Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1596 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 19/01/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 19/01/2022), n.1596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23435-2020 proposto da:

COMUNE di APRILIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, LARGO AMILCARE PONCHIELLI 6, presso lo studio

LTP PARTNERS, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO APICE;

– ricorrente –

contro

P.N., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati FILIPPO VINCIGUERRA, TIZIANA DI CONSOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5364/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO SEZIONE DISTICCATA di LATINA, depositata il

25/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la parte contribuente ricorreva avverso un avviso di accertamento relativo all’IMU per l’anno d’imposta 2012 in ordine ad un terreno che in quell’anno era abusivamente occupato da terzi;

la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello affermando che nella specie l’occupazione abusiva del terreno e quindi il non possesso dello stesso da parte della contribuente non può essere assoggettato ad IMU in quanto privo dell’effettivo possesso dell’immobile che è il presupposto dell’imposta; difatti il terreno di proprietà della contribuente in realtà è stato abusivamente occupato e recintato da due società proprietarie di terreni confinanti, tanto che la contribuente ha dovuto agire con una azione di rivendicazione.

Avverso la suddetta sentenza propone ricorso comune di Aprilia, affidato ad un unico motivo di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il comune di Aprilia lamenta violazione e falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, e del D.Lgs. n. 21 del 2011, art. 9, in quanto presupposto per l’applicazione dell’IMU è l’appartenenza giuridica di un diritto reale e non il possesso del diritto reale stesso.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso in Cassazione contenuta nel controricorso, ove si osserva che poiché la sentenza di appello è stata depositata il 25 settembre 2019 mentre il ricorso è stato notificato il (OMISSIS) esso sarebbe tardivo, pur tenendo conto dei 31 giorni relativi alla sospensione feriale dei termini e della sospensione straordinaria di cui al D.L. n. 11 del 2020, operante dal 9 marzo 2020 al 12 maggio 2020.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, infatti “il termine per l’impugnazione di una sentenza di cui è stata chiesta la correzione decorre dalla notificazione della relativa ordinanza, ex art. 288 c.p.c., u.c., se con essa sono svelati “errores in iudicando” o “in procedendo” evidenziati solo dal procedimento correttivo, oppure l’errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione, interferendo con la sostanza del giudicato ovvero, quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la decisione, dando luogo a surrettizia violazione del giudicato; diversamente, l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo, chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione” (Cass. n. 6764 del 2020; Cass. n. 8863 del 2018).

Nella specie l’errore consiste nell’aver scritto nel dispositivo accoglie l’appello” anziché “respinge l’appello” e riguarda dunque l’aspetto centrale del provvedimento, determinando un obbiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione ed interferendo quindi con la sostanza del giudicato. Infatti, pur essendo comprensibile attraverso una lettura della motivazione, risolvendosi in una discrepanza tra il giudizio e la sua espressione, deve purtuttavia considerarsi che la comprensibilità di tale errore richiede per un verso pur sempre una certa professionalità e non è quindi pacificamente percepibile, per un altro verso presuppone comunque appunto una lettura della motivazione che potrebbe non avvenire, potendosi la parte interessata fermarsi alla sola lettura del dispositivo, e per un altro verso ancora, e soprattutto, deve considerarsi che nei procedimenti civili la cancelleria comunica il solo dispositivo della sentenza, il che, se non altro, determina una valutazione completamente diversa non solo circa il contenuto della sentenza stessa ma anche circa l’opportunità o meno di proporre ricorso. In effetti il dispositivo di un provvedimento giudiziario, nella parte in cui si pronuncia circa l’accoglimento o meno del ricorso, è di una importanza tale che, nell’ipotesi, come quella di specie, di un errore che lo interessi, elementari ragioni di certezza giuridica suggeriscono che non possa farsi affidamento su un diverso contenuto dello stesso fino alla sua avvenuta sicura correzione. Di conseguenza il termine per l’impugnazione della sentenza impugnata e di cui era stata chiesta la correzione decorre soltanto dalla notificazione della relativa ordinanza e pertanto il ricorso in Cassazione dell’Agenzia delle entrate è tempestivo.

Nel merito il motivo di impugnazione è fondato.

Secondo questa Corte, infatti:

“secondo il combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 3, il concetto di possesso quale presupposto impositivo del tributo è riferito alla titolarità del diritto di proprietà o degli altri diritti reali di godimento indicati nel cit. Decreto, art. 3, in coerenza con la natura patrimoniale dell’imposta che prescinde dalla redditività del bene sottoposto a tassazione.

Su tali presupposti è stato così affermato che “In tema di ICI, nel caso di comproprietà dell’immobile, l’imposta è dovuta dal comproprietario nei limiti della sua quota, senza che possa assumere alcun rilievo l’eventuale esercizio, da parte sua, di poteri gestori e di amministrazione dell’intero immobile, atteso che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 3, comma 1, riferiscono il possesso, quale presupposto del tributo, alla titolarità del diritto di proprietà del cespite, prescindendo completamente, nella configurazione dell’elemento oggettivo dello stesso presupposto, dalla fruttuosità, o non, del bene” (vedi Cass. n. 6064 del 2017), o si è giustificato la ritenuta persistenza del possesso quale presupposto impositivo, allorché vi sia stata occupazione temporanea d’urgenza da parte della P.A., finché non sia intervenuto il decreto di esproprio (da ultimo Cass. n. 29195 del 2017; n. 21157 e n. 19041 del 2016; Cass. n. 4753 del 2010 e n. 21433 del 2007).

La sentenza ha fatto corretta applicazione di tale principio in quanto ha ritenuto sufficiente ad individuare il soggetto passivo dell’imposta la titolarità del diritto di proprietà ed irrilevante che fosse in atto un contenzioso che aveva ad oggetto non la titolarità del diritto reale bensì un’occupazione abusiva del terreno da parte di terzi che su di esso rivendicavano un diritto di pascolo” (Cass. n. 7800 del 2019);

in tema di ICI-IMU, va qualificato come diritto personale di godimento – e non come diritto reale d’uso – quello concesso ad una Associazione intercomunale su immobile adibito a “casa vacanze” e limitato all’organizzazione di soggiorni autogestiti per anziani residenti, in forza di convenzione negoziale stipulata tra i Comuni comproprietari e l’Associazione medesima, con conseguente individuazione di soggettività passiva d’imposta in capo al Comune proprietario “pro quota”, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 1, (Cass. n. 166 del 2021);

in tema di TARSU, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 63, nell’individuare quali soggetti passivi del tributo coloro che “occupano” o “detengono” l’immobile idoneo a produrre rifiuti, contempla nella categoria dei detentori non solo che detengono il bene ai sensi dell’art. 1140 c.c., comma 2, ed il conduttore dell’immobile, assoggettando alla tassa chiunque possa disporre a qualsiasi titolo (proprietà, possesso, detenzione) del bene stesso, quand’anche di fatto non lo occupi (31743 del 2018).

La Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che nella specie l’occupazione abusiva del terreno e quindi il non possesso dello stesso da parte della contribuente non può essere assoggettato ad IMU in quanto privo dell’effettivo possesso dell’immobile che è il presupposto dell’imposta; difatti il terreno di proprietà della contribuente in realtà è stato abusivamente occupato e recintato da due società proprietarie di terreni confinanti, tanto che la contribuente ha dovuto agire con una azione di rivendicazione – ha erroneamente ritenuto che la parte contribuente non fosse tenuta al pagamento dell’IMU pur essendo proprietaria del terreno.

Ritenuto dunque fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

 

 

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