Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15966 del 27/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2020, (ud. 08/05/2019, dep. 27/07/2020), n.15966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15549/2017 proposto da:

L.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RIMINI, 14,

presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA CARUSO, rappresentata e

difesa dall’avvocato NELLO CASSATA;

– ricorrente –

contro

N.G.F., N.S., N.V., tutti nella

qualità di eredi di N.F., domiciliati in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati PAOLA DORA MAGAUDDA, ROBERTO

PICCIOLO, CATERINA MARULLO;

– controricorrenti –

e contro

N.P., M.G.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1354/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 15/12/2016; r.g.n. 889/2013.

LA CORTE, esaminati gli atti e sentito il Consigliere relatore.

 

Fatto

RILEVA

che:

la Corte d’Appello di Messina con sentenza n. 1564 in data sei – 15 dicembre 2016 rigettava il gravame interposto da L.N. contro N.P., G.F., S. e V., nonchè nei confronti di M.G.F., tutti i quali eredi di N.F. (deceduto il (OMISSIS), alle dipendenze del quale l’appellante aveva lavorato come badante), avverso la sentenza n. 995 del 20 maggio 2013, con la quale l’adito giudice del lavoro del Tribunale Barcellona Pozzo di Gotto, accogliendo i ricorsi in opposizione, contenenti domande riconvenzionali dei signori N., revocava il decreto ingiuntivo da costoro opposto, condannando l’appellata a restituire a N.P., G.F., S. e V., nella anzidetta qualità di eredi, la somma di Euro 14.428,91 ciascuno al netto della quota di 1/5 compensabile per il t.f.r. reclamato dalla L. e di cui al suddetto decreto ingiuntivo, condannando altresì gli stessi signori N. a corrispondere all’appellata la somma lorda di Euro 618,55 per il t.f.r. (nella restante quota non compensabile), oltre accessori di legge nonchè la stessa al rimborso dei 2/3 delle spese di lite a favore dei predetti, compensato il residuo terzo;

la Corte territoriale, disattesa la preliminare – l’eccezione di incompetenza sollevata dalla opposta L. in relazione alle domande riconvenzionali spiegate dagli opponenti, osservava come il primo giudicante avesse evidenziato che tali riconvenzionali si fondassero sul dato incontroverso del versamento da parte del loro dante causa, N.F., della somma di Euro 49.175,5 sul conto estero della L., nonchè sul prelievo da parte di quest’ultima della somma di Euro 24.000,00 dal conto corrente cointestato presso la Banca Monte dei Paschi di Siena. I versamenti in questione recavano le causali “contratto di lavoro” e “aiuto economico”, le quali non legittimavano la badante a trattenere detti importi. Infatti, quanto alla causale contratto di lavoro, la lavoratrice aveva sempre ammesso di aver ricevuto tutti gli emolumenti dovuti ad eccezione del t.f.r., per cui aveva chiesto il decreto ingiuntivo quindi opposto, così escludendosi per sua stessa ammissione che nella causale contratto di lavoro potesse riconoscersi l’adempimento del debito da parte del datore di lavoro. N.F., infatti, ebbe ad erogare tutte le retribuzioni dovute nel corso del rapporto, sicchè era da escludere, come già rilevato dal primo giudicante, che vi fosse stato un ritardo nel pagamento alle scadenze mensili, tale da giustificare il versamento di Euro 20.000,00 nell’arco di due mesi consecutivi, stante l’entità della retribuzione pattuita ed erogata nel tempo. Quanto, poi, alla causale aiuto economico, la quale escludeva di per sè un ipotetico adempimento dell’obbligo retributivo, la stessa denotava la gratuità della disposizione patrimoniale, che la rendeva assimilabile ad una donazione, la quale non poteva certamente ritenersi di modico valore. Non poteva, infatti, aversi riguardo al solo profilo soggettivo, desumibile dalle condizioni economiche del donante, occorrendo invece aver riguardo anche all’aspetto oggettivo dell’atto, rilevato dal giudice adito, che aveva richiamato l’importo consistente dei bonifici, rapportati all’entità della retribuzione, e la loro continuità nel breve arco temporale in cui i bonifici stessi erano stati messi. La medesima natura (donazione) doveva riconoscersi al prelievo di Euro 24.000,00 dal conto corrente cointestato, poichè lo stesso conto rappresentava una donazione indiretta, soggetta quindi al medesimo regime. In proposito, con riferimento sia ai prelievi che ai bonifici, la Corte territoriale richiamava la giurisprudenza circa la nullità della donazione contenuta in una scrittura privata, qualunque fosse la denominazione dell’atto, nonchè l’imprescindibilità della forma dell’atto pubblico per la validità di ogni donazione, anche se contenuta in accordo di separazione consensuale, per cui inoltre è sempre necessaria per la validità della stessa l’assistenza di due testimoni, ciò non potendosi supplire neppure con la prestazione del giuramento decisorio.

