Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15967 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 08/05/2019, dep. 27/07/2020), n.15967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15909/2017 proposto da:

SANPELLEGRINO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO 2,

presso lo studio dell’avvocato ITALICO PERLINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCO DUGNI;

– ricorrente –

contro

S.F., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA GIUSEPPE

PIZZIGONI;

– controricorrenti –

e contro

Z.G., B.V., U.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 433/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/12/2016 r.g.n. 179/2016.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il Consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello di BRESCIA con sentenza n. 433 in data 24 novembre – 15 dicembre 2016 rigettava i gravami proposti da SANPELLEGRINO S.p.a. come da ricorsi depositati il 5 aprile ed il 28 luglio 2016 avverso, rispettivamente, le pronunce del giudice del lavoro di Bergamo n. 711/9.12.2015 e n. 208/11.03.2016, di contenuto pressochè identico, mediante le quali erano state accolte le domande avanzate dai dipendenti della medesima società appellante, volti ad ottenere l’accertamento della non assorbibilità dell’aumento retributivo (superminimo) ad essi riconosciuto, in date diversi per ciascun lavoratore, da parte datoriale. Sul punto il primo giudicante aveva ritenuto che, alla luce del comportamento osservato dalla società ed in particolare del mancato assorbimento sino al mese di marzo dell’anno 2013 del superminimo nonostante i precedenti rinnovi contrattuali, poteva considerarsi provata la non assorbibilità, di modo che risultava illegittimo l’assorbimento operato unilateralmente da parte datoriale a decorrere da aprile 2013, in occasione della seconda tornata per gli aumenti di retribuzione legati al rinnovo del c.c.n.l. 2012;

la sentenza d’appello è stata quindi impugnata dalla società SANPELLEGRINO con ricorso per cassazione del 9 giugno 2017 (data di richiesta delle notificazioni all’ufficiale giudiziario, che vi provvedeva quindi a mezzo posta con spedizione delle raccomandate a.r. il successivo giorno 10 – cfr. anche i relativi avvisi prodotti, comprovanti l’arrivo a destinazione dei plichi presso i procuratori costituiti in appello per i lavoratori interessati), affidato a cinque motivi, cui hanno resistito S.F. e gli altri 20 litisconsorti in epigrafe mediante controricorso del 27 luglio 2017 (con gli avv.ti Luca Pizzigoni di Bergamo e Pasquale Nappi di Roma, ai quali risultano conferite le procure speciali a margine dell’atto);

successivamente la società ricorrente ha depositato il testo integrale del c.c.n.l. industria alimentare 27.10.2012 come da nota di produzione di altro documento ex art. 372 c.p.c., notificata ai 21 controricorrenti come da relate del 26 gennaio 2018 – presso il domicilio da costoro eletto in Roma, ma anche presso lo stesso domicilio nei confronti di Z.G., B.V. e U.G., i quali sono invece rimasti intimati a seguito della notifica del ricorso per cassazione, non risultando in alcun modo il nominativo di questi ultimi tre litisconsorti nel succitato controricorso notificato il 26 luglio 2017;

i controricorrenti hanno poi depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo (a) la società ricorrente ex art. 360 c.p.c., n. 5 ha denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento alla ipotesi di piattaforma per il rinnovo del c.c.n.l. industria alimentale, nonchè ex art. 360 c.p.c., n. 3, la conseguente violazione e/o falsa applicazione del c.c.n.l. 2012 e precedenti;

con il secondo motivo (b) l’impugnata sentenza è stata censurata, ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso, insufficiente, erroneo e/o contraddittorio esame e motivazione circa un fatto decisivo, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e/o falsa applicazione riguardo al contenuto ed alla portata dei cedolini paga, nonchè omesso, insufficiente, erroneo e/o contraddittorio esame e motivazione ed ancora violazione e/o falsa applicazione della L. 5.1.1953, nonchè dell’art. 50, comma 1, 3, e 5 dell’art. 50 del c.c.n.l. industria alimentare e precedenti;

con il terzo motivo (c), poi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è stata dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione ai motivi che avevano indotto l’azienda ad assorbire il superminimo, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 dello stesso codice di rito;

