Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15956 del 06/07/2010

Cassazione civile sez. I, 06/07/2010, (ud. 19/10/2009, dep. 06/07/2010), n.15956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – est. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6547/2008 proposto da:

C.R., V.M., V.A., quali

eredi di V.R., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese

dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3186/06 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI del 21/02/07, depositato il 02/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2009 dal Consigliere e Relatore Dott. ONOFRIO FITTIPALDI;

è presente il P.G. in persona del Dott. IGNAZIO PATRONE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

p.1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è del seguente tenore: ” C.R., V.M. e V.A., quali eredi di V.R., adivano la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso dal loro dante causa innanzi al Tar Campania con ricorso del 29.4.1992, deciso con sentenza del 17.1.01, avverso la quale era stato proposto appello, non ancora deciso.

La Corte d’appello, con decreto del 2.5.07: riteneva che, avendo le istanti proposto la domanda soltanto nella qualità di eredi di V.R., doveva aversi riguardo alla data del decesso del loro dante causa ((OMISSIS)) ed al giudizio di primo grado, poichè la domanda era stata limitata a tale fase; fissava il termine di durata ragionevole del giudizio di primo grado in anni tre e liquidava per il periodo eccedente, concernente il primo grado, Euro 750,00, per anno di ritardo, dichiarando le spesse irripetibili, poichè l’intimata non si era costituita e non aveva dato causa al giudizio.

Per la cassazione di questo decreto hanno proposto ricorso C.R., V.M. e V.A., quali eredi di V.R., affidato ad 11 motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Osserva:

1.- Con i primi sette motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno.

Se il periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione sia soltanto quello eccedente il termine di ragionevole durata, ovvero debba aversi riguardo all’intera durata del giudizio (secondo motivo) e se, una volta accertato il diritto all’equo indennizzo, lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00? (terzo motivo) e sulla mancata applicazione di detto parametro il decreto sarebbe carente nella motivazione (motivo quarto);

spetta un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quinto motivo) e su questa domanda la Corte d’appello non si è pronunciata (guitto motivo), incorrendo in difetto di motivazione (sesto motivo).

1.1.- I motivi dall’8^ all’11^ denunciano violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, art. 24, delle tariffe professionali, nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

è legittimo, in ipotesi di accoglimento della domanda compensare le spese di giudizio, ovvero alla condanna a favore della parte deve seguire la condanna alle spese di lite? (motivo 8) e la Corte non avrebbe motivato in ordine alla disposta compensazione(motivo 9);

in ipotesi di contumacia della PA e di accoglimento della domanda deve seguire la condanna alle spese di lite? (motivo 10) e la Corte territoriale avrebbe incongruamente motivato la compensazione e l’irripetibilità delle spese, facendo riferimento alla sola contumacia della convenuta motivo 11).

2.- In linea preliminare va sottolineato che non hanno costituito oggetto di censure le conclusioni del decreto in ordine alla limitazione della domanda alla sola fase di primo grado ed alla valutabilità della sola parte del giudizio svoltasi sino alla data del decesso del dante causa delle ricorrenti, con la conseguenza che le stesse non possono costituire oggetto di riesame in questa sede e devono essere mantenute ferme.

I motivi indicati nel 1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sembrerebbero manifestamente infondati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent. n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001, e, qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1.

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va affermato:

secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuità, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo;

per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 4572 del 2009;

n. 11566 del 2008 e n. 1354 del 2008);

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo;

resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia. Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008). Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul ed. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 3812 del 2009; n. 18012 del 2008);

il danno non patrimoniale deve essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della posta in gioco, il numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3812 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 6898 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che sembrano confortare la manifesta infondatezza delle censure, poichè il decreto ha liquidato, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, una somma pari ad Euro 750,00 per anno di ritardo, in considerazione della mancata proposizione di istanze sollecitatorie, condotta non illogicamente assunta come sintomatica del non rilevante interesse per la causa. A fronte di tale congrua e sufficiente motivazione, le ricorrenti si sono limitate a svolgere argomenti standardizzati e stereotipati, non in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per liquidare un importo più elevato, omettendo di indicare quali elementi specifici e concreti, dedotti nella fase di merito, avessero indicato a tal fine (in punto, tra l’altro, della sua situazione economico-patrimoniale).

2.1.- I motivi indicati nel par. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sembrerebbero in parte manifestamente inammissibili, in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente fondati.

In linea preliminare, va ribadito che la L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli artt. 3 e 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009).

Pertanto, i mezzi sono manifestamente infondati nelle parti in cui sostengono che nel giudizio di equa riparazione non potrebbe essere disposta la compensazione delle spese processuali, da ritenersi ammissibile ed attribuita al potere discrezionale del giudice del merito, che può disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altri giusti motivi; la relativa motivazione è censurabile in questa sede ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie.

Nella specie, il decreto ha dichiarato irripetibili le spese, poichè l’intimata non si era costituita e non aveva dato causa al giudizio.

Siffatta ragione è al tempo stesso erronea, dacchè il giudizio di equa riparazione è stato causato dall’apparato giudiziario dei cui comportamenti risponde per scelta legislativa la Presidenza del Consiglio dei Ministri; essa è, inoltre, illogica, poichè la contumacia di chi è stato convenuto in giudizio, da sola, non può essere ritenuta giusto motivo di compensazione delle spese affrontate dall’attore (Cass. n. 29407 del 2008; n. 2389, n. 2384, n. 775 del 2009).

In relazione alle censure accolte il decreto potrà essere cassato nella parte concernente le spese; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa potrà essere decisa nel merito, disponendo la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri alle spese del giudizio di merito. Le spese della fase di legittimità potranno essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, tenuto conto del parziale accoglimento della domanda, mentre la residua parte potrà seguire la soccombenza”.

p.2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei limiti sopra evidenziati. Il decreto va quindi cassato limitatamente al capo concernente le spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate.

Le spese di legittimità vanno compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

Le spese vanno liquidate come in dispositivo, con attribuzione al difensore antistatario.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario, avv. Alfonso Luigi Marra.

che compensa in misura di 2/3 per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo 1/3 e che determina per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario, avv. Alfonso Luigi Marra.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2010

 

 

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