Richiamata, inoltre, la nozione di donazione indiretta quale negozio indiretto, costituente risultato del collegamento tra due atti, consistente nella elargizione di una liberalità che viene attuata, anzichè con il negozio tipico descritto dall’art. 769 c.c., mediante un negozio oneroso che produce, in concomitanza con l’effetto diretto che gli è proprio ed in collegamento con altro negozio, l’arricchimento animo donandi del destinatario della liberalità medesima (la Corte d’Appello citando sul punto Cass. 2110-2015 n. 21449), ne derivava ulteriormente la nullità della donazione diretta di una somma di danaro, anche nel caso di trasferimento di titoli dal conto deposito del donante al conto deposito del donatario. Sul punto andava, inoltre, disattesa la contestazione dell’appellante, secondo cui la nullità della donazione sarebbe stata pronunciata in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che la questione della nullità della donazione era stata invero già prospettata dai germani N. con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, allorquando avevano chiesto la restituzione di tutte le somme incamerate dalla L., deducendo che il prelievo da parte del correntista che non ha effettuato versamenti non può costituire donazione indiretta a suo favore e che l’eventuale donazione indiretta sarebbe nulla per difetto del requisito della forma solenne. La questione, peraltro, era stata già dibattuta tra le parti come si rilevava agevolmente dai verbali di causa (udienze del 27 febbraio 2012 e 20 maggio 2013). La stessa L., nel costituirsi in giudizio, oppose alla domanda di restituzione delle somme ricevuta dal N.F., ovvero dalle stessa prelevate dal conto corrente cointestato, proprio il fatto che si trattava di donazioni indirette, facendo sì che la questione si incentrasse anche sul titolo in base al quale erano stati eseguiti i trasferimenti di danaro. La Corte territoriale rilevava, altresì, l’infondatezza delle contestazioni di parte appellante circa il valore probatorio dei documenti bancari prodotti dagli eredi N. a sostegno dell’istanza di restituzione delle somme, come già ritenuto dal primo giudicante circa la validità di tali prove documentali. Per un verso, infatti, la L. costituendosi in giudizio non aveva contestato che ci fossero stati trasferimenti di danaro su cui si fondava la pretesa restituzione ex adverso avanzata. Per altro verso, i documenti de quibus erano costituiti da fotocopie di versamenti, di bonifici di prelievi, i quali formavano piena prova dei fatti e delle cose ivi rappresentate, come ogni altra rappresentazione meccanica dei fatti e di cose, se colui contro il quale sono state prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime, all’uopo richiamandosi l’art. 2712 c.c.. Inoltre, occorreva uno specifico e non già un generico disconoscimento e come tale riferito ad una ben determinata ed individuata copia. Nel caso di specie la L., anche in sede di gravame, non aveva contestato la corrispondenza delle copie prodotte rispetto all’originale, bensì e genericamente, come da pagina 3 tre della memoria difensiva con nota a margine, il valore dei documenti prodotti da controparte al fine di dimostrare che si trattava di donazioni indirette. Dunque, non vi era la necessità di sottoporre verificazione le scritture bancarie prodotte e ben poteva il giudice utilizzare tali documenti per dedurne la prova dell’effettività di trasferimenti di danaro e delle causali di tali trasferimenti, non essendo sufficiente, ai fini del disconoscimento, la semplice contestazione dell’efficacia probatoria del documento in rapporto al suo contenuto;

avverso la pronuncia di appello ha proposto ricorso per cassazione, in data 15/16 giugno 2017, la sig.ra L.N., affidato a sette motivi, cui hanno resistito N.G.F., V. e S., mentre gli altri sono rimasti intimati; memorie illustrative sono state depositate per la ricorrente e per i suddetti contro ricorrenti (cfr. in particolare gli avvisi di ricevimento delle raccomandate spedite il 16.6.2017, pervenuti agli intimati N.P. presso avv. Alessandro Cattafi costituito in appello in data 21.6.2017 in Barcellona P.G., e a M.F.G., contumace in appello, personalmente quindi al suo domicilio in (OMISSIS)).