con il quarto motivo (d) parte ricorrente ha lamentato, ex art. 360 c.p.c., n. 5, omesso, insufficiente, erroneo e/o contraddittorio esame e motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dell’art. 51 del c.c.n.l. industria alimentare circa gli aumenti dei minimi tabellari, oltre che di norme di diritto in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè art. 1362 c.c., comma 2;

infine, con il quinto motivo (e), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è stato denunciato l’omesso, insufficiente, erroneo e/o contraddittorio esame e motivazione circa fatti decisivi per il giudizio, riguardanti la posizione dei lavoratori nominativamente indicati (v. pagg. da 28 a 30 del ricorso per cassazione), con violazione e/o falsa applicazione, altresì, ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 1362 c.c., comma 2, nonchè artt. 35 Cost. e segg., con particolare riguardo al tempo trascorso, per ciascun interessato, tra il riconoscimento del superminimo e l’assorbimento in seguito operato per effetto del c.c.n.l. 2012, sicchè gli esigui intervalli temporali non potevano minimamente integrare il requisito di cui all’art. 1362 c.c., comma 2;

tanto premesso, le anzidette censure vanno disattese in base alle seguenti ragioni; in primo luogo, va ricordato il principio, però nella specie violato dalla società ricorrente – la quale in larga misura ha sostenuto l’errata applicazione della contrattazione collettiva – secondo cui nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. (Cass. lav. n. 4350 del 4/3/2015, secondo cui inoltre nemmeno può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti. V. in senso conforme anche Cass. lav., ordinanza n. 6255 del 4/3/2019, laddove è stato-pure ribadita l’esigenza di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – soltanto con la produzione del testo integrale del contratto collettivo);

la società ricorrente ha, invece, irritualmente, ex art. 372 c.p.c., provveduto a depositare il testo integrale del c.c.n.l. 2012 soltanto in un secondo momento, come da nota di accompagnamento notificata il 26 gennaio 2018, peraltro invalidamente, come si è visto, anche agli intimati presso il domicilio eletto in (OMISSIS) dai soli controricorrenti (cfr. sul punto Cass. lav. n. 16619 del 16/07/2009, laddove si precisava che la declaratoria d’improcedibilità derivante dalla violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non è impedita dal deposito ex art. 372 c.p.c., stante l’incompatibilità di tale deposito con le finalità sottese alla normativa legale sull’accertamento pregiudiziale. Cfr. ancora Cass. lav. n. 16876 del 24/07/2006 che in relazione al “contratto di raccordo al contratto collettivo nazionale”, stipulato nella regione Trentino – Alto Adige ai sensi della normativa di attuazione dello statuto di autonomia, non “nazionale”, nè pubblicato sulla Gazzetta ufficiale ma solo sul Bollettino regionale, a differenza del contratto o accordo collettivo nazionale, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5 e art. 64, comma 1, lo riteneva soggetto al divieto di produzione documentale di cui all’art. 372 c.p.c.. V. inoltre Cass. n. 15073 del 2/7/2014, secondo cui le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 c.p.c., la produzione di nuovi documenti in sede di giudizio di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma. Conforme Cass. n. 23026 del 2006. V. parimenti, tra le altre, Cass. I civ. n. 3735 del 25/02/2004, secondo cui le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 c.p.c., la produzione di nuovi documenti in sede di giudizio di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto, per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, e non si estendono, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento, quali la pretesa irregolare costituzione del rapporto processuale. Infatti, l’art. 372 c.p.c., consente l’esame di nuove prove solo in ordine all’ammissibilità del ricorso e del controricorso ed – appunto – alla “nullità – della sentenza”, formula contratta che non richiama pienamente il concetto tenuto presente nel motivo di cassazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, il quale riguarda la “nullità della sentenza o del procedimento”. V. del resto la diversa sanzione dell’improcedibilità comminata dall’art. 369 c.p.c., comma 2: “Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità… 4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”); per altro verso, risultano inammissibili tutte le censure di parte ricorrente formulate ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento ai pretesi menzionati difetti di motivazione, laddove nella specie, risultando la sentenza qui impugnata pubblicata il 15 dicembre 2016, si applica l’attuale vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per cui rileva al riguardo unicamente l’omesso esame di un fatto storico e decisivo, precisamente ed in modo autosufficiente – ex art. 366 c.p.c. – allegato ed individuato dalla parte ricorrente, mentre l’eventuale carente motivazione, ove inferiore al c.d. minimo costituzionale, occorrente a norma dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., va ritualmente ed univocamente denunciata in termini di nullità ex art. 360 c.p.c., n. 4;

