Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1596 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 27/09/2019, dep. 24/01/2020), n.1596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1713-2018 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SANTA

COSTANZA 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO RUGGIERO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO PALADINI;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ COOPERATIVA AGRICOLA A R.L. CANTINA PRODUTTORI DEL GAVI, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato

CINZIA DE MICHELI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIOVANNI CANIGGIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1226/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata l’01/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

MARULLI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ricorso in atti B.G. impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino, dato atto che la delibera di esclusione del B. dalla Società Cooperativa Agricola a r.l. Cantina Produttori del Gavi era divenuta definitiva, ha respinto la domanda del medesimo intesa a conseguire la liquidazione della quota e ne chiede la cassazione sull’assunto che l’impugnata decisione violerebbe 1) gli artt. 2533 e 1362 c.c. e segg., nonchè lo statuto sociale, art. 12, risulterebbe viziata da insufficiente e contraddittoria motivazione, dal momento che il decidente, nel ritenere che la condotta anteatta del B. (reo di aver profferito nel corso dell’assemblea sociale del 2.9.2012 espressioni tali da ingenerare nei presenti un’opinione negativa sulla solidità patrimoniale del sodalizio) costituisse grave inadempienza legittimante a mente dello statuto, art. 13, la mancata restituzione della quota, “ha ignorato i criteri interpretativi fissati dall’art. 1362 c.c. ss., commettendo una duplice violazione tanto dei criteri di ermeneutica contrattuale, avendo i giudici di secondo grado errato nella ricostruzione della volontà delle parti, quanto nella motivazione, che risulta incongrua non consentendo un controllo sul procedimento logico seguito per giungere alla decisione”; 2) l’art. 345 c.p.c., dal momento che il decidente, pronunciandosi nei riferiti termini, ha accolto l’eccezione di grave inadempimento ascritto al ricorrente, quantunque essa “non possa essere sollevata per la prima volta in appello”; 3) l’art. 112 c.p.c., dal momento che il decidente, pronunciando su un eccezione la cui rilevabilità è rimessa all’iniziativa delle parti, è in tal modo incorso nel vizio di “ultrapetizione”.

Al proposto ricorso resiste l’intimata con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo di ricorso, in disparte da ogni altra ragione di inammissibilità avversariamente dedotta – sfrondato di ogni suggestione motivazionale, giacchè il vizio, per come dedotto dal ricorrente, è estraneo al novellato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – si rivela, nell’allegazione in punto di diritto, previamente inammissibile essendo dedotto in palese violazione dello statuto di censurabilità per cassazione dell’errore ermeneutico – che onera la parte “di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata ” (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319) – e si concreta perciò, sul presupposto che “l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito” (Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355), nella indiretta perorazione, come tale inammissibile, a procedere ad una revisione dell’apprezzamento in fatto operato dal decidente di merito.

3. Il secondo motivo è infondato giacchè l’allegazione in punto di grave inadempienza ascritta al B. a motivo della sua esclusione dalla compagine sociale non integra un fatto impeditivo della pretesa onde possa in essa riconoscersi la declinazione di un’ eccezione in senso stretto, ma costituisce essa stessa un tema della decisione, vertendo la controversia sulla legittimità del rifiuto alla liquidazione della quota reclamata da socio opposto dalla società in ragione della grave inadempienza di cui il medesimo si era macchiato nel corso della rammentata adunanza assembleare.

4. Il terzo motivo resta conseguentemente assorbito non avendo il decidente pronunciato ex officio su un’eccezione non dedotta.

5. Il ricorso va dunque respinto.

6. Le spese seguono la soccombenza. E’ dovuto il raddoppio del contributo.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 3500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento ove dovuto da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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