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la ricorrente ha denunciato violazione delle norme sulla competenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, con riferimento agli artt. 33,40 e 104 c.p.c.. Con l’intervento volontario del M., che, in via gradata rispetto all’eccezione d’incompetenza per materia, aveva chiesto di accertare la sua qualità di erede e di conseguenza la titolarità di un quinto dell’eventuale importo derivante dal credito vantato dagli opponenti in via riconvenzionale (quinto per il quale l’interveniente, in via subordinata, previo riconoscimento aveva dichiarato espressamente di rinunciare), si era venuta a creare sostanzialmente anche una causa tra i coeredi per la quota pretesa dal M.. Quindi, le domande di rivendicazione di eredità nei confronti di soggetti anche parzialmente diversi non potevano proporsi cumulativamente se appartenenti alla competenza territoriale e per materia di giudici diversi. Inoltre, lo spostamento di competenza secondo il criterio del cumulo soggettivo non era possibile, riguardando l’art. 33 il foro generale delle persone fisiche. L’art. 104 c.p.c., in tema di pluralità di domande contro la stessa parte stabilisce che contro quest’ultima possono proporsi nel medesimo processo più domande (art. 33) anche non altrimenti connesse, purchè si osservata la norma dell’art. 10 c.p.c., comma 2. L’art. 10 c.p.c., comma 2, riguarda la determinazione del valore, per cui le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, e gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano col capitale. Di conseguenza, secondo la ricorrente, se una delle domande appartiene alla competenza territoriale e per materia di un giudice diverso, come nel caso in esame, la deroga per soli motivi di connessione soggettiva non era consentita. La ricorrente, che indica peraltro come suo luogo di residenza (OMISSIS), rientrante nel circondario del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, assume che il giudice del lavoro adito nel caso di specie avrebbe dovuto dichiarare la propria incompetenza territoriale e per materia a favore del giudice ordinario, ossia il giudice della sezione distaccata di Milazzo del medesimo Tribunale (all’epoca non soppressa), ovvero quanto meno trasmettere gli atti al presidente del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, affinchè provvedesse con decreto ex art. 83 ter disp. att. c.p.c., sicchè “il giudice del lavoro non avrebbe potuto pronunciarsi in quanto incompetente per materia rispetto ad un giudizio attribuito alla cognizione del giudice ordinario, che avrebbe necessitato di una ben diversa e ampia istruttoria”;

con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla documentazione di mere riproduzioni meccanografiche di bonifici e versamenti bancari, circa pretese elargizioni di danaro in favore di essa ricorrente, sostenendosi, tra l’altro, che non sarebbe mai stata dimostrata la riconducibilità del conto corrente, su cui affluivano i bonifici, alla sua persona. La ricorrente ha sostenuto, altresì, che nel costituirsi in giudizio aveva tempestivamente contestato la rispondenza ai fatti di tale ricostruzione, diligentemente riconoscendo che dei versamenti in suo favore erano stai eseguiti dal de cuius, ma che – in gran parte – alcuni di essi costituivano adempimenti in un’unica soluzione di numerose mensilità pregresse a lei dovute in ragione del rapporto di lavoro e che altri erano liberalità di modico valore, poichè le somme non erano certamente quelle spropositate che sembravano emergere dalle riproduzioni meccanografiche, di cui contestava la genuinità. Per contro, l’impugnata sentenza aveva affermato che la ricorrente non aveva disconosciuto agli effetti di legge la menzionata documentazione bancaria della Western Union versata in atti in fotocopia. Però il disconoscimento di cui all’art. 2719 c.c., si atteggiava diversamente da quello ex art. 215 c.p.c.. Ed in tal senso essa L. aveva tempestivamente chiesto lo stralcio della documentazione in copia, instando per l’esibizione degli originali, ove realmente esistenti, in quanto le somme indicate nelle anzidette riproduzioni, accampate ex adverso, non rispondevano a quanto di sua conoscenza e non erano contestabili dalla medesima diversamente, essendole stata nelle more sottratta l’intera sua documentazione bancaria di pertinenza, come da verbale di riconsegna dell’immobile sito in (OMISSIS) in data 12 marzo 2011 (doc. 3 del fascicolo di parte di primo grado, laddove la L. aveva fatto presente di non rinvenire documenti della Western Union, già contenuti in una borsa marrone, con i quali aveva operato i propri trasferimenti di denaro). Inoltre, aveva ritualmente evidenziato che la documentazione prodotta dai N. era priva di qualsivoglia istanza di relativa richiesta agli enti di credito corrispondenti, donde la convinzione che le succitate fotocopie non fossero genuine (la nota 9 in calce alla pag. 12 del ricorso per cassazione sul punto riporta un passo della memoria di costituzione nel proc. n. 579-11 r.g., pgg. 18 e 19 – peraltro, a pag. 2 del controricorso si accenna alla riunione in primo grado dei procedimenti sub. n. 597/2011 r.g. – sono virgolettate in corsivo testualmente le seguenti parole: “alcun atto ufficiale – necessario all’uopo – e indirizzato alle banche e/o istituti di credito nè alla Western Union, a seguito del quale… sarebbero venuti… in possesso di quanto versato in atti… le asserite indagini delle controparti (non corredate… da alcuna pregressa istanza) avessero avuto quale risultato l’acquisizione di mere fotocopie di documenti, tra l’altro non supportate da alcuna missiva di accompagnamento degli Enti presso cui si sarebbero rivolte”). Pertanto, la Corte d’Appello aveva errato nell’applicare alla contestazione o meglio al disconoscimento di quell’art. 2719 c.c., la disciplina invece dettata dall’art. 215 codice di rito. In ogni caso, essa ricorrente aveva espressamente contestato la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ribadendo a più riprese che vi erano stati dei bonifici in suo favore dal de cuius, ma non dell’ammontare risultante nelle fotocopie. Inoltre, in altro procedimento, vertente tra le stesse parti, in sede di memorie ex art. 183 c.p.c., comma 6, la stessa, per la prima volta era avvenuta conoscenza di uno stralcio scalare depositato dalle controparti in cui si rilevava che uno dei versamenti, più precisamente quello del tre – 12 aprile 2007, non era andato a buon fine ed era comunque stato restituito dal conto corrente straniero sul quale il N. avrebbe eseguito bonifici (riferimento nota 10 in calce alla pagina 13 del ricorso per cassazione – all. fascicolo di parte secondo grado). Tanto deponeva per l’assoluta infedeltà e/o inattendibilità della documentazione prodotta in fotocopia…

