Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15968 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 19/06/2019, dep. 27/07/2020), n.15968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4047/2017 proposto da:

B.D., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, CORSO TRIESTE 85, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA

AJELLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SALVATORE AJELLO;

– ricorrenti –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZALE ALDO MORO 5, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO FAVA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIA

CALDARELLI;

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI in persona del Presidente pro

tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA

RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE in persona dei Ministri pro tempore, tutti rappresentati e

difesi ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui

Uffici domiciliano in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrenti –

e contro

REGIONE LAZIO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4088/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/07/2016 R.G.N. 7635/2013.

La CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello di ROMA con sentenza n. 4088/14 – 23 luglio 2016 rigettava il gravame interposto in via principale da B.D. e da altri 14 litisconsorti, come da ricorso depositato il 30 novembre 2013, avverso la pronuncia resa il 30 maggio 2013 dal locale giudice del lavoro, con la condanna altresì degli appellanti al pagamento delle spese relative al secondo grado del giudizio, a favore dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma (con conseguente assorbimento dell’impugnazione incidentale spiegata da quest’ultima), ed in pari misura anche per tutte le amministrazioni statali, appellate costituite (tra queste ultime indicata anche la Regione Lazio, in tal senso emendato il dispositivo di sentenza mediante la sua correzione materiale, annotata in data 22-09-2016 in calce alla stessa pronuncia n. 4088/16);

gli attori avevano chiesto l’accertamento del diritto, da loro vantato, a percepire durante i corsi di specializzazione frequentati presso l’Università LA SAPIENZA una retribuzione adeguata e conforme ai criteri di cui ai decreti del presidente del Consiglio dei Ministri in data 7 marzo e sei luglio 2007, con conseguente condanna della stessa Università e delle altre pubbliche amministrazioni convenute, tra loro in solido o ciascuna per quanto di sua competenza, al pagamento delle conseguenti differenze, all’uopo quantificate, oltre accessori e versamento dei contributi assicurativi di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 4. In via gradata, avevano chiesto, invece, la condanna delle convenute al risarcimento dei danni subiti per la mancata tempestiva attuazione delle direttive comunitarie nn. 82/76, 263/75 e 16/93;

la Corte capitolina giudicava palesemente infondato il primo motivo di gravame, riferito alla pretesa illegittimità della gravata pronuncia nella parte in cui, pur avendo escluso la riconducibilità dei rapporti in questione a quelli di tipo subordinato o parasubordinato, non aveva tuttavia disposto il mutamento del rito a norma dell’art. 427 c.p.c.. Parimenti, veniva disattesa la tesi degli appellanti, secondo cui, in qualità di medici specializzandi ed inseriti nelle strutture del Servizio Sanitario Nazionale con la prestazione altresì di attività di natura assistenziale, avevano diritto ad un trattamento retributivo rispondente ai requisiti di cui all’art. 36 Cost., che non poteva essere assicurato dalla borsa di studio ex D.Lgs. n. 257 del 1991. Veniva altresì respinto il terzo motivo d’appello, con il quale era stata lamentata la legittimità, ritenuta dal primo giudicante, della sospensione dell’efficacia delle norme relative al trattamento economico contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-42, ai sensi del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 8, comma 3, in quanto soltanto le anzidette disposizioni risultavano attuative delle direttive comunitarie in materia, che imponevano un’adeguata remunerazione, e non già la borsa di studio di cui al cit. D.Lgs. n. 257, la quale nemmeno esonerava lo Stato italiano dall’obbligo di risarcire il danno cagionato dalla mancata attuazione delle direttive. In proposito, la Corte distrettuale richiamava, in particolare, quanto specificamente disciplinato da ultimo con la L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, laddove era stato espressamente stabilito che il diverso assetto retributivo ivi previsto si applicasse a decorrere dall’anno accademico 2006-07, ribadendo che fino a quello precedente (2005/06) rimaneva operante la normativa dettata dal suddetto decreto 8-8-19991 n. 257. Sul punto, inoltre, la Corte capitolina rilevava come l’Università appellata avesse applicato tale ultima disciplina, avendo corrisposto ai ricorrenti (i quali avevano tutti concluso i rispettivi corsi di specializzazione in anni accademici anteriori a quello 2006/07) la borsa di studio introdotta dal D.Lgs. n. 257, giudicata non incompatibile con le direttive comunitarie. Pure a seguito della direttiva del 1993 era rimasta infatti confermata la discrezionalità di ciascuno Stato membro di scegliere lo strumento giuridico più opportuno per assicurare i risultati dell’idoneità della formazione medica da un lato e dell’adeguata remunerazione dall’altro. Quindi, il legislatore nazionale non si era reso inadempiente agli obblighi comunitari per aver differito l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 1999, in quanto già assolti attraverso il D.Lgs. n. 257 del 1991, che aveva regolato i rapporti dell’Università convenuta con gli appellanti, a tale scopo richiamando pure Cass. n. 20403/2009. Infine, la Corte territoriale riteneva inammissibile il motivo di gravame circa una omessa pronuncia sulla domanda di adeguamento della borsa di studio loro corrisposta, in base alle previsioni di cui all’art. 6, comma 1, del più volte ricordato D.Lgs. n. 257. Infatti, secondo la Corte capitolina, si trattava di domanda in nessuno modo formulata con il ricorso introduttivo del giudizio, laddove le richieste di “adeguata retribuzione” e di risarcimento del danno erano state fondate su causae petendi affatto diverse, giusta quanto desumibile sia dalle rassegnate conclusioni sia dal complessivo esame dell’atto introduttivo;

avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione i dottori B.D. ed altri 13 suoi colleghi, tutti nominativamente indicati in epigrafe, come da atto di cui alla relata di spedizione con servizio postale del 23 gennaio 2017, affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorsi l’Università degli Studi di Roma LA SAPIENZA come da atto del 16 febbraio 2017, nonchè la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il MIUR (Ministero Istruzione, Università e Ricerca), il Ministero della Salute ed il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) giusta l’atto del 9/10 febbraio 2017. E’ rimasta intimata, invece, la Regione Lazio;

soltanto i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa in vista dell’adunanza del collegio fissata in Camera di consiglio per il giorno 19 giugno 2019.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo i ricorrenti, premesso tra l’altro, di aver frequentato corsi universitari come medici specializzandi presso LA SAPIENZA negli anni accademici compresi tra il 1993/94 ed il 2005/06, hanno denunciato la violazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. 37-41, nonchè artt. 10,36,81 e 97 Cost.. Hanno sostenuto, in particolare, che l’Università aveva illegittimamente omesso di dare immediata attuazione alla disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 368 del 1999 – poi sospeso per effetto del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 – che finalmente aveva dato compiuta attuazione alla normativa comunitaria, avendo recepito la direttiva n. 93/16/CE, ed alla luce di una lettura costituzionalmente orientata delle norme nazionali attuative delle stesse direttive. Invero, il decreto n. 368/1999, rimasto in vigore fino al gennaio 2000, consentiva, secondo i ricorrenti, il godimento dei diritti scaturiti dal combinato disposto degli artt. 37-41, non suscettibili di alcuna sospensione o revoca una volta entrati nella sfera patrimoniale di essi ricorrenti, secondo il principio dei diritti quesiti, risolvendosi altrimenti in una evidente violazione delle rubricate norme costituzionali. Per contro, la Corte d’Appello con motivazione apparente e non adeguata aveva ritenuto osservata la volontà del legislatore nazionale, senza tener conto della più corretta interpretazione sistematica da dare alle norme comunque in vigore nell’ordinamento ed ai profili di incostituzionalità derivanti in caso d’interpretazione non coerente con le direttive Europee ed in violazione dei menzionati principi costituzionali; con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso riconoscimento del diritto al risarcimento del danno da inadempimento dell’obbligo di recepimento delle direttive Europee, nonchè violazione degli artt. 5 e 189 trattato CE, 1453, 1223 e 1225 c.c. – tanto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, con riferimento altresì alla mancata corretta e tempestiva trasposizione della direttiva n. 93/16/CE entro il termine del primo gennaio 1995, laddove d’altro canto il D.Lgs. n. 368 del 1999, era stato espressamente introdotto al fine di dare piena attuazione alla suddetta direttiva. Il diritto al risarcimento del danno da inadempimento di quest’ultima trovava, inoltre, riscontro nella citata giurisprudenza di legittimità, tra cui Cass. n. 23358/2011, danno pari alla differenza tra quanto percepito sino a tutto l’anno accademico 2005/2006 con remunerazione ex D.Lgs. n. 257 del 1991, congelata ai livelli del 1992, ed il trattamento dovuto secondo quanto fissato nei D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007, atteso altresì l’errore di omesso aggiornamento della borsa di studio D.Lgs. n. 257 cit., ex art. 6;

infine, con il terzo motivo i ricorrenti hanno lamentato la illegittimità della condanna alle spese loro inflitta in secondo grado;

le prime due censure, tra loro connesse e perciò esaminabili congiuntamente, sono infondate per le seguenti ragioni, sicchè deve pure escludersi qualsiasi pretesa risarcitoria al riguardo, non sussistendo alcun profilo d’illegittimità da parte dello Stato italiano nel recepimento e dell’attuazione della normativa comunitaria nell’ordinamento interno. Ne deriva anche l’inconferente richiamo agli artt. 1453,1123 e 1225 c.c., la cui violazione non risulta peraltro nemmeno specificamente illustrata con l’anzidetta seconda censura, laddove per di più assolutamente non pertinente nel caso di specie si appalesa il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, visto che l’omesso riconoscimento della pretesa risarcitoria sottende la risoluzione di questioni di diritto, e non già l’omesso esame di circostanze fattuali di ordine storico-fenomenico rilevanti ai fini della decisione;