d’altro canto, nel caso in esame non è neppure consentita alcuna censura ex art. 360, n. 5 cit., ancorchè in astratto formulata, stante la preclusione al riguardo di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c., per effetto della doppia conforme derivante dalla conferma, appunto, delle sentenze di primo grado (risalenti agli anni 2015 e 2016, quindi impugnate con ricorsi depositati nell’anno 2016) ad opera della pronuncia d’appello, in data 24 nov. – 15 dic. 2016, mediante il rigetto degli relativi gravami, avendo pure omesso parte ricorrente di allegare, tra l’altro, eventuali diversità di ragionamento in punto di fatto tra le decisioni di primo grado e quella pronunciata in sede d’appello;

invero, ulteriori rilevanti profili d’inammissibilità – ex art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6 – derivano dalla omessa compiuta riproduzione, in particolare (ma non solo), delle sentenze di primo grado, con relative motivazioni, poi condivise anche per relationem da quella di appello, nonchè gli stessi motivi addotti a sostegno del gravame interposto dalla medesima SANPELLEGRINO, sicchè è anche impossibile verificare l’attinenza di molte delle questioni poste da quest’ultima con il ricorso per cassazione in relazione alle correlative ragioni fatte valere in sede di merito, non potendosi evidentemente in sede di legittimità aver riguardo a temi d’indagine in precedenza non esaminati e rimasti perciò estranei a puntuali impugnazioni di merito (cfr. tra le altre Cass. lav. n. 20518 del 28/07/2008: ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa. Conforme Cass. II civ. n. 2038 del 24/01/2019. V. in senso analogo tra le altre anche Cass. III civ. n. 14590 del 12/07/2005. Cfr. ancora Cass. II civ. n. 14477 del 06/06/2018: nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il “thema decidendum” ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio.

Parimenti, secondo Cass. I civ. n. 25319 del 25/10/2017, nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Conforme Cass. II civ. n. 20712 del 13/08/2018);

per contro, la Corte di merito, dopo aver ripercorso tutti i fatti salienti della questione (riconoscimento agli appellati da parte aziendale, fin dagli anni 80′ per i casi più antichi e sino a gennaio 2008 per quelli più recenti, di un aumento retributivo individuale c.d. superminimo in busta paga e mediante comunicazione attestante l’apprezzamento datoriale per i risultati ottenuti dal diretto interessato, superminimo quindi in parte assorbito per decisione aziendale a far luogo da aprile 2013 in relazione agli aumenti dalla paga base previsti dal c.c.n.l. di ottobre 2012 – assorbimento giustificato dalle sopravvenute modificazioni della situazione economica, a causa di crisi di mercato con conseguente contrazione di consumi), ha ritenuto infondato il primo motivo di gravame, avendo reputato corretta la valutazione operata al riguardo dal primo giudicante in ordine alla ricostruzione della volontà dei contraenti ex art. 1362 c.c., perciò considerandosi anche il comportamento osservato successivamente all’erogazione del superminimo, sicchè, pur avuto riguardo alla regola della ordinaria possibilità di assorbimento del superminimo nei miglioramenti previsti dalla disciplina collettiva, secondo la citata giurisprudenza di cui al precedente di Cass. n. 14689/12, ciò nondimeno poteva essere pur sempre dimostrata la possibilità di provare un titolo di esclusione dell’assorbimento. La Corte territoriale rigettava pure, con pertinenti argomentazioni in punto di fatto, il secondo motivo di appello, relativo alle indicazioni contenute in proposito nella busta paga e circa la non univocità del temporaneo mancato esercizio della facoltà di non procedere all’assorbimento al fine di poter dimostrare la volontà di non avvalersi in futuro della stessa facoltà (cfr. pagine da 10 a 12 della sentenza impugnata: “… Non può quindi ritenersi, come vorrebbe l’azienda, che se il superminimo percepito…fosse stato “non assorbibile” sarebbe stato inserito in busta paga sotto la voce “ad personam non assorbibile”, perchè quest’ultima voce riguarda altro tipo di emolumento risultando corretta la ricostruzione della volontà negoziale di sottrarre il superminimo al principio dell’assorbimento, desunta dal costante comportamento tenuto dalla società in occasione dei vari rinnovi contrattuali c.c.n.l. industria alimentare… 14.7.2003… 27.10.2012 e dal riconoscimento dei relativi incrementi retributivi. A tal proposito è utile osservare che assai numerosi sono i casi in cui il superminimo è stato riconosciuto in epoca anteriore – anche di molti anni – ai suddetti rinnovi…

