Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15954 del 24/07/2020

Cassazione civile sez. I, 24/07/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 24/07/2020), n.15954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8062-2019 proposto da:

D.K.D., rappresentato e difeso dall’avvocato

MASSIMILIANO VIVENZIO e domiciliato presso la cancelleria della

Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO depositato il 18/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela.

Il Tribunale di Milano, con il decreto impugnato, respingeva il ricorso avverso detto provvedimento reiettivo.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto D.K. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il Tribunale avrebbe disatteso l’istanza di fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale.

La censura è infondata. Dalla lettura del decreto impugnato (cfr. pag. 2) risulta infatti che “Con provvedimento del 6.4.2018 è stata fissata udienza ex art. 35 bis, comma 11, con espressa indicazione della assenza di necessità di ripetere l’audizione e di svolgere ulteriori incombenti istruttori. All’udienza del 10.5.2018 il difensore ha insistito nel ricorso e ha depositato la delibera di ammissione al patrocinio a spese dello Stato”.

Va premesso che è affetto da nullità, per violazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 10 e 11 il provvedimento del giudice di merito con il quale, in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale, viene fissata l’udienza di comparizione con espressa previsione della non necessità di procedere all’ascolto del richiedente. Posto che la valutazione sulla credibilità della storia personale riferita da quest’ultimo è evidentemente fondata anche su un giudizio di verosimiglianza nel quale assumono rilievo centrale le modalità con cui, in concreto, viene narrato il racconto, è evidente che la ratio della norma che impone la fissazione dell’udienza in ogni caso in cui non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa risiede nell’esigenza di consentire l’effettivo incontro tra richiedente e giudice, al fine di consentire al primo la facoltà di esercitare pienamente il diritto al contraddittorio ed al secondo la possibilità di esercitare, in concreto, il potere-dovere di cooperazione istruttoria. Ne consegue che è contrario allo spirito della norma l’atto con il quale il giudice di merito, non avendo a sua disposizione la videoregistrazione, decida comunque di escludere a priori la possibilità stessa dell’ascolto del richiedente, con ciò di fatto svuotando di significato concreto le disposizioni di cui ai già richiamati D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11.

Tuttavia, è in tal caso onere del ricorrente procedere all’immediata contestazione della nullità, nel rispetto del principio generale di cui all’art. 157 c.p.c., comma 2, dovendosi in difetto ritenere integrata la sanatoria del vizio.

Nel caso di specie il ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di aver tempestivamente sollevato l’eccezione di nullità del decreto di fissazione dell’udienza, nè di esser stato presente all’udienza e di aver dichiarato in quella sede la propria disponibilità ad essere sentito, nè indica su quali elementi il suo ascolto avrebbe potuto, in concreto, condurre il giudice di merito ad una conclusione diversa da quella in concreto adottata. Ne consegue il difetto di specificità della censura.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il Tribunale avrebbe erroneamente applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova.

La censura è inammissibile. Dalla lettura del decreto impugnato emerge infatti che il giudice di merito ha apprezzato la credibilità della storia riferita dal richiedente, escludendola, sulla base della legislazione in materia di aborto esistente in (OMISSIS) (Paese di origine del richiedente). Il D. aveva infatti raccontato di aver avuto una relazione con la figlia del capo villaggio, di averla messa incinta nonostante fosse già sposato con prole, di averla aiutata ad abortire e di esser stato incolpato della morte della ragazza, avvenuta in seguito ad una pratica abortiva praticatale da uno sciamano. Il Tribunale ha dato atto che dal 2007 esiste in (OMISSIS) una legislazione sull’aborto, che ammette la pratica entro i tre mesi della gravidanza, quando la stessa sia conseguenza di una violenza sessuale o di un rapporto incestuoso e quando vi sia pericolo per la salute della madre; ha poi evidenziato che tale legislazione prevede pene detentive severe per chi pratica l’aborto illegalmente; ha ritenuto inverosimile che la polizia abbia potuto, senza svolgere alcuna indagine sullo sciamano (che materialmente aveva praticato l’aborto sulla fanciulla, causandone la morte), incolpare il richiedente del decesso, ed ancor più che, in presenza della predetta legislazione, lo abbia potuto consegnare al capo villaggio per farlo confessare o, in caso contrario, per sottoporlo a sharia islamica. Rispetto a tale ricostruzione, assolutamente plausibile perchè fondata su circostanze di fatto (in particolare, la legislazione esistente in (OMISSIS)), il ricorrente non allega alcunchè di specifico, lamentandosi genericamente – e, quindi, in modo inammissibile – che la sua storia non sia stata ritenuta credibile, senza confrontarsi in alcun modo con l’ampia motivazione resa dal giudice ambrosiano.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 perchè il Tribunale avrebbe erroneamente denegato la protezione sussidiaria senza indagare sulla situazione di violenza generalizzata esistente in (OMISSIS).

La censura è infondata. Risulta dalla decisione impugnata che il giudice di merito ha escluso, in concreto, la sussistenza dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) sulla base di informazioni tratte da fonti internazionali, debitamente indicate a pag. 8 del decreto. Il ricorrente è stato quindi posto in grado di verificare la provenienza e la pertinenza dell’informazione.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè il Tribunale avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della protezione umanitaria, senza considerare l’inclusione del richiedente nel tessuto sociale italiano.

La doglianza è inammissibile. Il decreto impugnato dà infatti atto che “… il sig. D. non abbia documentato e/o allegato una sia pur minima attività formativa e lavorativa” (cfr. pag. 9) e tale passaggio motivazionale non viene in alcun modo attinto dal ricorrente, che si limita ad una generica – e, quindi, inammissibile – rivendicazione della sussistenza della sua condizione di debolezza, essenzialmente alla luce della condizione esistente in (OMISSIS).

In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero intimato nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2020

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