infatti, va ribadito il principio di diritto (v. tra le altre Cass. Sez. 6-3, ordinanza n. 6355 del 14/03/2018), secondo cui la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui al D.Lgs. cit. (conformi id. n. 13445 del 29/05/2018 e n. 14168 del 24/05/2019);

in particolare, come chiarito in motivazione dalla succitata pronuncia n. 6355 del 30 gennaio/14 marzo 2018, non era corretto in punto di diritto l’assunto, nello specifico affermato dalla Corte territoriale, secondo cui l’Italia avrebbe adeguatamente recepito le direttive comunitarie che impongono il riconoscimento ai medici specializzandi di una “adeguata remunerazione” soltanto con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368 (di recepimento della Direttiva CEE n. 93/16), e con effetti economici decorrenti esclusivamente dall’anno accademico 2006/2007, in relazione al contratto di formazione-lavoro introdotto da tale legge. Di conseguenza, agli specializzandi interessati che hanno percepito compensi inferiori doveva riconoscersi la relativa differenza economica, a titolo risarcitorio. Tale assunto non era però conforme all’indirizzo di questa Corte, già espresso con le sentenze della Sezione Lavoro n. 794 del 16/01/2014 e n. 15362 del 04/07/2014 ed al quale si intendeva dare continuità, secondo il quale il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto una adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui), e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione, di cui al D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368. Quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva CEE n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni), ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratti formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali. Tale contratto, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost., ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi sancito (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. L, sentenza n. 27481 del 19/11/2008, n. 20403 del 22/09/2009, ordinanza n. 18670 del 27/07/2017). Ai sensi della L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300, peraltro, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42 (le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico), sono applicabili solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007. Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo 2007, D.P.C.M. 6 luglio 2007 e D.P.C.M. 2 novembre 2007. Per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato espressamente disposto che continuasse ad operare la precedente disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (sia sotto il profilo ordinamentale che sotto il profilo economico). La Direttiva CEE n. 93/16 (che costituisce, dichiaratamente, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti) non ha d’altra parte carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione. La previsione di una adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 93/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e i relativi obblighi risultano già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257. L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente ed idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunzie di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso D.Lgs. n. 257 del 1991 e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (vedi: Cass. 26 maggio 2001 n. 11565)” (Cass., Sez. L. sentenza n. 12346 del 15 giugno 2016 e n. 18710 del 23 settembre 2016; indirizzo che ha trovato indiretta conferma nella stessa sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Consulta, la quale ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria). Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla L. n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi. L’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991. Ogni eventuale questione sul punto può quindi riguardare esclusivamente l’ordinamento interno. In definitiva, dunque, venivano ribaditi i seguenti principi di diritto: gli obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 – che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli specializzandi – devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa di studio introdotta dal D.Lgs. n. 257 del 1991, nella sua misura originaria; la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata remunerazione; la previsione di un trattamento economico più elevato per i medici specializzandi, a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in coincidenza con la riorganizzazione dell’ordinamento delle scuole di specializzazione e con l’introduzione del contratto di formazione specialistica operate nell’ordinamento interno con il D.Lgs. n. 368 del 1999, costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in relazione all’adeguatezza della remunerazione, e non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006/2007. Infine, il ribadito indirizzo di questa Corte solo apparentemente poteva risultare contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass. n. 8242 e 8243 del 22/04/2015), la cui motivazione non affrontava peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie relativa alla situazione degli iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici successivi al 1998 ed anteriori al 2006/2007, e richiama invero gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991. L’infondatezza delle pretese di parte attrice assorbiva, quindi, ogni altra questione;

