesi congetturale del pagamento dei debiti oggetto della cessione direttamente ad A. R., nei due giorni precedenti alla sua morte.

Sostengono inoltre R.V. e R.A. che in ogni caso avrebbe dovuto essere computato nel patrimonio aziendale, se non l’ammontare dei crediti suddetti, quanto meno il corrispettivo della loro cessione, pari a L. 300.000.000. La questione non può avere ingresso in questa sede a causa della sua novità, poichè non è stata affrontata nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti deducono dì averla prospettata nel giudizio a quo.

Con il terzo e il quarto motivo di ricorso R.V. e R. A. lamentano che erroneamente e ingiustificatamente la Corte d’appello ha disconosciuto che nella divisione intercorsa nel febbraio 1983 tra P.R. ed R.E. fosse ravvisabile un negotium mixtum cum donatione, il quale invece era reso evidente dalla sproporzione tra i valori dei beni attribuiti rispettivamente alle parti, con conseguente assoggettabilità a collazione della differenza, della quale lo stesso R.E. si era avvantaggiato.

Anche questa censura va disattesa.

Nella sentenza impugnata sono state adeguatamente spiegate le ragioni – in ordine alle quali i ricorrenti non hanno mosso specifiche contestazioni – per cui non è stata accolta la tesi della qualificabilità della divisione come donazione indiretta: l’entità limitata della disuguaglianza, compresa tra 1/7 e 1/8, tra i valori dei beni assegnati alle parti e la necessità di destinare comunque a R.E. il lotto comprendente gli immobili adibiti all’attività imprenditoriale, che contestualmente gli veniva ceduta a titolo oneroso dalla madre. Il che è stato ritenuto sufficiente per escludere che il non rilevante divario denotasse un intento di P.R. di arricchire il figlio, per quello spirito di liberalità che necessariamente deve caratterizzare le donazioni, anche indirette (v., tra le altre, Cass. 29 settembre 2004 n. 19601, 3 novembre 2009 n. 23297, 17 novembre 2010 n. 23215). Non può quindi essere condivisa la tesi dei ricorrenti, secondo cui la natura parzialmente gratuita dell’atto dovrebbe essere automaticamente desunta dal solo elemento oggettivo della non perfetta equivalenza tra i cespiti rispettivamente attribuiti alle parti.

Per analoghe ragioni deve essere respinto il quinto motivo di impugnazione, con il quale R.V. e R.A. si dolgono della mancata individuazione di una donazione indiretta nell’atto con cui P.R., nel febbraio 1983, aveva ceduto a R.E., per L. 217.605.031, la propria quota dell’azienda tipografica di cui erano divenuti unici contitolari nel 1968. In proposito i ricorrenti contestano l’esattezza delle peraltro contrastanti stime compiute nelle due consulenze tecniche di ufficio espletate, che hanno indotto la Corte d’appello a negare che anche in questo caso vi fosse stata una notevole e voluta sproporzione tra le prestazioni dei contraenti. Si verte dunque in tema di accertamenti di fatto e apprezzamenti di merito, insindacabili in questa sede se non sotto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ma da tali vizi la sentenza impugnata è immune, poichè il giudice a quo ha dato conto in maniera esauriente e logicamente coerente delle ragioni della decisione sul punto, confutando argomentatamente le obiezioni che R.V. e R.A. avevano rivolto agli elaborati peritali e che sostanzialmente rinnovano in questa sede, così pretendendo di demandare a questa Corte valutazioni che non le sono consentite, stanti i liti propri del giudizio di legittimità.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, dato il comune loro interesse nella causa – a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorar, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2011

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