Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15958 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. I, 24/07/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 24/07/2020), n.15958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7167/2019 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in Roma presso la SC di

Cassazione, rapp. e difeso dall’avv. Felice Patruno del foro di

Bari;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, Procuratore Tribunale Bari, Procuratore

Generale Corte Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, depositata il 14/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

1/07/2020 dal Pres. Dott. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

 

Fatto

RILEVATO

che il signor M.N., cittadino (OMISSIS), di credo (OMISSIS), ricorre a questa Corte avverso l’epigrafato decreto con cui il Tribunale di Bari, attinto dal medesimo ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ha respinto le istanze intese al riconoscimento delle misure di protezione internazionale ed umanitaria e ne chiede la cassazione sul rilievo: 1) dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, a mezzo della quale il decidente ha ricusato il riconoscimento della protezione sussidiaria quantunque nella specie si fosse rappresentata la situazione di pericolosità in cui versano le minoranze religiose nel paese di provenienza; 2) della violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, avendo il decidente parimenti negato l’accesso alla misura della protezione umanitaria in ragione dell’esito negativo del giudizio di comparazione, quantunque il ricorrente non disponesse nel proprio paese di un’attività lavorativa e versasse in precarie condizioni di salute;

che non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato non avendo il medesimo svolto difese notificando controricorso ex art. 370 c.p.c. ma solo a mezzo di un formale “atto di costituzione” depositato ai fini della partecipazione all’udienza pubblica, inidoneo allo scopo.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo di ricorso è affetto da primaria inammissibilità poichè, come questa Corte ha già reiteratamente statuito, “in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940);

che il secondo motivo è parimenti affetto da analoga inammissibilità;

che, osservato in breve, il Tribunale – rettamente richiamando gli enunciati di questa Corte in argomento da ultimo confermati da SS.UU. 13/11/2019, n. 29459 -, ha motivato il rigetto della misura richiesta alla stregua del demandato giudizio di comparazione tra la condizione del ricorrente nel nostro paese e quella alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, all’esito del quale ha ritenuto insussistente in capo al medesimo una situazione di privazione e di impedimento dei diritti umani inalienabile, escludendo in particolare che l’attività lavorativa fosse “segno di un radicamento stabile ed effettivo nel nostro territorio” e che la patologia rappresentata evidenziasse un requisito di vulnerabilità “sotto l’aspetto medico-assistenziale”;

che va detto, infatti, che la formulata censura costituisce mera espressione di un dissenso valutativo, sicchè essa è intesa a rivedere lo sfavorevole apprezzamento delle circostanze di fatto operato dal decidente di merito e si sostanzia perciò nella postulazione di un nuovo sindacato riguardo ad esse che non è compito di questa Corte esperire.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Nulla spese in difetto di attività difensiva avversaria e doppio contributo ove dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Doppio contributo, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

 

 

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