Essa L., infatti, dimostrando la propria buona fede, aveva riconosciuto delle dazioni in danaro da parte del N., ma non nei versamenti e negli importi indicati dagli opponenti attraverso la irrituale produzione documentale “(cfr. pag. 22 memoria di costituzione)”, evidenziando come nei versamenti effettivamente operati dal N. confluissero, comunque, mensilità di lavoro e risparmi della stessa. In tal modo per un verso era stata dedotta l’inesistenza degli originali e per altro verso eccepita l’inefficacia probatoria delle copie fotografiche/fotostatiche in mancanza degli originali, laddove controparte rispetto alle contestazioni in sede di udienza verbalizzata la propria riserva di esibire gli originali ove nella propria disponibilità, ad ogni modo facendo presente che aveva reperito unicamente le copie prodotte tra gli incartamenti del defunto padre; ciò che secondo la ricorrente risultava impossibile essendo stato escluso dagli stessi N. nel verbale di consegna dell’immobile in data 12 marzo 2011. Ergo la documentazione prodotta in copia non era stata rinvenuta negli incartamenti del defunto, per stessa ammissione delle controparti, nè richiesta ad istituti bancari, sicchè, stante l’inesistenza degli originali, il giudice avrebbe comunque dovuto ordinarne la produzione in giudizio. Nè la Corte distrettuale aveva dato conto di altri elementi incontrovertibili, che l’avessero indotta a ritenere provati i fatti contestati dalla ricorrente;

con il terzo motivo è stata denunciata la nullità della sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nullità della sentenza inoltre per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1193 e 1195 c.c.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1188 e 1189 c.c., nonchè art. 2697 c.c. e artt. 115-116 c.p.c. – omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Infatti, i due versamenti asseritamente ordinati dal de cuius a favore di essa ricorrente, di cui alle fotocopie versati in atti dagli eredi N., avevano come espressa causale “contratto di lavoro”. Inoltre, quello di aprile 2007 era tornato indietro e comunque non era andato a buon fine, giusta lo stralcio scalare depositato telematicamente e in copia di cortesia il 21 settembre 2015 (“nostro riferimento (OMISSIS) – ordinante banca estera a favore di N.F., (OMISSIS) – motivazione rest. ns. P/0 eur 10.000,00 val 070411 BNF L.N.” – cfr. stralcio estratto conto bancario (OMISSIS), cfr. all. fascicolo di parte secondo grado) – La ricorrente, incoando l’azione dinanzi al tribunale del lavoro, in buona fede, aveva domandando soltanto la liquidazione del t.f.r., nulla chiedendo per gli stipendi dovuti negli anni dal signor N.F.. Secondo la ricorrente, inoltre, i due bonifici bancari, o meglio quello del 9 marzo 2007, essendo l’altro del 12 aprile 2007 non andato a buon fine, costituivano riconoscimento di debiti ai sensi dell’art. 1988 c.c., stante l’imputazione specifica operata dal medesimo N.F., non contestata dalle controparti ai sensi dell’art. 115 c.p.c. e sottratta al libero apprezzamento del giudicante, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., che aveva altresì violato l’art. 2697 c.c., mancando peraltro qualsivoglia firma di quietanza di essa ricorrente sulle buste paga. Quindi, il giudicante avrebbe dovuto attenersi come per legge a quanto risultante dalle fotocopie dei bonifici, avuto riguardo alla loro rilevanza probatoria ex art. 2712 c.c. (in tema di riproduzioni meccaniche che quindi formano piena prova dei fatti e delle cose ivi rappresentati, se colui contro il quale sono prodotte non de disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime). Dunque, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe stata tamquam non esset nonchè pronunciata extra petitum;