analogamente si è pronunciata Cass. lav. con la sentenza n. 4449 pubblicata il 23/02/2018, secondo cui la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sè idoneo elemento di diversificazione della disciplina, nè sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università italiane e quelli iscritti in scuole di altri paesi Europei, atteso che le situazioni giuridiche non sono comparabili, non avendo la Direttiva 93/16/CEE previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico, o disparità di trattamento con i medici neoassunti che lavorano nell’ambito del S.S.N., non comparabili in ragione della peculiarità del rapporto che si svolge nell’ambito della formazione specialistica. Inoltre, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1, in quanto la L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, con disposizione confermata dalla L. n. 289 del 2002, art. 36, comma 1, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6 (v. parimenti Cass. lav. con l’ordinanza n. 15966 in data 11/4 – 13/06/2019, che ha confermato gli orientamenti maturati presso questa Corte, in merito all’insussistenza del diritto dei medici specializzandi titolari di borsa di studio secondo la normativa di cui al D.Lgs. n. 257 del 2001, all’aggiornamento delle somme previsto da tale normativa – cui poi è succeduto, dall’anno 2007, il nuovo trattamento di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999 ed ai D.P.C.M. attuativi del 2007- e ciò sia con riferimento all’indicizzazione, sia con riferimento all’adeguamento parametrato sui miglioramenti della contrattazione collettiva, entrambi previsti dal D.Lgs. n. 257 cit., art. 6, comma 1, precisando che rispetto all’indicizzazione, la pronuncia Cass. n. 4449/18 costituiva soltanto l’ultimo più compiuto arresto di un orientamento in realtà mai incrinatosi – Cass. 27 luglio 2017, n. 18670, 26 maggio 2011, n. 11565, nonchè S.U. 16 dicembre 2008, n. 29345, dovendosi dare continuità al suddetto orientamento, poichè le ragioni indicate a fondamento dei principi affermati, da intendersi richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., andavano integralmente condivise, solo aggiungendosi, rispetto all’assetto della normativa quale già riepilogato da Cass. 4449/18 cit., che il blocco stabilito dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, era stato poi prorogato con la L. n. 266 del 2005, art. 1, secondo cui appunto “la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36…. continua ad applicarsi anche nel triennio 20062008”, sicchè esso era rimasto operativo per tutto il periodo oggetto del giudizio. Analogamente per l’adeguamento agganciato all’evolversi della contrattazione collettiva venivano condivise le argomentazioni svolte dalla più volte ricordata pronuncia di Cass. 4449/18 cit.. Sebbene poi l’incremento fosse stato riconosciuto da Cass. nn. 12624/15, n. 18562/12 e 16385/08 – sul presupposto che il blocco degli incrementi contrattuali non si fosse esteso successivamente al 31 dicembre 1993 e riguardasse solo il biennio 19921993 – l’assunto era stato appunto tuttavia rivisto da Cass. n. 4449/2018, in considerazione non tanto di una diversa interpretazione, quanto piuttosto valorizzandosi una normativa riguardante quanto meno il periodo successivo all’entrata in vigore della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12 e non considerata da quei precedenti, di guisa che non occorreva nemmeno rimettere la questione alla valutazione delle Sezioni Unite, non trattandosi di un reale contrasto, quanto di una rilettura di più ampio respiro normativo e di specifica inerenza al periodo successivo alla L. n. 449 del 1997, che ha portato a riconoscere l’esistenza del blocco anche per tale aggiornamento. Infondata era altresì la censura relativa al mancato riconoscimento dell’indicizzazione annuale, sempre alla stregua della sopra citata Cass. n. 4449/2018 e dei principi di diritto all’uopo richiamati); pertanto, alla luce dei succitati principi sono del tutto ingiustificate le rivendicazioni, creditorie e risarcitorie, dedotte dai ricorrenti, avendo essi frequentato corsi di specializzazione soltanto relativi agli a.a. dal 1993/94 al 2005/06;

del tutto inammissibile, infine, è il terzo motivo di ricorso, concernente la lamentata condanna alle spese relative al secondo grado del giudizio di merito, visto che a tal riguardo nessuna specifica violazione di legge risulta denunciata, sicchè la doglianza si appalesa sul punto assolutamente generica, risultando per altro verso inconferenti le deduzioni attinenti al merito della controversia, laddove in proposito rilevano esclusivamente eventuali inosservanze, però nella specie in nessun modo ritualmente precisate, degli artt. 91 c.p.c. e segg., mentre corretta appare l’applicazione nella specie del principio della soccombenza, laddove per altro verso resta affidato al libero e discrezionale apprezzamento del giudicante il potere di compensazione, peraltro nei limiti a tal riguardo fissati dalla legge processuale;

da ultimo, quanto al giudizio di legittimità, questo collegio ravvisa valide ragioni per compensare (tra le parti qui costituite, nulla invece dovendosi provvedere per l’intimata Regione Lazio) le relative spese, avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo delineatosi in ordine agli aggiornamenti delle borse di studio dei medici iscritti alle scuole di specializzazione;

tuttavia, va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in base al tenore letterale della disposizione, per cui l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato al regolamento delle spese processuali, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione negativa in rito dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cfr. sul punto in motivazione Cass., sez. un. civ., n. 22035 del 16/09 -17/10/2014).

P.Q.M.

La Corte RIGETTA il ricorso. Dichiara per intero compensate tra i ricorrenti e le parti controricorrenti le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

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