Ora, il fatto che sino ad aprile 2013 non vi sia stato alcun assorbimento, lungi dal costituire un mero temporaneo mancato esercizio del potere di procedere all’assorbimento, si configura come una condotta incompatibile con la volontà di voler mantenere l’aumento retributivo in questione come superminimo non assorbibile, tenuto anche conto della diffusione di tale condotta tra la generalità dei dipendenti”);

analoghe puntuali motivazioni a sostegno di apprezzamenti sulle acquisiste risultanze fattuali sono state operate dalla Corte di merito per rigettare il terzo motivo di gravame, avuto riguardo alle singole posizioni lavorative (cfr. pagg. 13/15 della sentenza d’appello, con specifico riferimento ai sigg. Z., M., C., T., G., BA., L., U. e LI.), dopo aver parimenti osservato, per tutti gli appellati, che il primo assorbimento si era avuto soltanto nell’aprile 2013, laddove il rinnovo del contratto collettivo di ottobre 2012 aveva previsto un aumento della retribuzione tabellare pari a 126,00 Euro mensili, da erogarsi in quattro tranches, di cui la prima con decorrenza fin dal primo ottobre 2012, sicchè il diritto all’aumento era sorto già con il rinnovo del contratto collettivo, mentre la sua mera erogazione era stata frazionata nel tempo. Di conseguenza, secondo la Corte d’Appello, l’aumento effettivo della retribuzione tabellare cui far riferimento risultava dalla sua introduzione in sede di rinnovo del c.c.n.l., essendo certo che il mancato assorbimento del superminimo già in sede di erogazione della prima tranche aveva logicamente comportato il mancato assorbimento delle tranches successive;

pertanto, occorre., ricordare che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. I civ. n. 640 del 14/01/2019 circa le censure consentite ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. V. altresì Cass. sez. 6 – 5, ordinanza n. 29404 del 7/12/2017, secondo cui con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità. In senso conforme, v. tra le altre, Cass. I civ. n. 16056 del 2/8/2016: l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. Parimenti, secondo Cass. Sez. 6-5 n. 9097 del 7/4/2017, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Cfr. ancora similmente Cass. V civ. n. 19547 del 4/8/2017, nonchè Cass. sez. un. civ. n. 13045 del 27/12/1997);

per contro nel caso di specie, oltre alle carenze sopra evidenziate, con le menzionate proprie censure contesta in blocco la ricostruzione e le valutazioni compiute dalla Corte bresciana con la sentenza qui impugnata, cui contrappone complessivamente diversità di prospettazioni nel merito con relativi apprezzamenti dei fatti, ciò che alla stregua della succitata consolidata giurisprudenza non è consentito in questa sede di legittimità;

nella fattispecie in esame, pertanto, alla stregua delle preliminari precedenti considerazioni, con particolare riguardo alla rilevata violazione degli artt. 360,366,369 e 372 c.p.c., per effetto altresì della preclusione da doppia conforme ex cit. art. 348-ter, una volta pure accertati i fatti di causa nei sensi ritenuti dagli aditi giudici di merito, nemmeno si ravvisano errori di diritto nell’impugnata sentenza, tenuto conto anche che l’interpretazione del contratto, è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, laddove inoltre il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c., alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici anche laddove il testo dell’accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti debba essere operata innanzitutto sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti. Ed al riguardo va altresì tenuto conto che in sede di denuncia di un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale le relative censure non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr. sul punto Cass. III civ. n. 28319 del 28/11/2017, in senso analogo v. anche Cass. lav. Sez. L, Sentenza n. 14318 del 06/06/2013, nonchè I sez. civ. n. 10131 del 02/05/2006, II civ. n. 3644 del 16/02/2007, III civ. n. 24539 del 20/11/2009, id.n. 16254 del 25/09/2012, I civ. n. 6125 del 17/03/2014, id. n. 27136 del 15/11/2017);