con il quarto motivo è stata denunciata la nullità della sentenza impugnata per error in procedendo ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su di un motivo di gravame in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 1101 c.c., comma 1 e art. 1298 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Al riguardo la ricorrente ha sostenuto che erroneamente i giudici di merito avrebbero attribuito l’esclusiva titolarità del conto corrente, di cui ai prelievi operati dalla stessa per 24 mila Euro, laddove, trattandosi di conto cointestato, doveva presumersi la titolarità in parti uguali di quanto ivi depositato, a credito ovvero a debito – presunzione superabile soltanto in base a dati incontrovertibili, gravi, precisi e concordanti, ciò che non si era verificato nella specie da parte degli eredi del de cuius. La sentenza de qua, pertanto, aveva violato anche l’art. 2697 c.c., nonchè pronunciato condanna nei confronti di essa ricorrente, quanto alla restituzione delle somme di cui al menzionato conto corrente, cointestato, senza assolutamente motivare rispetto all’eccezione di comproprietà regolarmente formulata, sia in primo grado che con le conclusioni dell’atto d’appello, a pag. 23, punto 13, instando per la declaratoria di proprietà quantomeno della metà delle somme sul corrente cointestato dal sig. N. a favore della sig.ra N.. In proposito era stata infatti censurata la sentenza di primo grado, che aveva inteso superare la presunzione legale in argomento unificando le due distinte eccezioni di comproprietà e di donazione indiretta, quantomeno sul residuo, ricavandone una implicita ammissione di versamenti provenienti dal solo defunto, e così di fatto avendo confuso il giudice di primo grado, secondo l’appellante, le presunzioni semplici, rimesse al prudente apprezzamento del giudice, con quelle legali, relative come nel caso di specie, rispetto alle quali tale facoltà non è consentita al giudice, dovendo la parte interessata dimostrare il contrario. Pertanto, l’appellante aveva reiterato la presunzione di proprietà in parti uguali ex artt. 1101 e 1298 c.c., delle somme cointestate relativamente al conto corrente accesso presso la banca Monte dei Paschi di Siena, per poi assumere “solo ed esplicitamente, per mera ipotesi, in ogni caso, la natura di donazione indiretta della cointestazione con riferimento alle somme che avrebbero dovuto risultare provate essere state versate dal solo N.”. Quindi, si era doluta di una perplimente interpretazione degli atti difensivi, di una violazione del principio dell’onere della prova, di una lesione del giusto processo, di una utilizzazione a contrario delle richiamate presunzioni di legge contro il dettato normativo, con ciò rendendo una sentenza in violazione del contraddittorio e della parità delle parti nel giudizio ex art. 111 Cost.. Su tali specifiche eccezioni, però, la Corte d’Appello aveva totalmente omesso di pronunciarsi, essendosi limitata ad attribuire alla cointestazione esclusivamente natura di donazione indiretta, incorrendo perciò in altro error in procedendo, e di fatto omettendo di motivare rispetto ad una presunzione legale, che invece avrebbe richiesto la prova contraria dai germani N., dimostrando documentalmente la provenienza del danaro da uno solo dei cointestatari del conto, a tal uopo citando in part. Cass. 2-8-2013 n. 18540. Pertanto, la sentenza de qua andava cassata, avendo omesso qualsiasi motivazione circa le anzidette presunzioni ex art. 1101 e 1298 c.c.;

con il quinto motivo, inoltre, è stata dedotta la violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 769,782 e 809 c.c., circa la donazione indiretta, ipotizzata dalla Corte territoriale con riferimento al prelievo di 24.000,00 Euro dal conto corrente cointestato, poichè l’art. 809 non richiama però anche l’art. 782, circa la necessità dell’atto pubblico per la conclusione del contratto di donazione, diretta, a tale scopo tra l’altro citando Cass. n. 21449/2015, però erroneamente richiamata dalla Corte territoriale a sostegno della propria decisione. Di conseguenza, la Corte d’Appello, avendo comunque qualificato la cointestazione come donazione indiretta, avrebbe dovuto necessariamente rilevarne la legittimità, non essendo necessario l’atto pubblico ad substantiam, invece occorrente per le sole donazioni dirette (non di modico valore);

con il sesto motivo, inoltre, la ricorrente ha censurato ex art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza impugnata, per omessa pronuncia sul documento prodotto in giudizio dall’appellante in data 21 settembre 2015 La ricorrente assume di aver prodotto il documento (stralcio bancario del tre aprile 2017, riferibile ad uno dei bonifici con causale contratto di lavoro, prodotto in altro giudizio, n. 1575/2012 r.g. Tribunale Barcellona P.G., con le memorie ex art. 183 c.p.c.), prodotto in questo processo con nota di deposito del 21-09-2015, mai contestata dalle controparti (cfr. anche nota di riferimento sub. 20 in calce alla pag. 23 del ricorso per cassazione). L’estratto scalare ineriva al conto acceso presso la Banca Popolare Italiana e intestato allo scomparso N.F. in ordine al bonifico del 3/12 aprile 2007, alla cui ripetizione era stata condannata la ricorrente, laddove da tale documento si evinceva però la restituzione da parte della ordinante banca estera, dell’importo di 10.000,00 Euro val 070411 BNF L.N., sicchè il bonifico non era comunque mai pervenuto nella disponibilità di essa ricorrente – produzione documentale rimasta senza alcuna contestazione avversaria;

