Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15961 del 27/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 27/06/2017, (ud. 08/03/2017, dep.27/06/2017),  n. 15961

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22062/2012 proposto da:

M.L., C.F. (OMISSIS), in proprio e quale legale

rappresentante della cessata O’ SCUGNIZZO DI M.L. &

C. S.A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO DE ANGELIS, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE DI PRIMA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. CARTOLARIZZAZIONE CREDITI

INPS S.P.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati CARLA D’ALOISIO, LELIO

MARITATO, ANTONINO SGROI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1312/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/09/2011 R.G.N. 1482/2009.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 26.9.2011, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da M.L., in proprio e n.q. di legale rapp.te della cessata società “O’ Scugnizzo di M.L. & C. s.a.s.”, avverso la cartella esattoriale con cui gli era stato ingiunto di pagare all’INPS somme per sgravi indebitamente fruiti ex I. n. 448/1998 in relazione a taluni dipendenti licenziati anteriormente al compimento del triennio dalla data di assunzione;

che avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione M.L., deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 1998, art. 3, comma 6, lett. c), art. 12 preleggi, art. 41 Cost., e art. 113 c.p.c., comma 1, per avere la Corte di merito ritenuto che il beneficio degli sgravi non spettasse per non avere l’impresa provato che i licenziamenti per cessazione dell’attività dovuta alla cessione del relativo ramo di azienda fossero stati motivati da circostanze non prevedibili (quali improvvise fluttuazioni del mercato o altri eventi di natura economica tali da non consentire la prosecuzione del rapporto) e dunque non fossero riferibili alla mera volontà di cessare l’attività d’impresa;

che l’INPS ha resistito con controricorso e il Pubblico ministero ha concluso per il rigetto dell’impugnazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con riguardo all’unico motivo di censura, questa Corte ha già fissato il principio secondo cui la L. n. 448 del 1998, art. 3, comma 6, lett. c), nel prevedere che il beneficio dello sgravio compete a condizione che “il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni non subisca riduzioni nel corso del periodo agevolato”, si riferisce ad un factum principis o ad altra circostanza eccezionale che, alterando il normale funzionamento del mercato, pregiudichi le concrete possibilità dell’impresa di mantenere quell’incremento occupazionale cui è causalmente collegato il diritto agli sgravi (cfr. Cass. nn. 8240 del 2015 e 14316 del 2013), onde è da escludere che esso possa ricondursi alla mera (ed in quanto tale insindacabile) scelta datoriale di non esercitare ulteriormente l’attività d’impresa oggetto del ramo d’azienda ceduto, derivandone in caso contrario lo sviamento dello sgravio dalla sua causa tipica, che consiste nell’assunzione da parte dello Stato di una parte dell’onere economico proprio dell’attività d’impresa allo scopo di favorire l’incremento dell’occupazione stabile nelle zone depresse del Paese; ritenuta pertanto l’infondatezza del ricorso, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4,100,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2017

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