Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15959 del 06/07/2010

Cassazione civile sez. I, 06/07/2010, (ud. 19/10/2009, dep. 06/07/2010), n.15959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – est. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6553/2008 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 974/07 V.G.A della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

del 15/06/07, depositato il 25/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ONOFRIO FITTIPALDI;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: “ S.V. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania nel dicembre 1996, definito con sentenza del 23.11.04, avverso la quale era stato proposto appello, non ancora deciso.

La Corte d’appello, con decreto del 25.7.07, pronunciato nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, fissato il termine di durata ragionevole del giudizio di primo grado in anni tre, liquidava per il periodo eccedente, in relazione al danno non patrimoniale, Euro 4.000,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso S.V., affidato a 13 motivi; ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Osserva:

1.- Con i primi sei motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno.

una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00? (secondo motivo) e sul punto il decreto sarebbe carente nella motivazione (motivo terzo);

petta un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quarto motivo) e su questa domanda la Corte d’appello non si è pronunciata (quinto motivo), incorrendo in difetto di motivazione (sesto motivo).

1.1.- I motivi dal 7 al 13 denunciano violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c, della L. n. 794 del 1942, art. 24, delle tariffe professionali, nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)? (motivo 7) e negli stessi termini è formulato il motivo 9;

è legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot. Add. CEDU direttamente applicabile al caso di specie? (motivo 8) ed il decreto sarebbe viziato nella motivazione sulla liquidazione in difformità dalla tariffa applicabile (motivo 10);

le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attività svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese? (motivo 11);

può il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese? (motivo 12) e sul punto è denunciato anche difetto di motivazione, riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo 13).

2.- I motivi indicati nel 1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sembrerebbero manifestamente infondati.

Preliminarmente va peraltro rilevato che la Corte d’appello ha limitato la pronuncia al giudizio di primo grado, senza che siffatta limitazione abbia costituito oggetto di specifica censura.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent. n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 e, qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1. Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va affermato.

secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuità, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo; per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 del 2008 e n. 1354 del 2008);

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo;

resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia. Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008). Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul ed. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 3812 del 2009; n. 18012 del 2008);

il danno non patrimoniale deve essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento d il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3812 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 6898 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che sembrano confortare la manifesta infondatezza delle censure, poichè il decreto ha liquidato, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, per una violazione riferita al giudizio di primo grado eccedente anni tre (quindi di circa cinque anni), Euro 4.000,00, discostandosi dal parametro della Corte EDU in misura non irragionevole, adeguatamente motivando con riferimento agli interessi in gioco.

A fronte di tale congrua e sufficiente motivazione, il ricorrente, da un canto, non si è dato carico di censurarla specificamente; dall’altro, si è limitato a svolgere argomenti standardizzati e stereotipati, non in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per liquidare un importo più elevato, omettendo di indicare quali elementi specifici e concreti, dedotti nella fase di merito, avesse indicato a tal fine (in punto, tra l’altro, della sua situazione economico-patrimoniale).

2.1.- I motivi indicati nel par. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrerebbero in parte manifestamente inammissibili, in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente fondati.

In linea preliminare, va evidenziata la incongrua proposizione di due identici quesiti (motivi 7 e 9) e la manifesta inammissibilità delle censure (e dei corrispondenti profili dei quesiti) incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendi del decreto e che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie. Tanto va rilevato in relazione ai motivi: ottavo e dodicesimo, quanto alla possibilità del giudice di compensazione delle spese (non disposta) e di riduzione delle voci della nota spese, possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme; 11^ quanto alla astratta deduzione di sufficienza delle spese.

Relativamente agli ulteriori profili di censura, da ritenere ammissibili, nella parte in cui correlano l’erroneità delle voci di tariffa applicata alla violazione del principio dell’inderogabilità ed al difetto di motivazione, le stesse sono fondate sulla base dei principi di seguito indicati, ed entro i limiti che si precisano:

la L. n. 89 del 2001, n reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli artt. 3 e e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265) con conseguente manifesta infondatezza della pretesa di liquidazione delle spese processuali secondo gli standard seguiti dalla Corte di Strasburgo (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009);

la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001, quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilità della Tab. A-4 e della Tab.B-1. In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha determinato le spese liquidando Euro 450,00, di cui Euro 50,00 per spese, rende palese che ha fatto riferimento – sia pure non esplicitato – alla tariffa per il procedimento camerale, perchè solo in tal modo è spiegabile la quantificazione, che viola i minimi della tariffa concernente il giudizio contenzioso.

Entro questi limiti i mezzi potrebbero essere accolti; il decreto dovrebbe essere cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate. Le spese della fase di legittimità potrebbero essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso”.

p.2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti sopra evidenziati.

Il decreto va quindi cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate.

Le spese di legittimità vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

Le spese vanno liquidate come in dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario, avv. Alfonso Luigi Marra.

che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario, avv. Alfonso Luigi Marra.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2010

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