infine, con il settimo motivo è stata lamentata la violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 152 disp. att. c.p.c., in ordine alla censurata condanna alle spese processuali di essa ricorrente appellante, che aveva sottoscritto a pag. 25 dell’atto d’appello la dichiarazione di responsabilità ai sensi dell’art. 76 e 77 del T.U. in materia di spese di giustizia ex D.P.R. n. 115 del 2002. Di conseguenza, secondo la ricorrente, attesa la funzione ed il carattere previdenziale, seppur latamente, del t.f.r., la Corte d’Appello avrebbe dovuto esonerare la medesima ricorrente dalle spese di lite, carattere previdenziale desumibile dall’art. 2122 c.c., con la disciplina ivi dettata per il t.f.r. jure proprio ai prossimi congiunti del lavoratore deceduto, così relegando l’applicabilità delle norme inerenti alla successione legittima – e quindi afferenti alla natura retributiva di detto trattamento – al solo caso di mancanza delle persone indicate dell’art. 2122, comma 1;

tanto premesso, il ricorso va accolto per quanto di ragione limitatamente al quarto ed al sesto motivo, con assorbimento del quinto e del settimo, mentre i primi tre devono essere disattesi, tanto in base alle seguenti ragioni;

invero, per quanto concerne il primo motivo, la censura appare irritualmente formulata, per difetto dei requisiti di specificità e di autosufficienza occorrenti a norma dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, segnatamente per quanto concerne la compiuta riproduzione delle difese svolte dalla sig.ra L. in primo grado circa la competenza del giudice adito, le richieste formulate in prime cure dall’interventore sig. M. (che secondo la pronuncia d’appello si limitava a chiedere l’accertamento dell’adempimento pro quota ereditaria dell’obbligazione relativa al t.f.r. invocato dalla opposta L.), della sentenza di primo grado con relativa motivazione, specialmente riguardo alla questione della competenza delle richieste formulate dal M., il quale peraltro non risulta essersi costituito nel secondo grado del giudizio. Parimenti, la ricorrente ha omesso di riportare compiutamente i motivi del suo appello, per contro appena accennati riassuntivamente come da pag. 5 del ricorso per cassazione. Ne deriva l’impossibilità di verificare soprattutto il presupposto della causa tra coeredi, in forza del quale risulta in effetti formulata la prima censura;

analoghi difetti di autosufficienza connotano il secondo motivo di ricorso in ordine alle asserite contestazioni nei confronti della documentazione bancaria prodotta dagli opponenti sigg. N., di modo che la rilevata carenza non consente in questa sede di verificare il preteso vizio di legittimità di cui alla suddetta doglianza, laddove non sono state nemmeno specificamente individuate le “mere riproduzioni meccanografiche di bonifici e versamenti” ovvero la “documentazione bancaria e della western union versata in atti in fotocopia” in argomento, delle quali ad ogni modo neanche è stato precisamente indicato il contenuto, non rilevando sul punto, tuttavia, il solo riferimento al versamento in data 3-12 aprile 2007, di cui si parla a pag. 13 del ricorso però senza alcun preciso disconoscimento sul punto, tant’è che la circostanza ha formato pertinente oggetto della sesta censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 alle pagg. 23 e 24 dello stesso ricorso per cassazione. Nè ai fini dell’indispensabile autosufficienza basta la riproduzione in corsivo sub nota 9 a pag. 12 del ricorso, siccome inerente a parziale riproduzione delle osservazioni dell’opposta circa l’assenza di richieste da parte degli eredi N. alle banche in ordine all’acquisizione della documentazione, quindi prodotta a suo tempo in copia dagli opponenti, il che, contrariamente a quanto ipotizzato sul punto dalla ricorrente, non equivaleva ad affermare “inequivocabilmente… la non genuinità della documentazione in copia e l’impossibilità che la stessa rispondesse ad asseriti originali” (peraltro, come ribadito pure da Cass. VI civ. – 1 con ordinanza n. 23389 del 16/11/2016, va ad ogni modo precisato che gli estratti conto prodotti dalla banca non sono copie fotografiche o fotostatiche di scritture originali esistenti, ma costituiscono riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, vale a dire della stampa di un’elaborazione computerizzata effettuata dal sistema contabile della banca. La disciplina del disconoscimento di tali registrazioni, pertanto, deve essere rinvenuta, non già nell’art. 2719 c.c., che si riferisce alle copie fotografiche di scritture, ma nell’art. 2712 c.c., con la conseguenza che è onere del debitore contestare la veridicità delle singole operazioni registrate entro i termini contrattualmente previsti. Conformi Cass. n. 14686 del 06/06/2018 e n. 11269 del 15/06/2004. D’altro canto, va ricordato pure che la copia fotostatica o fotografica di un documento ha la stessa efficacia probatoria dell’originale, quando non sia formalmente disconosciuta dalla parte contro la quale è prodotta. La volontà di disconoscere il documento, pur non dovendo manifestarsi con formule sacramentali, deve, tuttavia, risultare da un’impugnazione di specifico e chiaro contenuto, tale cioè da potersi da essa desumere gli estremi della negazione della autenticità del documento – in tal senso v. tra le altre Cass. II civ. n. 1391 del 18/02/1985. Cfr. inoltre Cass. lav. n. 2117 del 28/01/2011, secondo cui in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni stesse la loro qualità di prova – e che va distinto dal “mancato riconoscimento”, diretto o indiretto, il quale, invece, non esclude che il giudice possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite -, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta. In senso analogo Cass. lav. n. 8998 del 3/7/2001);