d’altro canto, la sentenza impugnata non si pone nemmeno in contrasto con la presunzione, relativa, connessa all’assorbimento, nel senso che il superminimo si ritiene di solito assorbito dai miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva ovvero per il conseguimento di un inquadramento superiore, sicchè in tali evenienze ben può il giudice di merito ritenere superata detta presunzione in base alle acquisite risultanze istruttorie, per cui resta a carico del lavoratore istante l’onere probatorio e di allegazione circa la sussistenza del titolo che autorizza il mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento (cfr. Cass. lav. n. 26017 del 17/10/2018 e n. 14689 del 29/08/2012. V. parimenti Cass. lav. n. 19750 del 17/07/2008 con riferimento all’ipotesi di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente e sia quindi sorretto da un autonomo titolo, alla cui dimostrazione, alla stregua dei principi generali sull’onere della prova, è tenuto lo stesso lavoratore. In senso conforme Cass. lav. n. 12788 del 9/7/2004 e n. 11139 del 21/10/1991. V. altresì Cass. lav. n. 21555 del 12/10 – 12/11/2004: “… Va ricordato che l’interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune è riservata, data la loro natura contrattuale, all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 c.c. e segg.) ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, ferma la necessità che le censure precisino gli errori addebitati al giudice di merito, non essendo sufficiente la mera prospettazione di una interpretazione o di una conclusione diversa da quella genericamente censurata (cfr., fra le tante, Cass. 24 marzo 1987 n. 2872; 19 gennaio 1995 n. 551; 15 dicembre 2001 n. 12518; 20 gennaio 2003 n. 732). Quanto al preteso principio di diritto del normale assorbimento del superminimo nei miglioramenti contrattuali, va precisato che un tale principio non è mai stato affermato da questa Corte, essendo state, invece – e non poteva essere altrimenti, considerati i ricordati limiti del giudizio di legittimità con riferimento a disposizioni contrattuali di diritto comune -semplicemente confermate sentenze di merito che avevano ritenuto sussistente, nel caso concreto, tale regola contrattuale. La Corte di Appello ha osservato che “le somme erogate con l’espressa dicitura di “assegno ad personam” non possono che remunerare la professionalità della prestazione, meglio rapportando la retribuzione al valore economico della professionalità raggiunta, e tende comunque ad assicurare al dipendente un miglior trattamento retribuivo rispetto ai minimi tabellari della contrattazione”. Ha quindi rilevato che gli scatti di anzianità non potevano essere assorbiti da precedenti o successivi aumenti di merito, così chiaramente, seppure implicitamente, equiparando, agli effetti della non assorbibilità di miglioramenti contrattuali, i superminimi concessi allo scopo di assicurare al dipendente un miglior trattamento retribuivo rispetto ai minimi tabellari ai superminimi concessi per compensare la professionalità raggiunta. Si tratta di una motivazione congrua, non illogica, cui la ricorrente si limita a contrapporre una diversa interpretazione, che vorrebbe compensabile la migliore retribuzione (rispetto al minimo contrattuale), concessa a tutti gli operai fin dall’inizio del rapporto, con futuri aumenti contrattuali. A ben guardare tale tesi deve essere sembrata insostenibile alla stessa società, che l’ha ridimensionata con una asserita dichiarazione di intenti collegata alla erogazione del superminimo (“per evitare possibili malcontenti e contestazioni per eventuali errori marginali che possano verificarsi sulle retribuzioni mensili correnti”), dichiarazione di intenti ricavatole da circolari prodotte nel corso del giudizio di primo grado…”);

pertanto, alla stregua del surriferito ragionamento decisorio seguito dalla Corte di merito, appaiono inconferenti le diverse prospettazioni in punto di fatto allegate da parte ricorrente in sede di legittimità, per giunta come già detto generiche e non autosufficienti, sicchè il ricorso de quo va respinto;

le relative spese seguono il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata, ovviamente nei soli riguardi dei costituiti controricorrenti (perciò non anche a favore degli intimati Z., B. e U., per i quali non è stata svolta alcuna attività difensiva);

infine, sussistono i presupposti processuali ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, per cui ne va dato atto come da dispositivo.

PQM

La Corte RIGETTA il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi ed in Euro 6500,00 (seimilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, con attribuzione agli avvocati Luca Pizzigoni e Pasquale Nappi, procuratori anticipatari costituiti per i controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

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