è da ritenere inammissibile anche il terzo motivo, non solo per carente esposizione, ordinata, dell’iter processuale ivi menzionato con relativa acquisizione delle emergenze istruttorie, ma anche per la commistione dei vizi ivi denunciati, attinenti promiscuamente, pure nella loro confusa enunciazione, sia ad errores in judicando che in procedendo, posto che vi si assume anche la nullità dell’impugnata sentenza siccome pronunciata extra petitum, con ciò presumibilmente intendendosi un vizio di ultrapetizione rilevante ex art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4 (va ad ogni modo smentita la tesi in proposito adombrata dalla ricorrente, secondo cui per effetto delle causali menzionate nelle operazioni bancarie de quibus sarebbero desumibili inderogabilmente riconoscimenti di debito ex art. 1988 c.c., come tali fonti di prova legale non altrimenti valutabili dal giudice di merito. Per contro, già da tempo questa Corte – v. III civ. sentenza n. 1653 del 28/04/1975 – ha ribadito il principio secondo cui l’indagine sul contenuto e sul significato delle dichiarazioni della parte al fine di stabilire se esse importino una ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se risulti sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi logici ed errori di diritto. V. parimenti, tra le altre, Cass. I civ. n. 2205 in data 01/02/2007: in tema di promesse unilaterali, la ricognizione di debito non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale; l’indagine sul contenuto e sul significato della dichiarazione al fine di stabilire se importino ricognizione di debito ai sensi dell’art. 1988 c.c., rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da idonea motivazione. Cfr. altresì Cass. I civ. n. 5734 del 23/03/2004: ai fini dell’inversione dell’onere della prova, di cui all’art. 1988 c.c., al portatore della cambiale è sufficiente l’esibizione del titolo, spettando al debitore cambiario l’onere di provare le eccezioni fondate sul rapporto causale. La presunzione di esistenza della “causa debendi”, che giustifica l’inversione dell’onere della prova, infatti, non sottrae il rapporto sostanziale alle norme e ai patti che lo disciplinano, in relazione ai quali la legge non pone alcuna limitazione alla prova di cui è onerato l’obbligato cambiario e che può riguardare sia l’inesistenza del rapporto sostanziale, sia lo specifico contenuto e causa di esso, sia le modalità e le ragioni dell’eventuale cessazione della vigenza del rapporto o della esigibilità del credito. Il concreto apprezzamento delle risultanze probatorie compiuto in proposito dal giudice di merito è insuscettibile di esame in sede di legittimità);

è, invece, fondato, nei seguenti termini, il quarto motivo, laddove le disposizioni di legge in materia di contitolarità di conto corrente, intestato nella specie al de cuius N.F. ed alla L., circostanza pressochè pacifica in atti, risultano erroneamente applicate dalla Corte distrettuale, che nel suo accertamento in proposito ha mancato di tener conto del principio secondo cui – v. Cass. II civ. n. 77 del 4/1/2018- nel conto corrente bancario intestato a due o più persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto. (v. parimenti Cass. II civ. n. 4066 del 19/2/2009, conforme Cass. I n. 3241 del 9/7/1989. V. altresì analogamente Cass. II civ. n. 26991 del 2/12/2013. Cfr. altresì Cass. I civ. n. 13663 del 22/07/2004, secondo cui la cointestazione del conto corrente fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto ed il consenso di tutti gli intestatari alla movimentazione del conto, sicchè una volta provata dalla banca l’esistenza di conti cointestati, è onere della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione offrire la prova contraria della non riferibilità a sè dei prelievi effettuati.

V. ancora Cass. I civ. n. 1087 in data 1/2/2000, secondo cui una presunzione legale “juris tantum”, come quella di cui all’art. 1298 c.c., comma 2, poichè dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, può essere superata attraverso presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti. Analogamente, Cass. I civ. n. 28839 del 5/12/2008 ha ritenuto che la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto sia nei confronti dei terzi, che nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto, ma tale presunzione dà luogo soltanto all’inversione dell’onere probatorio, e può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa. In senso conforme Cass. lav. n. 18777 del 23/09/2015);

alla stregua dei succitati principi e delle sufficienti allegazioni in proposito svolte da parte dell’interessata (cfr. pagg. da 17 a 21 del ricorso per cassazione) appaiono giustificate le doglianze al riguardo mosse con l’anzidetto quarto motivo, laddove si lamenta l’omessa considerazione delle argomentazioni in proposito addotte con l’interposto gravame, per cui almeno la metà del conto corrente bancario cointestato presso il Monte dei Paschi di Siena si sarebbe dovuta considerare di pertinenza della contitolare L.. Per contro, la sentenza impugnata ha in qualche modo eluso la problematica relativa alla contitolarità, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1298 c.c., del tutto pretermessa dando esclusivo rilievo alle ipotizzate donazioni indirette, apoditticamente dando per scontato anche il pacifico superamento dell’anzidetta presunzione relativa, ovvero altrimenti ignorata, perciò senza alcuno specifico riferimento alla sussistenza di idonei elementi presuntivi, tali da poter giustificare la riconducibilità delle somme depositate sul conto esclusivamente al cointestatario N.F., riguardo all’intera somma di Euro 24.000,00 che dal conto corrente cointestato era stata prelevata dalla L. (v., in part., pag. 4, ultimo cpv., della sentenza d’appello, dove si fa riferimento inoltre anche ad un incontroverso versamento da parte dello scomparso N. della somma di Euro 49.175,5 sul conto estero della L., oltre che al prelievo dei 24.000,00 Euro dal conto cointestato, mentre poi nella pagina successiva si afferma categoricamente e genericamente, però senza un minimo di motivazione sul punto, che “lo stesso conto corrente – quello da cui furono prelevati i 24000 Euro – rappresenta una donazione indiretta…”);

pertanto, la risoluzione della controversia operata dalla Corte d’Appello, nei sensi di cui alla ipotizzata indebita donazione, realizzata senza la necessaria forma ad substantiam, si fonda su di un presupposto almeno in parte allo stato indimostrato o di cui manca la relativa motivazione, sull’assunto cioè che tutte le somme di danaro versate sul menzionato conto corrente cointestato, dal quale provennero le informali donazioni, appartenessero soltanto ad de cuius, senza perciò tener conto della presunzione di cui del succitato art. 1298, comma 2;

il quinto motivo, anch’esso riferito alla questione dei 24 mila Euro, siccome direttamente connesso alla precedente censura, da cui pure dipende in senso logico, deve ritenersi quindi necessariamente assorbito;

fondata, inoltre, appare la sesta doglianza, laddove, pure alla stregua di sufficienti allegazioni ex art. 366 c.p.c., ivi contenute, l’impugnata sentenza di merito ha omesso del tutto l’esame del documento contabile depositato il 21 settembre 2015, in relazione quale la ricorrente assume l’esito negativo del bonifico di 10.000,00 Euro, in data 3/12 aprile 2007 (somma facente parte di quella maggiore, alla cui restituzione era stata condannata la sig.ra L.), ritornato al conto dell’ordinante N.F., che lo aveva disposto a favore della ricorrente (giusta l’estratto scalare del conto acceso presso la Banca Popolare Italiana ed intestato al solo de cuius), trattandosi di circostanza fattuale indubbiamente rilevante ai fini del quantum liquidato a favore degli opponenti in riconvenzionale, mentre la quantificazione della pretesa azionata dai coeredi N. è stata pedissequamente confermata nei sensi ritenuti dal primo giudicante, senza il benchè minimo cenno alla suddetta risultanza documentale;

ne deriva, pertanto, la cassazione in parte qua della impugnata sentenza, con conseguente rinvio ad altra Corte di merito, individuata nel seguente dispositivo, per nuovo necessario esame della controversia in relazione alle questioni cui si riferiscono gli annullamenti di cui alla presente pronuncia, osservati i succitati principi di diritto, di guisa che all’esito saranno regolate le spese anche di questo giudizio di legittimità;

la cassazione con rinvio, quindi, comporta anche l’assorbimento delle questioni prospettate con il settimo e ultimo motivo di ricorso, siccome comunque inerenti al conseguente regolamento delle spese processuali (cfr. Cass. sez. 6-2, ordinanza n. 3069 del 6/2/2017: l’accoglimento di uno dei motivi del ricorso, con la conseguente cassazione con rinvio della causa, comporta l’assorbimento dell’ulteriore mezzo di gravame sulla ripartizione dell’onere delle spese di lite, in quanto la relativa censura è diretta contro una statuizione che, per il suo carattere accessorio, è destinata ad essere travolta dall’annullamento che viene disposto dalla sentenza impugnata, a seguito del quale la liquidazione delle spese delle precorse fasi del giudizio va effettuata dal giudice di rinvio, tenendo conto dell’esito finale del giudizio. Conforme Cass. II civ. sentenza n. 2884 del 06/10/1972);

non sussistono, infine, i presupposti processuali ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, per cui ne va dato atto come da dispositivo, atteso l’esito positivo, sebbene parziale, dell’impugnazione qui proposta.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto ed il sesto motivo del ricorso, assorbiti il quinto ed il settimo. Dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo dello stesso ricorso. Cassa, per l’effetto, l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Catania.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della NON sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2020

 

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